Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.381 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

VOLARE s.p.a., in amm. str., in persona dei commissari straordinari, rappr. e dif. dall’avv. Federica D’Innocenzo, federicadinnocenzo.ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso lo studio, in Roma, via F. Cesi n. 72, come da procura a margine dell’atto;

– ricorrente –

contro

T.B.M., rappr e dif. dall’avv. Stefano Minucci, stefanominucci.pec.studiominucci.com, elett. dom. presso lo studio in Roma, via A. Chinotto n. 1, come da procura a margine dell’atto;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Roma 8.8.2015, n. 590/2015, in R.G. 82187/2013;

lette le memorie delle parti;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 3.11.2020.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. T.M. domandava di essere ammesso in prededuzione allo stato passivo dell’amministrazione straordinaria di VOLARE s.p.a. (PROCEDURA) per l’importo di Euro 71.388,57, per i plurimi titoli di saldo preavviso, TFR, bonus, indennità supplementare prevista dall’accordo sindacale del 27 aprile 1995, rateo della 13 mensilità sul 2008;

2. l’istanza, depositata L. Fall., ex art. 111-bis, era dichiarata inammissibile dal giudice delegato assumendo trattarsi di crediti non concorsuali, con accertamento demandato allo stesso giudice solo in caso di contestazione dei commissari;

3. T. proponeva opposizione sul presupposto che: a) il pagamento parziale delle pretese e il contegno silenzioso dei commissari equivalevano ad implicita contestazione; b) l’indennità supplementare spettava a prescindere dal fatto che il dirigente “fosse rimasto privo del rapporto di lavoro”, in ogni caso avendo questi provato lo stato di disoccupazione, non avendo continuato la prestazione lavorativa in capo alla nuova società CAI; b) l’indennità era peraltro dovuta per via della prosecuzione del rapporto avvenuta nell’interesse aziendale e “per volontà della procedurà, dunque correlandosi ai crediti sorti per la continuazione dell’attività d’impresa”;

4. sulla costituzione della procedura, il Tribunale di Roma, con decreto 5.8.2015, accoglieva il ricorso, ritenendo: a) non contestata l’applicazione fra le parti dell’accordo sindacale CCNL per dirigenti dell’industria del 27.4.1995; b) pacifici l’assunzione del ricorrente quale dirigente di Volare s.p.a., l’inerenza del rapporto di lavoro al citato Accordo e la sua risoluzione unilaterale da parte dei commissari straordinari “a seguito della chiusura dell’attività produttiva dell’azienda” entrata in procedura concorsuale; c) decisiva, ai fini della spettanza dell’indennità, una cesura “effettiva” del rapporto di lavoro ed in particolare non tanto lo stato di disoccupazione del dipendente, bensì la circostanza della sua non ricollocazione nell’ambito della stessa amministrazione straordinaria, anche per effetto di eventuale licenziamento e riassunzione alle dipendenze del cessionario aziendale, come previsto dalla disposizione speciale di cui al D.L. n. 347 del 2003, art. 5, comma 2-ter, proprio per le imprese di cui all’art. 2, comma 2, secondo periodo (operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali ovvero che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale ai sensi del D.L. 3 dicembre 2012, n. 207, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 dicembre 2012, n. 231); d) provato che il ricorrente non era stato riassunto in CAI; e) dovuta l’ammissione in prededuzione, poichè, allorquando la società in amministrazione straordinaria decide di non licenziare un dirigente, “tutti i crediti maturati da quest’ultimo risultano sorti in funzione della continuità aziendale”, senza che sia dato “distinguere tra quelli aventi maggiore o minore funzione retributiva, piuttosto che indennitaria”, operando come norma speciale quella dell’Accordo sindacale, il quale stabilisce in modo espresso che, per quel tipo di procedura, sia riconosciuta l’indennità supplementare al trattamento parametrata all’indennità di preavviso e, a differenza del TFR, non maturata per anno, bensì dovuta per effetto dell’interruzione del rapporto decisa da un’impresa in amministrazione straordinaria; f) insussistente una categoria di creditori, per prestazioni successive e dunque crediti sorti in capo alla procedura privi di qualità prededotta, da riconoscere conclusivamente nella vicenda per tutte le voci stipendiali, in quanto “sorte dopo la apertura della procedura concorsuale”, detratti Euro 1.139,42 risultati pagati;

