Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.38 del 07/01/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21535-2018 proposto da:

CAB-LOG S.R.L., elettivamente domiciliata in ROMA VIA C. MIRABELLO 6, presso lo studio dell’Avvocato ANTONELLA SCANO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO GIORGIO BERGAMO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI – ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI *****, domiciliato in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2703/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 31/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalle parti.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La società ricorrente proponeva opposizione dinanzi al Tribunale di Venezia avverso 14 ordinanze ingiunzione relative al pagamento delle sanzioni amministrative pecuniarie per un importo di Euro 55.245,53, nella qualità di coobbligata ex lege, per la violazione delle norme relative ai tempi di guida giornalieri e/o settimanali dei propri autisti dipendenti (Reg. CE n. 561/06, art. 6 commi 1 e 3), ai periodi di pausa prescritti dopo un periodo di guida consecutiva di 4 ore e mezza ed ai tempi di riposo giornalieri e settimanali, violazione accertata con il processo verbale amministrativo n. *****.

Il Tribunale di Venezia con la sentenza n. 284 del 3 febbraio 2017 accoglieva l’opposizione, ritenendo che la sentenza n. 336/2012 del giudice di pace di Venezia che aveva deciso altra opposizione della società avverso il predetto verbale di contestazione, quanto alla responsabilità del datore di lavoro, per avere omesso di organizzare l’attività lavorativa dei dipendenti in maniera da assicurare il rispetto dei prescritti temi di riposo, costituisse cosa giudicata ed idonea a determinare l’assenza di responsabilità della istante anche in relazione alle ordinanze in questa sede impugnate.

Il Ministero del Lavoro con atto di citazione notificato il 7 marzo 2017 proponeva appello avverso tale sentenza, e nella resistenza di Cab-Log S.r.l., la Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 2703/2017 del 31/1/2018 accoglieva il gravame, ritenendo che il giudizio vertesse solo sulla responsabilità solidale del datore di lavoro per gli illeciti amministrativi commessi dai conducenti, laddove il preteso giudicato invocato dalla società atteneva alla diversa responsabilità datoriale per l’illecito amministrativo correlato alla mancata organizzazione dell’attività imprenditoriale al fine di assicurare il rispetto dei tempi di pausa.

Peraltro, le infrazioni che il giudice di pace aveva reputato insussistenti erano diverse da quelle che erano invece poste a fondamento delle ordinanze oggetto di opposizione nel presente procedimento.

La Cab-Log S.r.l. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di due motivi.

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Ispettorato Territoriale del lavoro di ***** ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza di appello attesa la tardività del gravame proposto, questione rilevabile d’ufficio, che ha determinato il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Si rileva che il giudizio ha ad oggetto opposizione ad ordinanze ingiunzione introdotto con ricorso dinanzi al giudice di pace in data 28 ottobre 2014, e quindi in epoca successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011.

La sentenza di prime cure che è stata emessa all’esito dell’udienza di discussione del 3 febbraio 2017, è stata poi notificata in data 6 febbraio 2017, laddove l’appello è stato introdotto dalla PA con atto di citazione notificato in data 7 marzo 2017, essendosi poi provveduto all’iscrizione a ruolo del giudizio di appello solo in data 14/3/2017.

Si rileva che poichè il procedimento è stato iniziato in primo grado già nella vigenza del D.Lgs. n. 150 del 2011, ed essendo il giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione assoggettato al rito del processo del lavoro, anche l’appello doveva essere proposto con ricorso, e non con citazione, come invece avvenuto nel caso di specie.

Ne deriva che, anche a voler dare applicazione al principio di conservazione degli atti, in ogni caso la tempestività dell’appello deve essere valutata non già in relazione alla data di notifica dell’atto di appello, erroneamente proposto con citazione, ma alla diversa data di deposito in cancelleria in occasione della successiva iscrizione a ruolo del 14/3/2017, data che si palesa tardiva, atteso che la sentenza di primo grado era stata notificata, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, in data 6/2/2017.

Il motivo è fondato.

