Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.37923 del 02/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27537-2019 proposto da:

R.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 168, presso lo studio dell’avvocato LUCA TANTALO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE MOSCA;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALSAVARANCHE, 46 SC.D, presso lo studio dell’avvocato MARCO CORRADI, rappresentata e difesa dall’avvocato ALBERTO ZANETTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 356/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 22/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO SCODITTI.

RILEVATO

che:

R.O. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Verbania M.F. chiedendo il risarcimento del danno nella misura di Euro 5.398,74 per compenso in favore del difensore ed Euro 5.601,26 per danno morale per avere subito il processo penale, dal quale era stato assolto, a seguito della denuncia per minaccia aggravata dall’uso di arma presentata dalla convenuta. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza propose appello il R.. Con sentenza di data 22 febbraio 2019 la Corte d’appello di Torino rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale che, benché il giudice penale non avesse espressamente chiarito se l’assoluzione in sede di giudizio abbreviato fosse stata pronunciata con formula piena ai sensi dell’art. 530 c.p.p. oppure ai sensi del comma 2 per insufficienza o contraddittorietà della prova, dalla lettura della sentenza si evinceva che l’assoluzione era avvenuta ai sensi dell’art. 530, comma 2 avendo il giudice dato atto che la denuncia della M. non poteva da sola fondare il giudizio di responsabilità per non essere “assistita da alcuna presunzione di credibilità”, senza affermare che fosse scientemente falsa (circostanza comunque non emergente dalla sentenza). Aggiunse che doveva escludersi che l’elemento soggettivo (dolo o colpa grave) potesse automaticamente o ragionevolmente ritenersi dimostrato dalle ulteriori emergenze istruttorie documentali (relazione dei carabinieri ed investigazioni difensive svolte in sede penale), per cui, come correttamente affermato dal giudice di primo grado, gli accertamenti svolti in sede penale e l’assoluzione non consentivano di dedurre in termini di “mero automatismo” la responsabilità civile dell’appellata.

Ha proposto ricorso per cassazione R.O. sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 652 c.p.p., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudicato penale spiega efficacia in sede civile perché, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, nel dispositivo della sentenza penale, non impugnata, si legge che il R. è stato assolto “perché il fatto non sussiste”, come si legge anche a pag. 3 della sentenza, mentre a pag. 2 si legge che “non emerge in alcun modo che l’imputato abbia rivolto alla parte civile le parole di cui al capo d’imputazione, minacciandola con una spranga”. Aggiunge che la corte territoriale ha fornito un’interpretazione di una sentenza di chiaro significato testuale, violando l’art. 652.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha svolto una valutazione giuridica diversa da quanto richiesto dalle parti avendo posto in dubbio quanto statuito dalla sentenza penale, non impugnata da alcuna delle parti, violando così l’art. 112 la cui ratio è garantire il contraddittorio impedendo che trovino accoglienza domande su cui le parti non sono in grado di difendersi.

I motivi, da valutare congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, avendo il provvedimento impugnato deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e non offrendo i motivi alcun elemento per mutare orientamento.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità civile da reato di calunnia, la sentenza penale di assoluzione dell’attore dal fatto-reato, oggetto della calunnia, non dà luogo a giudicato facente stato in sede civile ai sensi degli artt. 651,652 e 654 c.p.p. in assenza di una ricognizione piena ed esclusiva degli elementi che connotano la denuncia dei fatti integranti il reato, collocati al tempo della denuncia e non a quello successivo della pronuncia di assoluzione; pertanto, in difetto di specifica allegazione da parte dell’attore degli elementi costitutivi della condotta dolosa della controparte al tempo della denuncia e del nesso di causalità sussistente tra evento e danno da ingiusta e falsa attribuzione di un reato, la domanda di risarcimento derivante da calunnia non può ritenersi fondata solo perché congruente con un’astratta ricognizione delle prove della falsità della notizia di reato acquisite nel corso del giudizio penale promosso d’ufficio dal p.m., dovendosi valutare gli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio penale oggetto della calunnia con riguardo alla situazione anteriore al promovimento dell’azione penale (Cass. n. 30988 del 2018). Resta infatti fermo che la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio o la proposizione di una querela per un reato così perseguibile, possono costituire fonte di responsabilità civile a carico del denunciante (o querelante), in caso di successivo proscioglimento o assoluzione del denunciato (o querelato), solo ove contengano gli elementi costitutivi (oggettivo e soggettivo) del reato di calunnia, poiché, al di fuori di tale ipotesi, l’attività del pubblico ministero titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante-querelante, interrompendo ogni nesso causale tra denuncia calunniosa e danno eventualmente subito dal denunciato o querelato (Cass. n. 30988 del 2018, n. 11898 del 2016).

Il giudice di merito, escludendo ogni forma di automatismo fra sentenza penale di assoluzione dell’attore dal fatto-reato e la responsabilità civile della denunciante, ha svolto una valutazione degli elementi rilevanti nel giudizio penale conclusosi con l’assoluzione, ivi compreso il contenuto della stessa sentenza di assoluzione, concludendo per l’assenza del requisito soggettivo di cui all’art. 2043.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 – quater della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2021

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