La debenza di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione è normativamente condizionata a “due presupposti”, il primo dei quali – di natura processuale – è costituito dall’avere il giudice adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione, mentre il secondo – appartenente al diritto sostanziale tributario – consiste nella sussistenza dell’obbligo della parte che ha proposto impugnazione di versare il contributo unificato iniziale con riguardo al momento dell’iscrizione della causa a ruolo. L’attestazione del giudice dell’impugnazione, ai sensi all’art. 13, comma 1-quater, secondo periodo, T.U.S.G., riguarda solo la sussistenza del primo presupposto, mentre spetta all’amministrazione giudiziaria accertare la sussistenza del secondo.
L’ulteriore importo del contributo unificato che la parte impugnante è obbligata a versare, allorquando ricorrano i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, T.U.S.G., ha natura di debito tributario; pertanto, la questione circa la sua debenza è estranea alla cognizione della giurisdizione civile ordinaria, spettando invece alla giurisdizione del giudice tributario.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sui ricorso n. 35094/2019, r.g. proposto da:
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI CATANZARO, in persona dell’Avvocato Generale, Cons. Beniamino Calabrese, e del Sostituto Procuratore Generale, Cons. Raffaela Sforza.
– ricorrente –
contro
M.P., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avvocati Dina Marasco, Bernardo Marasco, Gianfranco Spinelli, e Pietro Domenico Palamara, con i quali elettivamente domicilia in Roma, alla Via del Babuino n. 48, presso lo studio dell’Avvocato Francesco Paola.
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e P.G., (cod. fisc. *****); R.P., (cod.
fisc. *****); MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore.
– intimati –
al quale risultano abbinati i successivi ricorsi proposti, rispettivamente, da:
P.G. (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Lucio Canzoniere, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via Giorgio Scalia n. 12 n. 12, presso lo studio dell’Avvocato Valerio Gallo.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore; R.P. (cod. fisc. *****);
M.P. (cod. fisc. *****);
– intimati –
e da:
R.P. (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Prof. Mario Murone, e dall’Avvocato Ida Francesca Sirianni, con i quali elettivamente domicilia in Roma, alla via Giorgio Scalia n. 12 n. 12, presso lo studio dell’Avvocato Valerio Gallo.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore.
– intimato –
e nei confronti di:
M.P. (cod. fisc. *****); P.G. (cod. fisc.
*****); PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI CATANZARO.
– intimati –
nonchè sul ricorso n. 12005/2020, r.g. proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12.
– ricorrente –
contro
M.P. (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avvocati Dina Marasco, Bernardo Marasco, Gianfranco Spinelli e Pietro Domenico Palamara, con i quali elettivamente domicilia in Roma, alla Via del Babuino n. 48, presso lo studio dell’Avvocato Francesco Paola.
– controricorrente –
e nei confronti di:
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI CATANZARO.
– intimati –
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI CATANZARO depositata in data 06/11/2019, n. 50;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 30/11/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.
FATTI DI CAUSA
1. Con nota del 4 gennaio 2018, il Ministero dell’Interno trasmise al Presidente del Tribunale di Lamezia Terme, per le finalità di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, la copia del D.P.R. 24 novembre 2017, con il quale era stato disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Lamezia Terme ai sensi dello stesso art. 143. Chiese, per l’effetto, dichiararsi la incandidabilità di M.P., già sindaco di quel comune, nonchè degli ex amministratori P.G. e R.P..
1.1. Instauratosi il contraddittorio e con l’intervento del Pubblico Ministero, l’adito tribunale, con sentenza del 7 agosto 2018, n. 1000, pronunciò l’incandidabilità dei due ex amministratori e respinse l’analoga domanda contro l’ex sindaco.