5. la pronuncia è stata impugnata dall’amministrazione straordinaria con un ricorso per cassazione articolato in sette motivi; resiste con controricorso T.M.B.; le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. il primo motivo oppone la nullità della sentenza per omessa pronuncia e comunque violazione della L. Fall., art. 99 e art. 2697 c.c., sull’eccezione di Volare relativa alla mancata prova della riferibilità del motivo di licenziamento alla procedura, per essere dovuto invece alla chiusura dell’azienda;

2. col secondo mezzo la ricorrente denuncia la violazione, o falsa applicazione, dell’Accordo sulla risoluzione del rapporto di lavoro nei casi di crisi aziendale del 27 aprile 1995, laddove si afferma che l’indennità supplementare spetta solo se l’azienda motiva il recesso come dovuto a situazione di crisi aziendale o amministrazione straordinaria, mentre nel caso sarebbe mancata tale relazione immediata;

3. il terzo motivo censura, come vizio di motivazione, l’omesso esame della prosecuzione dell’attività aziendale dopo l’ammissione alla procedura e la riconducibilità del recesso non a determinazione della procedura di amministrazione straordinaria in sè, bensì alla chiusura dell’azienda;

4. il quarto motivo oppone la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., per omissione o illogicità della motivazione in ordine alla spettanza dell’indennità supplementare a fronte di un recesso motivato con la cessazione dell’attività produttiva e nullità della sentenza, per mancanza di motivazione sul punto;

5. con il quinto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 111,D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 20, nonchè del verbale di Accordo del 27 aprile 1999 in ordine alla affermata prededucibilità del credito, avendo erroneamente il decreto trascurato che l’identità supplementare avrebbe natura di “penale forfettaria” prevista per specifiche ipotesi di licenziamento oggettivo e non può costituire oggetto di un “credito sorto per la gestione del patrimonio aziendale”;

6. con il sesto motivo si censura il decreto impugnato per violazione di legge in riferimento all’art. 111 Cost., comma 6, all’art. 132 c.p.c. e all’art. 118 disp. att. c.p.c. e nullità della sentenza, in quanto le argomentazioni svolte, da parte del giudice dell’opposizione e con riguardo al tema della prededuzione, sarebbero connotate da grave illogicità;

7. con il settimo motivo si invoca l’omesso esame e l’omessa pronuncia circa l’eccepita inammissibilità della tardiva modifica della domanda del ricorrente quale effettuata all’udienza del 26.3.2015 con la ulteriore richiesta subordinata di ammissione al passivo in privilegio;

6. il primo, secondo, terzo e quarto motivo, da trattare congiuntamente, sono infondati; viene in questione la previsione del verbale di accordo del 27 aprile 1995, allegato al CCNL Dirigenti aziende industriali che recita: “In presenza delle specifiche fattispecie di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione ovvero crisi aziendale di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, riconosciute con il D.M. lavoro di cui alla L. 19 luglio 1994, n. 451, art. 1, comma 3, nonchè delle situazioni aziendali accertate dal Ministero del lavoro ai sensi della L. 19 dicembre 1984, n. 863, art. 1, l’azienda che risolva il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, motivando il proprio recesso come dovuto alle situazioni sopra indicate, erogherà al dirigente, oltre alle spettanze di fine rapporto, una indennità supplementare al trattamento di fine rapporto pari al corrispettivo del preavviso individuale maturato”; precisa lo stesso accordo che tale disciplina “trova applicazione, con pari decorrenza, anche nell’ipotesi di amministrazione straordinaria (gestione commissariale) attuata ai sensi e con la procedura della L. 3 aprile 1979, n. 95, sempre che l’azienda motivi il recesso con riferimento alla situazione di cui alla legge medesima” e con un rinvio agli aggiornamenti normativi che s’intendono richiamati nell’Accordo;

