Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.387 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14578/2015 proposto da:

Cefalù 20 S.c.a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Cosseria n. 2, presso lo Studio Placidi, rappresentata e difesa dall’avvocato Cerisano Gianni, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., L.B.L., M.M., elettivamente domiciliati in Roma, Viale delle Milizie n. 106, presso lo studio dell’avvocato Falvo D’Urso Francesco, rappresentati e difesi dall’avvocato Gambino Liborio, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1949/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 01/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/11/2020 dal Cons. Dott. MELONI MARINA.

FATTI DI CAUSA

Gli attori M.G., L.B.L. e M.M., proprietari di distinti beni interessati dalla realizzazione del progetto esecutivo di potenziamento infrastrutturale e tecnologico della linea ferroviaria *****, rifiutarono la somma offerta dalla società Cefalù 20 scarl nel ruolo assunto di Contraente Generale, attivando la procedura di nomina della terna dei tecnici per la stima, prevista dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21.

La predetta società, in persona del legale rappresentante, ritenuta eccessiva la stima effettuata dai periti, convenne M.G., L.B.L. e M.M. davanti alla Corte di Appello di Palermo per ivi sentir determinare il giusto valore degli immobili, che risultavano acquistati a prezzi di gran lunga inferiori.

Si costituirono i convenuti, i quali eccepirono, sotto vari profili, l’inammissibilità dell’opposizione, proponendo altresì domanda riconvenzionale per ottenere, oltre all’indennità come determinata in sede peritale, la maggiorazione del 10 per cento ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, nonchè la determinazione delle indennità di occupazione rispettivamente spettanti.

Nel corso del giudizio venne espletata consulenza tecnica d’ufficio, all’esito della quale le indennità di espropriazione vennero determinate, a favore degli attori M.G. e L.B.L. in complessivi Euro 192.500,00, e, quanto a M.M., in Euro 165.000,00 oltre interessi legali.

Quanto alle indennità di occupazione, si rilevava preliminarmente che doveva farsi riferimento, quanto alla durata, “al periodo intercorrente fra la data di immissione in possesso.. e quella dell’odierna decisione, non risultando che il decreto di espropriazione sia stato ancora emesso”. Dette indennità venivano quindi determinate, rispettivamente, in Euro 86.892,3 e in Euro 74.479,16, quanto a M.M..

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo la società Cefalù 20 scarl ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. M.G., L.B.L. e M.M. si sono costituiti con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 38 D.P.R. n. 327 dell’8/6/2001, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la Corte di Appello di Palermo ha recepito le risultanze della CTU aderendo acriticamente alla CTU espletata in corso di giudizio, senza fornire adeguata e coerente motivazione in ordine agli elementi decisivi della stima ed ha liquidato per l’area espropriata un’indennità di occupazione ed espropriazione superiore al valore di mercato degli immobili, individuata mediante un’errata applicazione del metodo sintetico-comparativo.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 38, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Palermo ha applicato una maggiorazione del 10% sulle indennità di espropriazione, non riferibile ai fabbricati.

Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 22 bis e 50, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Palermo ha erroneamente quantificato l’indennità di occupazione fino alla data della sentenza, mentre al contrario l’indennità di occupazione doveva essere quantificata fino alla data del decreto di esproprio.

Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Palermo ha condannato alle spese la ricorrente, parte vittoriosa.

Rileva il Collegio che l’esame dei motiv,i riguardanti l’indennità di espropriazione deve essere preceduto da una riflessione in ordine al rilievo che assume nel presente procedimento l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, della mancata emanazione del decreto di espropriazione.

Com’è noto, il decreto di esproprio costituisce una condizione dell’azione di determinazione dell’indennità di espropriazione ed è sufficiente, quindi, che venga ad esistenza prima della decisione della causa; la sua carenza, rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, determina l’improcedibilità della domanda (Cass., Sez. U., n. 4241/2004; Cass., n. 4703/2006, 5337/2007 e 20997/2008).

Questa Corte, invero, ha affermato: “Il decreto di esproprio segna la conclusione del procedimento di espropriazione, determinando il trasferimento della proprietà dell’immobile in favore dell’espropriante e facendo sorgere il diritto dell’espropriato all’indennità; pertanto, nel giudizio di opposizione alla stima, la sua emanazione si configura non già come presupposto processuale, alla cui esistenza è subordinata la possibilità di pervenire ad una decisione di merito, ma come condizione dell’azione, la cui mancanza impedisce l’accoglimento della domanda, escludendo la configurabilità del diritto che ne costituisce il fondamento” (Cass. 6 luglio 2012, m. 11406).