2. I reclami (poi riuniti) promossi contro questa decisione, rispettivamente, in via principale, da P.G. (n. 1041/2018 r.g.), dal Ministero dell’Interno (n. 1042/2018 r.g.) e da R.P. (n. 1051/2018), nonchè, in via incidentale (nel procedimento n. 1042/2018 r.g.), da M.P., con l’intervento, nel corrispondente processo, del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catanzaro, sono stati tutti respinti dalla corte appena citata con sentenza del 6 novembre 2019, n. 50, la quale, dopo aver disatteso (come già fatto dal tribunale) l’eccezione preliminare concernente il “difetto di legittimazione passiva” del P. e del R., formulata in relazione alle dimissioni da entrambi presentate ancor prima dell’adozione del decreto di scioglimento, ha premesso che “l’individuazione dei soggetti ritenuti responsabili dello scioglimento dell’amministrazione comunale è stata operata correttamente, sulla scorta degli elementi offerti all’attenzione del tribunale e, in particolare, dalla proposta del Ministro dell’Interno del 17.11.2017, che richiama il contenuto della relazione del Prefetto di Catanzaro del 13.10.2017 e gli accertamenti della commissione prefettizia conclusi il 5.10.2017”. Successivamente ha rimarcato che: i) “…la dimostrazione di un condizionamento dell’azione dell’amministrazione comunale di Lamezia Terme e la responsabilità dei signori P.G. e R.P. (..) risulta provata, secondo la condivisibile valutazione operata dal primo giudice e la soluzione adottata dal Consiglio di Stato con la sentenza 26.9.2019, di conferma del D.P.R. 23 novembre 2017 – pubblicato sulla G.U. del 22.12.2017 – tanto sotto l’aspetto dell’alterazione della formazione del consenso elettorale che dell’imparzialità e della regolarità dell’azione amministrativa”. In particolare, sotto il primo aspetto, sono stati descritti alcuni esiti dell’operazione di polizia giudiziaria “Crisalide”, da cui emergeva l’appoggio elettorale offerto dalla cosca C.- T.- G. ai candidati R.P. e P.G.; quanto al secondo, invece, si è affermato che “…la documentazione acquisita nel corso del giudizio di I grado rivela che la gestione operata dai diversi responsabili di settore del Comune di Lamezia Terme è stata caratterizzata da un generale disordine amministrativo, con affidamenti diretti e proroghe a favore delle medesime imprese, secondo un collaudato sistema di rotazione limitata ad alcuni soggetti del mondo imprenditoriale, vicini alle cosche operanti nel lametino”. In proposito, sono state descritte le riscontrate irregolarità riguardanti l’affidamento del servizio di mensa scolastica e gli appalti per la manutenzione di beni comunali; ii) “entrambi i consiglieri oggi reclamanti sono stati sottoposti a procedimento penale per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis c.p.”; iii) “il sig. P. ha continuato ad avere frequentazioni con esponenti della menzionata cosca criminale”, e che il R. “è stato sospeso dalla carica dopo l’arresto, avvenuto il *****, nell’ambito dell’operazione di polizia giudiziaria “*****” ed ha dato le dimissioni il *****, giorno in cui ha rassegnato le dimissioni anche il consigliere P.”; iv) “come rilevato dal primo giudice in sentenza, la “sostanziale sovrapponibilità dei risultati delle relazioni propedeutiche allo scioglimento del Consiglio Comunale avvenute nel 1991 e nel 2001, ai risultati della relazione relativa allo scioglimento di cui è giudizio” nonchè la “continuità degli attori delle condotte invasive, appartenenti alle medesime famiglie” evidenziano che nulla è sostanzialmente cambiato e che, attraverso l’alterazione della formazione del consenso elettorale e del mercimonio della funzione pubblica, le cosche hanno continuato a condizionare l’attività di vasti settori dell’amministrazione comunale, servandosi di amministratori di loro fiducia”; v) la situazione del sindaco M.P. “..si differenzia dalle altre esaminate e non giustifica la sanzione richiesta dal Ministero. Invero, il M. non ha fatto parte delle precedenti amministrazioni e non è stato coinvolto nel sistema di alterazione della formazione del consenso elettorale che ha caratterizzato la posizione di P. e di R. e non vi è motivo di ritenere che si possa essere direttamente o indirettamente interessato alle attività di gestione prima descritte che, per disposizione normativa, non competono al sindaco”; vi) “è pure ipotizzabile che il sindaco di una cittadina di medie dimensioni non possa non essere al corrente di alcune irregolarità nel sistema di aggiudicazione degli appalti e di conferimento dei servizi della cosa pubblica ma, in mancanza di adeguata prova di tale conoscenza o di altri elementi sintomatici di una corresponsabilità nelle attività amministrative gestionali, le possibili ipotesi non assumono significato rilevante”; vii) “l’attività svolta dal M., quale difensore di alcuni soggetti, indicati come di significativo spessore criminale, e coinvolti nell’operazione “*****”, appare giustificata dalla professione svolta dallo stesso e, comunque, non risulta si sia protratta successivamente all’assunzione dell’incarico di sindaco (circostanza che avrebbe potuto creare un conflitto di interessi per via della costituzione di parte civile da parte del comune di Lamezia Terme e che avrebbe potuto delineare una contiguità tra l’amministratore e le cosche)”; viii) la difesa assunta, dal medesimo M., “nel procedimento per le misure di prevenzione a carico di B.G., esercitata quanto meno fino alla data del 15.2.2017, risulta irrilevante atteso che in tale procedura non vi era possibilità di costituzione di parte civile da parte del Comune di Lamezia Terme”.
