LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
EQUITALIA CENTRO s.p.a., rappr. e dif. dall’avv. Davide Mongatti, davide.mongatti.avvocatiperugiapec.it, elett. dom. presso lo studio, in Perugia, via Baglioni n. 10, come da procura in calce all’atto;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ASSOCIAZIONE ***** s.p.a., in persona del cur. fall.
p.t., rappr e dif. dagli avv. Stefano Bogini, stefano.bogini.avvocatiperugiapec.it e Gianmarco Gorietti, elett. dom. presso lo studio del primo in Perugia, piazza Piccinino n. 10, come da procura a margine dell’atto;
– controricorrente e ricorrente in via incidentale –
per la cassazione della sentenza App. Perugia 11.6.2015, n. 348/2015, in R.G. 592/2012;
lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 3.11.2020.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. EQUITALIA CENTRO s.p.a. impugna la sentenza App. Perugia 11.6.2015, n. 348/2015, in R.G. 592/2012 che ha rigettato il suo appello avverso il decreto 21.6.2012 del Tribunale di Perugia che, a sua volta, non aveva accolto l’insinuazione tardiva proposta per far riconoscere in ipotecario un credito della ricorrente già ammesso in chirografo allo stato passivo del FALLIMENTO ASSOCIAZIONE ***** s.p.a. (FALLIMENTO);
2. la corte ha premesso che la statuizione gravata era d’inammissibilità della domanda con cui Equitalia, allo scopo di conseguire una miglior qualificazione concorsuale del proprio credito, aveva chiesto la revocazione della prima ammissione al passivo, conseguentemente respingendo l’insinuazione proposta, preclusa dal giudicato nel frattempo affermatosi; in particolare, la sentenza ha ritenuto: a) accoglibile l’appello, in quanto domanda tardiva e domanda di revocazione (nella quale la prima si era “mutata”) avevano il medesimo petitum, fondandosi inoltre sulle stesse circostanze di fatto, per cui non ricorreva alcuna mutatio libelli; b) priva di legittimazione tuttavia Equitalia, avendo essa impiegato uno strumento – la revocazione – che non può condurre ad un “provvedimento favorevole a colui il cui credito sia stato impugnato”;
3. il ricorso è su tre motivi; ad esso resiste il fallimento con controricorso e ricorso incidentale condizionato, su due motivi; le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. il primo motivo del ricorso principale deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo errato la corte nel non esaminare e decidere in via autonoma la domanda d’insinuazione tardiva del credito per il riconoscimento della sua qualità ipotecaria, fondata sul fatto nuovo, successivo e prima sconosciuto alla parte, della riduzione del pignoramento relativamente agli immobili su cui aveva preso la garanzia;
2. il secondo motivo solleva il vizio di illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 102, per contrarietà agli artt. 3 e 24 Cost., ove sia interpretato, come avvenuto, così da non consentire l’ammissibilità anche della revocazione ordinaria ex art. 395 c.p.c., nella formazione del passivo fallimentare;
3. con il terzo motivo si censura la sentenza ove non ha comunque consentito, disapplicando l’art. 395 c.p.c., n. 3, l’esame altresì dei presupposti della revocazione, così interpretando in senso estensivo la L. Fall., art. 102;
4. il motivo del ricorso incidentale condizionato deduce l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, delle questioni di merito sollevate dal fallimento e volte al rigetto della insinuazione tardiva per preclusione da giudicato sullo stato passivo, novità della domanda di revocazione, inesistenza di una impossibilità a far valere la revocazione stessa, inopponibilità alla procedura delle ipoteche vantate da controparte per iscrizione dopo il pignoramento dei beni acquisiti al fallimento, efficacia pregiudizievole del pignoramento sui beni, conoscibilità di tali gravami da registri pubblici;
5. i tre motivi del ricorso principale possono essere trattati congiuntamente, poichè connessi e sono per taluni profili infondati e per altri inammissibili, conseguendone l’assorbimento del ricorso incidentale; va premesso che la corte d’appello ha interpretato la domanda del ricorrente come rivendicazione, sul presupposto che essa era volta ad ottenere il medesimo risultato (l’ammissione al passivo in via ipotecaria di crediti già insinuati ed ammessi in via chirografaria) di quella in esordio pur avanzata come insinuazione tardiva e si fondava sulla stessa causa petendi inizialmente dedotta (la impossibilità di dedurre in precedenza una circostanza, la riduzione del pignoramento quanto agli immobili su cui gravava la garanzia, scoperta solo successivamente);
6. conviene il Collegio che “l’interpretazione della domanda deve essere diretta a cogliere, al di là delle espressioni letterali utilizzate, il contenuto sostanziale della stessa, desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria” (Cass. s.u. 3041/2007); in realtà, si tratta di operazione “riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, è censurabile in sede di legittimità solo quando ne risulti alterato il senso letterale o il contenuto sostanziale dell’atto, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire” (Cass. 2148/2004); per questo iniziale profilo il primo motivo si palesa inammissibile, nè ricorre alcun vizio di motivazione (l’unico esaminabile in sede di legittimità, ma “ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” (Cass. 31546/2019); la censura omette invero di considerare che il giudice di merito ha esattamente assecondato – negando l’irritualità di ogni mutatio libelli – la domanda così come via via precisata dalla parte, in ciò ed alfine pertanto non violando il divieto di ultrapetizione;
