Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.39330 del 10/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19449-2020 proposto da:

MAXO AUDIOPROTESI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 128, presso lo studio dell’avvocato LORENZO MARIA PIETROLUCCI, rappresentata e difesa dagli avvocati PAOLO KROGH, CARLO GRISPO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SAN GIORGIO A CREMANO, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato ADELE CARLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 244/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 31/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 09/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza 31 gennaio 2020, la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello di Maxo Audioprotesi s.r.l. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto la domanda di rimborso dal Comune di San Giorgio a Cremano dei permessi retribuiti goduti dal dipendente D.S.R., per la partecipazione alle attività svolte quale consigliere comunale negli anni 2008/2010, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 80, in misura pari al trattamento retributivo effettivamente corrisposto;

2. essa escludeva di poter acquisire, neppure quali documenti indispensabili ai sensi dell’art. 437 c.p.c., comma 2, le buste paga, oggetto di produzione dalla società soltanto in appello, essendone pertanto decaduta, né potendo essere esercitati i poteri officiosi, già esercitati in primo grado, peraltro invano, non avendo essa utilizzato il rinvio allo scopo disposto dal Tribunale;

3. la Corte territoriale non riteneva poi possibile ricorrere al principio di non contestazione, avendo l’ente locale specificamente contestato il diritto di rimborso, in particolare rivendicando il legittimo sindacato dell’amministrazione sul trattamento retributivo, confutandone l’integralità sulla base del contratto individuale: avendo, anzi, il Comune opposto alla società di dimostrare l’importo effettivamente corrisposto al dipendente per ogni giornata di permesso e l’effettiva fruizione, posta l’insignificanza probatoria delle determinazioni comunali prodotte dalla società;

4. con atto notificato il 15 luglio 2020, la società ricorreva per cassazione con due motivi, cui il Comune resisteva con controricorso, peraltro tardivo (in quanto notificato il 25 settembre 2020, oltre il termine di quaranta giorni prescritto dall’art. 370 c.p.c., comma 1, sia pure di un solo giorno, tenuto conto del periodo di sospensione feriale stabilito dalla L. n. 742 del 1969, art. 1, comma 1 come modificato dal D.L. n. 132 del 2017, art. 16 conv. con mod. da L. n. 162 del 2014, applicabile ratione temporis) e pertanto inammissibile.

CONSIDERATO

CHE:

1. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 c.p.c., artt. 2733,2735 c.c., anche sotto il profilo motivo ed omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra la parti, per inammissibile mutatio libelli e del thema decidendum dalle Corti di merito, concentratesi sul versamento o meno delle somme a titolo di retribuzione (e quindi sulla mancata produzione delle buste paga), estraneo alla materia del contendere, riguardante piuttosto l’entità del costo orario da rimborsare per i permessi al dipendente, se in base ai giorni di lavoro mensili previsti dal CCNL (26) ovvero effettivamente prestati alla società (20), risultando l’esatto esborso della società al dipendente, accertato e riconosciuto dal Comune, dalla nota contabile della società “Prospetto Somme da Recuperare”, con il costo orario della retribuzione e le successive detrazioni indicanti l’erogazione deliberata, con valore pienamente probatorio di confessione stragiudiziale, con omesso esame dell’eccepita violazione del thema decidendi (primo motivo);

2. esso è inammissibile;

3. in via di premessa, occorre evidenziare l’inconferenza della dedotta mutatio libelli, relativa ad attività processuale della parte e non del giudice; e così pure della modificazione del tema del decidere, ricorrente quando il giudice, alterando gli elementi obiettivi dell’azione, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto o attribuisca alla parte un bene non richiesto perché non compreso neppure implicitamerite o virtualmente nelle deduzioni o allegazioni (Cass. 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. 7 maggio 2019, n. 12014): avendo la Corte territoriale esattamente individuato la contestazione del Comune nell’entità della retribuzione rimborsabile per i permessi (al primo capoverso di pg. 3 della sentenza);

3.1. il motivo difetta poi di specificità, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, per mancata trascrizione e pure indicazione della sede di produzione (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48) delle determinazioni comunali e della nota contabile della società, con impossibilità per questa Corte di trarne argomenti probatori, addirittura alla stregua di confessione stragiudiziale delle prime: la cui indagine in ordine alla natura o meno di confessione, ossia di ammissione di fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all’altra parte, si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se fondato su di una motivazione immune da vizi logici (Cass. 4 aprile 2003, n. 5330; Cass. 14 febbraio 2020, n. 3698), che peraltro non risulta compiuto in sede di merito;

4. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 79,80 ed omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra la parti, in riferimento al corretto numero di giorni (se 26, in base al CCNL ovvero 20, in base a quelli effettivamente prestati dal lavoratore in favore della società) da assumere come divisore per la retribuzione da rimborsare per i giorni di permesso fruiti dal lavoratore per l’attività di consigliere comunale (secondo motivo);

5. anch’esso è inammissibile;

6. il motivo è manifestamente generico, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1845), per omessa confutazione dell’assorbente passaggio argomentativo di mancata dimostrazione dell’effettivo esborso dalla società della retribuzione al dipendente per i permessi (al primo capoverso di pg. 3 della sentenza);

6.1. infine, non è configurabile, così come per il precedente motivo, la censura di omesso esame di un fatto storico, non trattandosi di ciò, ma di una contrapposizione valutativa inammissibile al ragionamento probatorio adeguatamente argomentato dalla Corte territoriale (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053);

7. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza alcun provvedimento sulle spese del giudizio, per l’inammissibilità del controricorso della parte vittoriosa e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2021

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