3. Per la cassazione di questa sentenza risultano proposti autonomi ricorsi: a) dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro (n. r.g. 35094 del 2019), notificato il 22 novembre 2019 e recante un motivo, cui resiste, con controricorso il solo M.P., spiegando, altresì, ricorso incidentale, con un mezzo, notificato il 2 gennaio 2020; b) da P.G., notificato il 2 dicembre 2019, con tre motivi; c) da R.P., notificato il 2 dicembre 2019, con 6 motivi; d) dal Ministero dell’Interno (n. r.g. n. 12005 del 2020), notificato il 27 aprile 2020, con un motivo, cui resiste, con controricorso notificato il 22 giugno 2020, M.P.. Risultano depositate memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare, deve essere disposta la riunione dei suddetti separati ricorsi, ex art. 335 c.p.c., tutti concernenti l’impugnazione della medesima sentenza, fin da ora rimarcandosi, peraltro, che, come ancora ribadito da Cass. n. 15582 del 2020, per la giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. n. 33809 del 2019; Cass. n. 28259 del 2019; Cass. n. 5695 del 2015) “il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia, quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta ed ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi”.
1.1. Inoltre, per intuitive finalità di maggior chiarezza e specificità di questa esposizione, si ritiene opportuno procedere al separato esame di ciascuno dei ricorsi predetti, il primo dei quali (notificato il 22 novembre 2019 ed iscritto a ruolo il 2 dicembre successivo) deve essere individuato in quello recante il n. 35094 del 2019, promosso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, tutti gli altri convertendosi in ricorso incidentali.
A) Il ricorso della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro n. 35094 del 2019 ed il ricorso incidentale ivi proposto dal M..
1. La Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro contesta, mediante un unico motivo, recante “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 143, comma 11”, il rigetto della pronuncia di incandidabilità per il sindaco M.P..
1.1. In via pregiudiziale rispetto all’esame di tale doglianza, e tenuto conto della corrispondente, specifica eccezione di inammissibilità sollevata dal M. (cfr. pag. 3 del controricorso), ritiene il Collegio di dover verificare la sussistenza, o meno, della legittimazione processuale di quell’Ufficio a promuovere l’odierno ricorso.
