Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.38801 del 07/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35978-2019 proposto da:

MANAGEMENT INTERNATIONAL SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO DA CORTONA, 8, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE MILETO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA, 15, presso lo studio dell’avvocato LAURA DI PIETROPAOLO LAURENTI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

M.M., S.C., M.S., SC.RA., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COSSIGNANO, 3, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MORELLI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 6576/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE GRASSO.

RITENUTO

che la vicenda, per quel che ancora qui residua d’utilità, può riassumersi nei termini seguenti:

– la s.r.l. Management International, che aveva acquistato un fondo dalla società F.EM.EL, che, a sua volta, ne era divenuta aggiudicataria all’asta dal fallimento della s.p.a. *****, citò in giudizio A.M., M.S., M.M., S.C., Sc.Ra., D.A., D.C., B.M., C.P.M. e B.M.V., tutti proprietari di fondi limitrofi, chiedendo che fosse dichiarata l’inesistenza di servitù di passaggio nei di loro confronti, con condanna al ripristino dello stato dei luoghi, eliminando i cancelli dai medesimi illegittimamente aperti;

– il Tribunale, rigettata la domanda principale, accolse le domande riconvenzionali, con le quali i convenuti avevano chiesti dichiararsi l’acquisto per usucapione della servitù di passaggio;

– la Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettò l’impugnazione della Management International;

ritenuto che l’insoddisfatta appellante ricorre sulla base di due motivi e che A.M. e, con separato atto, M.S., S.C., M.M. e Sc.Ra., resistono con controricorso.

RITENUTO

che con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione “dei principi in tema di valutazione dell’attendibilità delle testimoniane di parenti e affini nel processo civile (a seguito della dichiarazione di incostitmzionalità dell’art. 247 c.p.c.), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n,. 4”, assumendo che la Corte di Roma, la quale aveva giudicato tardiva l’eccezione “d’invalidità e comunque di inattendibilità” delle testimonianze di A.S. e D.A., legati da stretti vincoli di parentela o affinità con A.M., aveva omesso di valutarne l’attendibilità, così incorrendo in “inesistenza della motivazione sul punto” e in “error in procedendo”;

considerato che la censura è inammissibile, valendo quanto segue:

– la sentenza impugnata riassume il secondo motivo d’appello (pag. 9) riportando che l’appellante aveva lamentato “una erronea valutazione delle prove testimoniali” della parte attrice ed eccepito, inoltre, “la nullità delle testimoniane rese da A.S. e D.A., soggetti interessati all’esito positivo del giudizio in quanto legati da stretti rapporti di parentela con A.M. e D.A.”;

– con il motivo qui in rassegna la ricorrente genericamente deduce di avere sottoposto al Giudice d’appello l’attendibilità delle dichiarazioni testimoniali di A.S. e D.A.; poiché essa ricorrente non solo non riporta puntualmente lo stralcio dell’atto d’appello, al fine di consentire verifica dell’asserto, ma ancor prima, neppure allega che la Corte d’appello sia incorsa in errore nel riportare il motivo d’appello, la doglianza non supera il vaglio d’ammissibilità, dovendosi enunciare il seguente principio di diritto “l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, specificazione che, nel caso venga, sia pure implicitamente, contestata l’interpretazione del motivo d’appello da parte del giudice, non può prescindere dalla specifica evidenziazione del dato testuale da porsi a base della discrasia e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione” (nello stesso senso, sia pure, a riguardo di vicende processuali non esattamente sovrapponibili, cfr., ex multis, Cass. n. 29495/2020, n. 22880/2017);

ritenuto che con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1061 e 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che la Corte d’appello aveva mal giudicato, reputando sussistere le opere visibili e permanenti, identificate con i cancelli, senza vagliare la univocità funzionale degli stessi al fine di esercitare il passaggio, in maniera tale che una tale funzione fosse riconoscibile al proprietario del fondo asseritamente servente;

considerato che la doglianza è infondata, valendo quanto segue:

– costituisce giudizio di merito, in questa sede non censurabile, l’accertamento da parte della Corte d’appello della sussistenza di opere visibili e permanenti;

– sotto altro profilo, pur vero che questa Corte ha più volte affermato la necessità che l’opera sia tale da renderne univoco lo scopo di asservimento (cfr., Cass. n. 7004/2017, n. 13238/2010), tuttavia una tale univocità, consistente nella prova che il percorso risulti essere stato predisposto al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, deve essere essenzialmente riferito alla costituzione per destinazione del padre di famiglia, poiché tale forma di costituzione della servitù non fondandosi sul possesso, bensì sulla volontà dell’originario proprietario, trova prova indiretta nella dimostrazione della specifica ed effettiva destinazione; nel mentre, nel caso di acquisto per usucapione, la dimostrazione del possesso ventennale della situazione di fatto corrispondente all’esercizio della servitù di passaggio è bastevole a provare il diritto, ovviamente in presenza di opere apparenti e permanenti (nella specie non è dubbia la esistenza della strada);

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (cent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che la ricorrente va condannata a rimborsare le spese in favore dei controricorrenti, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge, rispettivamente, in favore di A.M. e, in egual misura, in favore di M.S., S.C., M.M. e Sc.Ra.;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2021

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