7. ancora il primo motivo è inammissibile altresì laddove, richiamandosi alla qualificazione operata con l’atto introduttivo del processo, denominativamente collegato alla L. Fall., art. 101 e benchè articolato quale domanda di sostanziale revocazione di credito ammesso per invocarne la nuova qualità ipotecaria L. Fall., ex art. 102, prospetta di aver comunque chiesto una decisione autonoma sulla insinuazione tardiva, di medesimo contenuto e dunque sul presupposto che le domande fossero in realtà due; anche per questa ipotesi il vizio dedotto non sussiste, già perchè la domanda sarebbe in sè inammissibile, come da consolidato indirizzo maturato in sede di legittimità anche con riguardo all’istituto delle domande tardive secondo il testo anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 5 del 2006; si ricorda infatti che “il sistema della legge fallimentare – in ragione del principio generale che riconosce carattere giurisdizionale e decisorio al procedimento di verificazione del passivo – esclude la possibilità di una duplice insinuazione, ordinaria e tardiva, di uno stesso credito, sicchè, dovendosi identificare il “petitum” della domanda di ammissione al passivo nel riconoscimento del diritto a partecipare al concorso per un credito individuato e con un certo rango, una volta collocato definitivamente al passivo in via chirografaria, è preclusa, la formulazione di una successiva domanda tardiva per il riconoscimento di un diritto di prelazione sul medesimo credito” (Cass. 14936/2016);
7. quanto alla domanda di revocazione, il suo rigetto appare conforme al principio, fissato in sede di legittimità da Cass. 9318/2013, per cui “l’istanza di revocazione contro crediti ammessi… ha carattere di impugnazione straordinaria, volta a conseguire il risultato che l’esecuzione collettiva vada a favore degli effettivi creditori. Ne consegue che solo un creditore ammesso, in quanto partecipe al concorso, essendo portatore di un interesse concreto ed attuale, è legittimato alla proposizione dell’istanza diretta all’esclusione di un credito o di una garanzia da cui sia pregiudicato, dovendosi invece escludere che il creditore erroneamente ammesso possa conseguire un provvedimento favorevole… mentre ove intenda essere escluso, potrà rinunziare alla ammissione, ovvero sollecitare il curatore a proporre istanza di revocazione” (Cass. 9318/2013); ed invero, anche dopo la riformulazione dell’istituto nel riformato L. Fall., art. 98, comma 4, ha trovato conferma lo stesso principio per cui “legittimati alla sua proposizione sono – oltre che il curatore e i titolari di diritti su beni mobili e immobili del fallito – i soli creditori ammessi al passivo, i quali possono ricevere pregiudizio dal fatto che con essi concorra un soggetto privo della qualità di creditore o di creditore privilegiato” (Cass. 28666/2013) e nemmeno il fallito (Cass. 19721/2015), nel logico presupposto che – quanto ai soggetti diversi dall’organo della procedura, che agisce a fini di legalità – la legittimazione all’azione di revocazione implica l’interesse e la finalità di sottrarre dallo stato passivo un credito ammesso, così da circoscrivere il novero degli aventi diritto ai riparti (come affermato, dando continuità ad una norma sostanzialmente invariata anche dopo la riforma, da Cass. 28666/2013, 9391/2015); ne deriva la sua inammissibilità da parte del creditore che, anche per questa via indiretta – e come nella vicenda – persegua il diverso obiettivo di incrementare qualitativamente la sua partecipazione al concorso;
8. al carattere straordinario dell’impugnazione può dunque ragionevolmente connettersi un significato di esclusività del rimedio, che, nella sua specialità, è incompatibile con la possibile coesistenza con l’istituto ordinario di cui all’art. 395 c.p.c., n. 3, il solo qui invocato, anche per l’assorbimento di alcune ragioni d’impedimento tra le quali, per come descritta, la stessa “causa non imputabile” preclusiva di una produzione tempestiva di documenti decisivi; si tratta di considerazione che già di per sè sottrae fondamento al dubbio di illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 102 (testo anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 5 del 2006), rilevando inoltre che esso appare inammissibilmente formulato per un verso avendo riguardo alla cit. Cass. 9318/2013, da intendersi – secondo la parte – come pronuncia di overruling e, per altro, esprimendo circostanze nemmeno impeditive al deposito di una diversa tempestiva domanda d’insinuazione al passivo con richiesta originaria di ammissione del credito anche in via ipotecaria;