1.2. La corrispondente questione, infatti, è stata oggetto di rimeditazione ad opera di questa Suprema Corte, la quale, con la sentenza del 10 giugno 2016, n. 11994, ha inteso superare (senza essere stata smentita successivamente) il proprio precedente orientamento positivo basato sulla applicabilità alle fattispecie come quella oggi in esame, sia in punto di legittimazione che in relazione ai termini del procedimento, del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 22, in materia di “riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 54” (cfr. Cass. n. 18696 del 2015. Analoga conclusione si rinviene, sul punto, in Cass. n. 23299 del 2015, benchè ivi la questioni non sia stata affrontata ex professo). In particolare, muovendo dai commi 10 (“Contro la decisione della corte di appello la parte soccombente e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre ricorso per cassazione entro trenta giorni dalla sua comunicazione”) ed 11 (“Il presidente della corte di cassazione, con decreto steso in calce al ricorso medesimo, fissa l’udienza di discussione. Tutti i termini del procedimento sono ridotti della metà”) della menzionata disposizione, considerata applicabile a tutte le controversie elettorali, ivi compresa quella, ricorrente nella specie, riguardante l’incandidabilità degli amministratori pubblici di un comune il cui consiglio sia stato sciolto per l’esistenza di ingerenze della criminalità organizzata (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 143), quell’orientamento aveva opinato che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 22, comma 10, attribuisse al Procuratore Generale presso la corte di appello, benchè privo del potere di azione in materia, il potere di impugnazione della decisione della medesima corte, ancorchè non fosse stato parte nel giudizio di merito, altresì concludendo per l’applicabilità al procedimento in questione dei termini, in essi compreso quello per la proposizione del ricorso per cassazione, dimidiati ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 22, comma 11.
1.3. La già citata Cass. n. 11994 del 2016, invece, ha inteso rimeditare questa opzione interpretativa giungendo a ritenere inapplicabile in radice, nella fattispecie come quella oggi in esame, il disposto di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 22.
1.3.1. Invero, secondo questa pronuncia, “In tal senso depone, anzitutto, la rubrica della norma che reca: “Delle azioni popolari e delle controversie in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciale e regionali”. Ed, in effetti, la disposizione è dichiarata espressamente applicabile, dal comma 1, alle controversie previste dal D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 82, commi 1 e 2, a quelle previste dalla L. 23 dicembre 1966, n. 1147, art. 7, comma 2, a quelle previste dalla L. 17 febbraio 1968, n. 108, art. 19, ed a quelle previste dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 70, ovverosia come si desume anche dal comma 2 della disposizione in esame – ad “azioni popolari” e ad “impugnative” in tema di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali. Per converso, la diversa azione prevista dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143 (in discussione nel caso concreto) – che muove, non da un’azione popolare o da un’impugnativa, come quelle suindicate, bensì da una proposta ministeriale nei confronti di un singolo da dichiarare incandidabile per avere posto in essere condotte che hanno dato causa allo scioglimento del consiglio comunale o provinciale, ai sensi del comma 1 – costituisce una “misura interdittiva”, come si evince dall’incipit della norma, che fa salva “ogni altra misura interdittiva ed accessoria”, mostrando, in tal modo, di considerare tale anche quella ivi specificamente prevista e regolata (cfr., in tal senso, Cass. S.U. 1747/2015, secondo cui si tratta di “una misura interdittiva volta a rimediare al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle rivestite e, in tal modo, potenzialmente perpetuare l’ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali”). Ci si trova, dunque, sostanzialmente in presenza di una misura di prevenzione diretta ad evitare – mediante una restrizione, temporalmente e spazialmente limitata, del diritto di elettorato passivo – che soggetti collusi con la criminalità organizzata, o da questa condizionabili, possano ricoprire, nell’immediato, un ruolo politico identico o simile a quello già rivestito. La finalità perseguita e lo strumento adottato dal legislatore pongono, pertanto, l’azione in parola in una posizione del tutto particolare rispetto alle “azioni popolari” ed alle “impugnative consentite” di cui è menzione nel D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 22, alle quali la misura in questione non è, pertanto, in alcun modo assimilabile, neppure sul piano più strettamente processuale. A differenza di queste ultime, infatti, per le quali è prevista l’applicazione del rito sommario di cognizione, connotato pur sempre da un’istruttoria, sia pure sommaria, fondata sull’assunzione dei “mezzi di prova” e degli “atti di istruzione” necessari alla decisione (art. 702-bis c.p.c., comma 4 e art. 702 ter c.p.c., comma 5), l’azione del D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 143, è, invece, soggetta all’ancor più rapido ed informale rito camerale (Cass. S. U. 1747/2015), il cui procedimento è limitato alla mera possibilità per il giudicante di “assumere informazioni”, ai sensi dell’art. 738 c.p.c., comma 3. Le considerazioni che precedono sono, poi, ulteriormente avvalorate dalla constatazione che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 22, comma 1 – la cui finalità dichiarata è quella di ridurre e semplificare i procedimenti civili di cognizione – si limita a richiamare del D.Lgs. n. 267 del 2000, solo art. 70, avente ad oggetto l’azione popolare per la declaratoria di decadenza dalla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale, e non anche il successivo art. 143, dal legislatore, quindi, volutamente tenuto fuori dalla previsione del disposto di cui al citato art. 22, in considerazione della sua natura, non di procedimento civile di cognizione, bensì di procedimento camerale avente ad oggetto una misura preventiva ed interdittiva provvisoria”.