7. orbene, le censure non trovano riscontro, dal momento che il tribunale ha esaminato e valutato le relative eccezioni e pienamente considerato la prosecuzione aziendale, respingendo tali contestazioni, laddove ha stabilito che il dirigente di azienda industriale può beneficiare dell’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto contemplata nel citato Accordo sindacale se la soppressione del posto di lavoro sia la naturale e diretta conseguenza della crisi aziendale, nonchè precisando che la stessa interruzione del rapporto di lavoro, riferibile ad atto unilaterale aziendale, è provenuta dai commissari proprio in una fattispecie di ristrutturazione/riconversione e situazione di crisi, così dovendosi interpretare la motivazione della risoluzione “a seguito della chiusura dell’attività produttiva dell’azienda collocata in amministrazione straordinaria”;

8. non è dunque di ostacolo che il rapporto di lavoro con i commissari sia continuato per un breve periodo se, come nella specie, la sua interruzione unilaterale trovi giustificazione nella stessa situazione di crisi per la quale da un lato la procedura concorsuale è stata instaurata e, dall’altro, l’attualità della medesima, senza soluzione di continuità, giustifichi la risoluzione; proprio l’astratta pluralità di cause che potrebbero originare il licenziamento conferma che invece, quando esso è motivato dalla cessazione dell’attività produttiva ed è assunto da chi, quale organo della procedura concorsuale, amministra l’impresa, integra un’unitaria fattispecie giustificativa appieno riflettente la previsione della sua riferibilità – ai fini di causa – alle vicende descritte nel menzionato Accordo; così come basta che “il licenziamento del dirigente abbia causa concreta nella riorganizzazione, ristrutturazione o crisi aziendale, anche se asseverate dal Ministero del Lavoro in data successiva nell’ambito della procedura per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria” (Cass. 3442/2020, in motivazione); per i primi profili le critiche si risolvono pertanto in un’inammissibile censura proprio sulla motivazione (Cass. s.u. 8053/2014);

9. su altri profili le censure sono infondate, dovendosi osservare che già questa Corte, con riferimento all’Accordo collettivo del 16 maggio 1985 (sovrapponibile a quello del 7 aprile 1995, per quanto qui interessa) ha ritenuto che la disposizione che attribuisce l’indennità prescinde dall’epoca in cui interviene il recesso del dirigente, ma “la ricollega ad una situazione in itinere, insorta con intenzione conservativa, il rischio del cui esito negativo non può trasferirsi sul dirigente esclusivamente in base al dato temporale offerto dall’epoca del recesso, pur sempre giustificato in attuazione della pattuizione collettiva di riferimento” (Cass. 14769/2005, in motivazione) e ha inoltre evidenziato che “il riferimento alle situazioni specificamente previste non deve necessariamente aver luogo con l’uso di formule sacramentali ma può sussistere nel caso in cui la soppressione del posto di lavoro rappresenti la naturale e diretta conseguenza della cessazione di ogni attività produttiva dovuta alla riconosciuta crisi aziendale” (Cass. 12628/2000, in motivazione), cioè ne sia stata la causa concreta (Cass. 16563/2020); sulla stessa linea, prendendo in esame l’Accordo collettivo del 7 aprile 1995, si è statuito che “l’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto ivi prevista per i dirigenti di azienda deve essere riconosciuta al dipendente nel caso in cui il licenziamento sia obiettivamente causato da ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale, al di là della motivazione formalmente adottata dal datore di lavoro” (Cass. 86/2019, 3442/2020);

10. i motivi quinto e sesto, da esaminare insieme, vanno disattesi alla luce del principio per cui “l’indennità supplementare prevista dall’accordo sulla risoluzione del rapporto di lavoro nei casi di crisi aziendale allegato al CCNL dei dirigenti aziendali, costituisce – a prescindere dalla sua natura retributiva o indennitaria – un credito da ammettere al passivo in prededuzione L. Fall., ex art. 111, per i dirigenti di imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria che siano cessati dal rapporto di lavoro solo successivamente al provvedimento di ammissione alla procedura, essendo la sua prosecuzione indubitabilmente funzionale alle esigenze di continuazione dell’attività di impresa” (Cass. 29735/2018, 16789/2020);

11. il settimo motivo è assorbito per effetto della reiezione dei precedenti, non avendovi invero il ricorrente interesse; in conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna alle spese del giudizio secondo soccombenza e sussistenza dei presupposti processuali del raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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