9. quanto al richiamo all’overruling esso è del tutto improprio, non avendo Cass. 9318/2013 espresso alcuna attinenza, in alcuno dei suoi fattori, agli elementi costitutivi ricavabili da Cass. s.u. 15144/2011, nè avendo il ricorrente offerto alcuna indicazione diversa da una generica invocazione del principio per cui “il mutamento della propria precedente interpretazione della norma processuale da parte del giudice della nomofilachia… il quale porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, opera – laddove il significato che essa esibisce non trovi origine nelle dinamiche evolutive interne al sistema ordinamentale come interpretazione correttiva che si salda alla relativa disposizione di legge processuale “ora per allora”, nel senso di rendere irrituale l’atto compiuto o il comportamento tenuto dalla parte in base all’orientamento precedente. Infatti, il precetto fondamentale della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.) impedisce di attribuire all’interpretazione della giurisprudenza il valore di fonte del diritto, sicchè essa, nella sua dimensione dichiarativa, non può rappresentare la “lex temporis acti”, ossia il parametro normativo immanente per la verifica di validità dell’atto compiuto in correlazione temporale con l’affermarsi dell’esegesi del giudice. Tuttavia, ove l'”overruling” si connoti del carattere dell’imprevedibilità (per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso), si giustifica una scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte risultante “ex post” non conforme alla corretta regola del processo) e l’effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare, con la conseguenza che – in considerazione del bilanciamento dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del giusto processo (art. 111 Cost.), volto a tutelare l’effettività dei mezzi di azione e difesa anche attraverso la celebrazione di un giudizio che tenda, essenzialmente, alla decisione di merito – deve escludersi l’operatività della preclusione o della decadenza derivante dall”overruling” nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell’arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l’apparenza di una regola conforme alla legge del tempo. Ne consegue ulteriormente che, in siffatta evenienza, lo strumento processuale tramite il quale realizzare la tutela della parte va modulato in correlazione alla peculiarità delle situazioni processuali interessate dall'”overruling””;
10. il ricorrente dunque, oltre a confondere i due istituti, ha meramente dato conto di un paventato contesto decisorio reiettivo della domanda che l’avrebbe scoraggiato a proporla, posto che, al contrario e senza contestazioni sul punto, l’ipoteca sui beni già concerneva immobili divenuti di proprietà della società fallita nel 2001, nessun apprezzamento dovendosi conferire, in questa sede, alla circostanza di mero fatto della riduzione del pignoramento (chiesta dal creditore fondiario del dante causa al giudice dell’esecuzione immobiliare nel novembre 2005 e da questi) disposta nel 2006 nella procedura in cui essi erano stati staggiti, nel 2001 e dunque già prima delle iscrizioni (tra il 2003 e il 2004) delle ipoteche legali, non costituendo allora il venir meno del vincolo esecutivo la rimozione di una impossibilità anche solo di fatto ad insinuare al passivo (come non accaduto con la domanda del 2006, ma solo nel 2010, con la seconda) un credito ipotecario (di grado ulteriore) nel fallimento del proprio debitore e già prima, a prescindere dal successo della domanda;
11. per di più, la scelta non appare essere stata rappresentata siccome determinata da un oggettivo rinvenimento di “documenti decisivi prima ignorati” (secondo il vecchio testo della L. Fall., art. 102, ratione temporis applicabile), non potendo in astratto l’esito temuto di un giudizio non promosso essere elevato ad impedimento rilevante alla stregua di causa di revocazione e dunque sottraendo di per sè e a sua volta anche rilevanza alla sollecitata questione di costituzionalità; d’altronde, la giurisprudenza di legittimità da tempo è orientata a riconoscere che “l’ammissione al passivo fallimentare di un credito in via privilegiata non presuppone, ove si tratti di privilegio speciale su determinati beni, che questi siano già presenti nella massa, non potendosi escludere la loro acquisizione successiva all’attivo fallimentare; ne consegue che è a tal fine sufficiente, in sede di verifica dello stato passivo, l’accertamento dell’esistenza del credito e della correlativa causa di prelazione, dovendosi demandare alla successiva fase del riparto la verifica della sussistenza o meno dei beni stessi, da cui dipende l’effettiva realizzazione del privilegio speciale” (Cass. s.u. 16060/2001), secondo una pronuncia che ha solo regolato in via più stabile un indirizzo già segnato, tra le altre, da Cass. 3728/1982 e poi continuato via via fino alla lezione corrente (Cass. 17329/2017, Cass. 5341/2019);
il ricorso principale va dunque rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato; le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano come da dispositivo; sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).
PQM
la Corte rigetta il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in Euro 7.800, oltre ad Euro 200 per esborsi, al rimborso forfettario del 15% sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021