1.3.2. Questo Collegio condivide integralmente le riportate argomentazioni, mai smentite, peraltro, da pronunciamenti di legittimità ad esse successivi. Dalla ribadita inapplicabilità, nella odierna fattispecie, del disposto di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 22, scaturisce, allora, oltre alla inutilizzabilità della dimidiazione dei termini di cui al suo ultimo comma (questione oggi affatto irrilevante, non ponendosi un problema di tempestività dell’odierno ricorso, notificato fin dal 22 novembre 2019, ricordandosi che la decisione impugnata è stata pubblicata il precedente 6 novembre) – che deve escludersi la legittimazione attiva al ricorso per cassazione, avverso la decisione impugnata, della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Catanzaro.
1.3.3. Invero, la norma del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, non prevede legittimazione alcuna, al riguardo, in capo alla Procura Generale della Repubblica, essendo da tale disposizione chiaramente demandata al solo Ministro dell’Interno l’iniziativa della dichiarazione di incandidabilità degli amministratori le cui condotte hanno dato causa allo scioglimento dell’organo deliberativo dell’ente pubblico locale. E’ evidente, pertanto, che l’unico soggetto legittimato a proporre, in primo grado, l’istanza in parola è il Ministro dell’Interno, potendo l’eventuale iniziativa in tal senso della Procura Generale della Repubblica presso la corte di appello valere, al più, come sollecitazione all’esercizio dei poteri ufficiosi da parte dell’organo legittimato, o alla trattazione con il rito camerale del procedimento avviato da quest’ultimo, da parte del giudice adito (cfr. Cass., SU., n. 1747 del 2015; Cass. n. 11994 del 2016).
1.3.4. Dalla carenza di legittimazione a proporre e ad essere parte sostanziale ab origine del procedimento in questione in capo alla Procura Generale della Repubblica suddetta, ne discende, quindi, la carenza di legittimazione della stessa al ricorso per cassazione, atteso che il potere di proporre impugnazione spetta, in genere, fatta eccezione per l’opposizione di terzo, solo a colui che abbia formalmente assunto, avendone la legittimazione, la qualità di parte nel precedente grado di giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, giacchè con l’impugnazione non si esercita un’azione, bensì un potere processuale che può essere riconosciuto solo a chi abbia partecipato, avendone titolo, al precedente grado di giudizio (cfr. Cass. n. 17974 del 2015).
1.4. Da ciò pure la conseguente impossibilità di valutare come decisiva, ai fini della legittimazione a proporre l’odierno ricorso da parte della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, la circostanza dell’essere quest’ultimo ufficio del Pubblico Ministero “intervenuto” nel suddetto procedimento di reclamo, posto che quell’intervento, a tacer d’altro, tutt’al più poteva considerarsi come di tipo adesivo dipendente (dettato, cioè, semplicemente da un interesse giuridicamente rilevante a sostenere le ragioni del Ministero istante, attesa, appunto, la carenza, in capo alla medesima Procura, di qualsivoglia potere di proporre analoghe domande), sicchè sarebbe stato comunque precluso all’interveniente impugnare autonomamente la decisione della corte distrettuale per ragioni diverse da quelle specificamente riguardanti la qualificazione dell’intervento o la eventuale condanna alle spese imposta a suo carico (cfr. Cass. n. 27528 del 2016; Cass. n. 23235 del 2013; Cass. n. 17644 del 2007).
1.5. Infine, va solo puntualizzato che nessun seguito può avere l’affermazione della Procura odierna ricorrente secondo cui “l’odierno ricorso viene proposto nell’interesse della legge” (cfr. pag. 3 del ricorso medesimo).