Infatti, trattandosi di giudizio già intrapreso in primo grado dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, trova applicazione il principio affermato da questa Corte per il quale (cfr. Cass. n. 25061/2015) il giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione, instaurato successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, è soggetto al rito del lavoro, sicchè l’appello avverso la sentenza di primo grado, da proporsi con ricorso, è inammissibile ove l’atto sia stato depositato in cancelleria oltre il termine di decadenza di trenta giorni dalla notifica della sentenza o, in caso di mancata notifica, nel termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., senza che incida a tal fine che l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione, assumendo comunque rilievo solo la data di deposito di quest’ultima (conf. Cass. n. 19298/2017; Cass. n. 21387/2017; Cass. n. 17666/2018).

Ne consegue che nella fattispecie l’appello andava introdotto con ricorso e non come invece avvenuto con citazione, e che sebbene la notifica dell’appello sia intervenuta in data 7/3/2017, l’atto è stato poi depositato in cancelleria (momento in relazione al quale va verificata la tempestività dell’appello per quanto sopra detto) solo in data 14/03/2014, risultando quindi tardivo in relazione alla data di notificazione della sentenza di primo grado avvenuta il 6/2/2007.

Trattasi peraltro di conclusione che si conforma ad un orientamento costante nella giurisprudenza di questa Corte, essendosi affermato: (a) per un verso, che nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’inammissibilità dell’impugnazione, perchè depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza, non trova deroga nell’ipotesi in cui l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione anzichè con ricorso, laddove l’atto, pur suscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 156 c.p.c., u.c., non venga depositato entro il termine per proporre impugnazione (Cass., Sez. lav., 10 luglio 2015, n. 14401); (b) per l’altro verso, che, in forza del D.Lgs. n. 150 del 2011, ai giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione e a quelli di opposizione a verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, introdotti dopo il 6 ottobre 2011, si applica il rito del lavoro, e in particolare l’art. 434 c.p.c., sicchè, in detti giudizi, l’appello deve essere proposto in forma di ricorso, con le modalità e nei termini ivi previsti, e ai fini della tempestività del gravame vale la data di deposito dell’atto introduttivo (Cass., Sez. VI-2, 7 novembre 2016, n. 22564).

Nè appare possibile superare la decadenza maturata a carico dell’appellante disponendo la conversione del rito, introdotto con citazione invece che con ricorso, e facendo conseguentemente applicazione, in grado di appello, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5, che per il caso di mutamento del rito prevede che “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”.

Infatti, tale norma non può trovare qui applicazione, essendo riferita – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. VI-1, 6 luglio 2016, n. 13815; Cass., Sez. VI-1, 16 febbraio 2017, n. 4103; Cass., Sez. VI-1, 12 maggio 2017, n. 11937; Cass., Sez. VI-1, 16 maggio 2017, n. 12133) – al solo mutamento del rito disposto in primo grado, non già in grado di appello, atteso che – come già è stato chiarito da Cass., Sez. VI-1, 18 agosto 2016, n. 17192 – l’art. 4, dispone la salvezza degli effetti processuali della domanda secondo le norme del rito seguito prima del mutamento nel contesto di una disposizione che prevede, al comma 2, che la conversione del rito venga pronunciata “non oltre la prima udienza di comparizione delle parti”. La norma in esame riguarda il solo caso in cui il giudizio sia stato erroneamente instaurato in primo grado secondo un rito difforme da quello previsto dalla legge, e non può quindi essere estesa all’ipotesi in cui l’errore sia caduto sulle modalità di proposizione dell’appello, essendosi correttamente svolto il primo grado nelle forme prescritte (Cass. n. 19298/2017).

Ne discende l’inammissibilità dell’appello proposto.

Atteso l’accoglimento del primo motivo di ricorso, risulta poi assorbito il secondo motivo, con il quale si deduce la violazione dell’art. 2909 c.c., quanto all’erronea valutazione compiuta dal giudice di appello circa l’efficacia della precedente sentenza del giudice di pace di Venezia n. 336/2012 come idonea a precludere il riesame anche dei fatti oggetto delle ordinanze in questa sede opposte.

Ne discende che la sentenza impugnata dev’essere cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, perchè il processo non poteva essere proseguito.

Da tanto deriva altresì che resta ferma la decisione resa dal primo giudice.

Le spese del presente giudizio e di quelle del grado d’appello seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso ed assorbito il secondo, cassa senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il processo non poteva essere proseguito;

Condanna il Ministero intimato al rimborso in favore della ricorrente delle spese del giudizio di appello, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi ed accessori di legge e del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472