Ancora più recentemente, l’orientamento sopra richiamato è stato ribadito anche con riferimento alla disciplina introdotta con il D.P.R. n. 327 del 2001, osservandosi che, se è vero che una delle parti interessate, decorsi trenta giorni dalla comunicazione del deposito della relazione di stima dei tecnici (o della Commissione provinciale) prevista dall’art. 27, comma 2, “può impugnare innanzi all’autorità giudiziaria gli atti dei procedimenti di nomina dei periti e di determinazione dell’indennità, la stima fatta dai tecnici, la liquidazione delle spese di stima e comunque può chiedere la determinazione giudiziale dell’indennità”, tanto non comporta che, in assenza di provvedimento ablativo, il relativo procedimento possa concludersi con una sorta di statuizione meramente estimatoria di un’indennità non ancora dovuta, e suscettibile, in tesi, di restar lettera morta nell’ipotesi in cui l’autorità espropriante dovesse reputare, per motivi di pubblico interesse, di non procedere all’espropriazione del bene; alla quale perciò resta in ogni caso subordinata (Cass., 31 maggio 2016, n. 11261).

Quanto agli aspetti di natura probatoria, deve ribadirsi che, in via generale, il principio, sancito dall’art. 115 c.p.c., comma 1, secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta “ad substantiam”, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta “ad probationem”, l’osservanza dell’onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti nè la prova testimoniale o per presunzioni, nè la stessa confessione della controparte (Cass., 17 ottobre 2018, n. 25999). Con riferimento al decreto di espropriazione tale orientamento è stato costantemente affermato, osservandosi che il principio per cui il giudice deve porre a base della sua decisione unicamente i fatti allegati dalle parti e l’altro per cui i fatti pacifici tra le parti non hanno bisogno di essere provati incontrano un limite allorquando la legge richiede per la prova di tali fatti un atto scritto “ad substantiam”; ciò si verifica per il decreto di esproprio, che, come qualunque provvedimento tipico e nominato, esige una statuizione della P.A. espressa ed esteriorizzata nell’atto, preordinata alla realizzazione degli specifici effetti per esso previsti dall’ordinamento (Cass., 10 agosto 2001, n. 11054; Cass., 22 novembre 2002, n. 16494; Cass., 3 marzo 2006, n. 4703; Cass., 8 marzo 2007, N. 5337).

Nel caso di specie, come sopra rilevato, la Corte di appello ha affermato, senza tuttavia trarne le doverose conseguenze, che non risultava che il decreto di esproprio fosse stato emesso; il Comune si è limitato ad affermarne l’avvenuta emanazione, mentre nel controricorso si ribadisce (pag. 12) che il documento in questione “mai è stato prodotto agli atti del giudizio”, attribuendo tale circostanza a una scelta difensiva della controparte.

Conformemente al suddetto orientamento di questa Corte, deve essere dichiarata d’ufficio l’improcedibilità della domanda relativa alla opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione, oggetto del presente giudizio.

Quanto all’indennità di occupazione, deve rilevarsi la fondatezza del terzo motivo: la rituale conclusione del procedimento espropriativo, mediante la tempestiva emissione di decreto di esproprio, è condizione di efficacia solo riguardo all’indennità di espropriazione, ma non anche per l’indennità di occupazione legittima, in quanto la mancata conclusione del procedimento ablatorio, per la carente tempestiva emissione del decreto di esproprio, non esclude la legittimità dell’occupazione fino alla sua scadenza, per la quale è dunque dovuta l’indennità (Cass. 8.4.2008, n. 9038).

La determinazione di tale indennità, da parte della corte panormita, fino alla data della sentenza, appare del tutto erronea, in quanto avrebbe dovuto tener conto della periodo intercorrente fra l’immissione in possesso e il termine di efficacia del decreto di occupazione d’urgenza.

In considerazione di quanto sopra il ricorso proposto deve essere accolto in ordine al terzo motivo concernente l’indennità di occupazione, che va rideterminata nei termini sopra indicati; anche in considerazione della rilevata improcedibilità della domanda relativa all’indennità di espropriazione, le altre censure sono assorbiti. La sentenza deve essere cassata con rinvio davanti alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione che, attenendosi ai principi ora enunciati, dovrà determinare l’indennità di occupazione, tenendo conto dei principi sin qui affermati.

P.Q.M.

Dichiara l’improcedibilità della domanda relativa alla indennità di espropriazione. Accoglie il terzo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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