1.5.1. In proposito, infatti, è sufficiente ricordare che la richiesta di principio di diritto nell’interesse della legge (cfr. art. 363 c.p.c., comma 1, nel testo, qui utilizzabile ratione temporis, modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006), cui il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi, compete, esclusivamente, al Procuratore Generale presso la Corte di cassazione “quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato, ovvero quando il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile”.
2. Il ricorso incidentale di M.P. è affidato ad un motivo, recante “Vizio in procedendo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Si censura la sentenza impugnata per non avere la corte distrettuale ritenuto inammissibile il tema, pure invocato dal Ministero nella sua proposta di incandidabilità, della difesa di B.G. assunta dal M., almeno fino al 15 febbraio 2017, in un procedimento per misure di prevenzione a carico di quest’ultimo. Si assume che trattavasi di fatto del tutto nuovo, siccome non contenuto nel decreto di scioglimento del Consiglio comunale, nè nella Relazione della Commissione di accesso.
2.1. Tale doglianza si rivela affatto inammissibile per la dirimente ragione che la sentenza impugnata ha espressamente considerato “irrilevante” la relativa vicenda, “atteso che, in tale procedura, non vi era possibilità di costituzione di parte civile da parte del Comune di Lamezia Terme”.
2.2. Questa Corte, del resto, ha ripetutamente affermato che l’interesse all’impugnazione, ancorchè di carattere strettamente processuale, non può considerarsi avulso dall’esigenza di provocare o di far mantenere una decisione attinente al riconoscimento o al disconoscimento di un bene della vita a favore di un determinato soggetto; e che detto interesse va perciò apprezzato in relazione alla utilità concreta che, dall’eventuale accoglimento del gravame, può derivare alla parte che lo propone, onde non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi pratici sulla decisione adottata. Per cui, deve ritenersi inammissibile una impugnazione con la quale si deduca la mera violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande od eccezioni proposte, e che sia diretta, quindi, all’emanazione di pronunzia priva di rilevanza pratica. Ha altresì specificato che detti principi valgono a maggior ragione per il ricorso davanti alla Suprema Corte, in cui l’interesse astratto alla esatta interpretazione delle norme di legge legittima solo il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, ma non vale ad integrare il presupposto dell’interesse ad agire del ricorrente, che deve essere concreto; e che tale non è nel caso in cui dalla pronuncia della Corte non deriverebbe (o non vi è prova che deriverebbe) alcuna conseguenza in ordine alla controversia dedotta in giudizio. Ed in cui detto interesse deve necessariamente trascendere il piano della mera prospettazione soggettiva dell’agente, e deve, per converso, assurgere ad una consistenza giuridicamente oggettiva: così da rinvenire la sua caratterizzazione nella necessità di una decisione del giudice che non si limiti ad un’affermazione di puro principio, di massima o accademica, ma che sia invece idonea ad accertare, costituire, modificare o estinguere una situazione giuridica direttamente ed effettivamente incidente sulla sfera patrimoniale dell’agente.
2.3. Per mera completezza, infine, va rimarcato che, nella specie, non è configurabile, sul punto, una soccombenza anche meramente teorica del M., essendo stata la questione giudicata irrilevante. Questi, dunque, totalmente vittorioso nel merito, neppure è soccombente solo su questioni risolte per lui sfavorevolmente.
B) Il ricorso di P.G..
1. Rileva pregiudizialmente il Collegio che il ricorso del P. – da considerarsi tempestivamente proposto (perchè notificato il 2 dicembre 2019, entro i quaranta giorni, quindi, dalla precedente notificazione, nei confronti del P. stesso, del ricorso n. 35094/2019, della Procura Generale presso la Corte di appello di Catanzaro, risalente al 22 novembre 2019, precedentemente esaminato), alla stregua dei già descritti principi (cfr. Cass. n. 15582 del 2020; Cass. n. 33809 del 2019; Cass. n. 28259 del 2019; Cass. n. 5695 del 2015) riguardanti l’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza – risulta essere stato notificato al Ministero dell’Interno presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, sede di Catanzaro, e non presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
1.1. Trattasi di notificazione evidentemente nulla (cfr., ex aliis, Cass. n. 6924 del 2020; Cass. n. 33253 del 2019; Cass. n. 20890 del 2018; Cass., SU, n. 608 del 2015), della quale, però, non vi è necessità di disporre la rinnovazione atteso il consolidato orientamento di questa Corte per cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato (come quello odierno del P. per quanto appresso si dirà), appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr. Cass. n. 8980 del 2020; Cass. n. 12515 del 2018).
2. Tanto premesso, con il primo motivo del suo ricorso, rubricato “Difetto di legittimazione passiva in capo al ricorrente. Error in procedendo – violazione di norma processuale – violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, il P. assume che la corte distrettuale non avrebbe inteso confrontarsi con l’eccezione, dal primo innanzi ad essa ribadita, relativa all’essersi egli dimesso prima della nomina della Commissione di accesso.
2.1. La doglianza è palesemente infondata.
2.1.1. Infatti, alla pagina 7 della sentenza impugnata, si legge che “L’eccezione preliminare concernente il “difetto di legittimazione passiva” dei consiglieri P. e R., formulata in relazione alle dimissioni presentate dagli stessi ancor prima dell’adozione del decreto di scioglimento del comune, già respinta dal tribunale, si basa su un’argomentazione priva di pregio. Al di là del tenore letterale della norma (D.Lgs. n. 267 del 2020, art. 143, comma 11. Ndr) “gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo, non possono essere candidati…”, è evidente che la previsione deve essere letta non come rivolta agli amministratori ancora in carica, bensì come sanzione con funzione preventiva e cautelare, rivolta a limitare nel tempo l’elettorato passivo dei soggetti che hanno permesso o tollerato le infiltrazioni criminali nella gestione dell’ente pubblico”. E’ evidente, dunque, che, così opinando, quella corte, sebbene sinteticamente, ha spiegato, peraltro affatto plausibilmente, le ragioni dell’avvenuto rigetto di detta eccezione.
3. Il secondo motivo di ricorso denuncia “Violazione o falsa applicazione di norma sostanziale in relazione del D.Lgs. n. 267 del 2020, artt. 42, 43, 62, art. 143, comma 11. Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Motivazione apparente, nella forma del contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”.
3.1. Questa doglianza si rivela infondata laddove lamenta un’asserita apparenza di motivazione, ed inammissibile quanto alla prospettata violazione o falsa applicazione di legge.
3.2. Invero, quanto al primo di detti profili, giova ricordare che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 6 novembre 2019), deve ritenersi ormai ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè si è chiarito (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti Cass. n. 20042 del 2020 e Cass. n. 23620 del 2020).
3.2.1. In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 23684 del 2020; Cass. n. 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). In altri termini, al fine di non incorrere nella motivazione apparente, equiparabile a difetto assoluto di motivazione, il contenuto della stessa deve comprendere il racconto sia del processo dinamico di formazione dell’atteggiamento psicologico del giudicante espresso nella decisione assunta, sia del risultato del passaggio logico dall’ignoranza, quale iniziale posizione statica, alla conoscenza sotto la specie del giudizio, quale posizione statica finale di approdo a seguito dell’attività di acquisizione della conoscenza intorno all’oggetto (cfr. Cass. 1450 del 2009). Nello spiegare questi argomenti, il giudice del merito deve compiere ed illustrare due distinte attività nel processo di formazione del proprio convincimento enunciando in modo esaustivo l’iter logico giuridico che conduce alla decisione adottata: un’attività di scienza, intesa quale conoscenza dei fatti e delle circostanze della causa, ed una di giudizio, manifestando il ragionamento e la valutazione dei fatti prospettati dalle parti, nonchè l’idoneità, o meno, dei medesimi a fungere da elementi a sostegno della corretta risoluzione della controversia dedotta in giudizio (cfr. Cass. n. 9577 del 2013). Ne deriva che è possibile ravvisare una “motivazione apparente” nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva.
3.2.2. Fermi i principi tutti finora riportati, rileva il Collegio che la corte territoriale ha esaustivamente spiegato le ragioni che l’hanno indotta a disattendere il reclamo del P. avverso la sua incandidabilità pronunciata dal giudice di prime cure, puntualmente indicando, peraltro, gli elementi su cui ha fondato una tale conclusione. Delle corrispondenti argomentazioni, assolutamente lineari e fondate su accertamenti fattuali, si è già dato conto, ampiamente, nel p. 2 dei “Fatti di causa” (da intendersi, qui, per brevità, riportato per quanto di specifico interesse), laddove sono state esposti gli assunti in forza dei quali la corte catanzarese ha valutato la sussistenza del responsabilità (anche del) P. tanto sotto l’aspetto dell’alterazione della formazione del consenso elettorale che dell’imparzialità e della regolarità dell’azione amministrativa, rimarcando pure che lo stesso era stato sottoposto a procedimento penale per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis c.p., ed aveva continuato a mantenere frequentazioni con esponenti della cosca C.- T.- G..
3.3. Deve, quindi, considerarsi soddisfatto l’onere minimo motivazionale di cui si è detto, nè rileva, qui, come si è già anticipato, l’esattezza, o non, di tali giustificazioni.
3.4. Con riferimento, poi, al profilo della violazione o falsa applicazione di legge, è utile rammentare che questa Corte, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 25444 del 2020; Cass. n. 4343 del 2020; Cass. n. 27686 del 2018), ha chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua (pur corretta) interpretazione (cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra invece violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
3.4.1. Nella specie, invece, le argomentazioni del P. si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il suddetto ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione o falsa applicazione di legge, una sua diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).
3.4.2. In altri termini, la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), posto che non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (cfr., ex multis, Cass. n. 1636 del 2020; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 13954 del 2007; Cass. n. 12052 del 2007; Cass. n. 7972 del 2007; Cass. n. 5274 del 2007; Cass. n. 2577 del 2007; Cass. n. 27197 del 2006; e così via, sino a risalire a Cass. n. 1674 del 1963, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”). Invero, non è compito di questa Corte quello di condividere, o non, la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008).
4. Il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater” contesta l’avvenuta applicazione, a carico del P., della misura raddoppio del contributo unificato.
4.1. Trattasi di doglianza insuscettibile di accoglimento in questa sede, posto che, come chiarito da Cass., SU, n. 4315 del 2020:
i) “La debenza di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione è normativamente condizionata a “due presupposti”, il primo dei quali – di natura processuale – è costituito dall’avere il giudice adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione, mentre il secondo – appartenente al diritto sostanziale tributario – consiste nella sussistenza dell’obbligo della parte che ha proposto impugnazione di versare il contributo unificato iniziale con riguardo al momento dell’iscrizione della causa a ruolo. L’attestazione del giudice dell’impugnazione, ai sensi all’art. 13, comma 1-quater, secondo periodo, T.U.S.G., riguarda solo la sussistenza del primo presupposto, mentre spetta all’amministrazione giudiziaria accertare la sussistenza del secondo”;
ii) “L’ulteriore importo del contributo unificato che la parte impugnante è obbligata a versare, allorquando ricorrano i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, T.U.S.G., ha natura di debito tributario; pertanto, la questione circa la sua debenza è estranea alla cognizione della giurisdizione civile ordinaria, spettando invece alla giurisdizione del giudice tributario”.
4.2. Nella specie, dunque, stante il tenore della pronuncia adottata (rigetto del reclamo), correttamente la corte distrettuale ha dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti (da intendersi come quelli processuali) per il versamento, da parte del P., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, “pari a quello eventualmente dovuto per l’impugnazione”. Spetterà, poi, all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento, rimanendo affidata alla giurisdizione tributaria l’eventuale controversia che, su questi aspetti dovesse eventualmente insorgere.
C) Il ricorso di R.P..
1. Pure il ricorso del R. – da considerarsi tempestivamente proposto (perchè notificato il 2 dicembre 2019, entro i quaranta giorni, quindi, dalla precedente notificazione, nei confronti del R. stesso, del ricorso n. 35094/2019, della Procura Generale presso la Corte di appello di Catanzaro, risalente al 22 novembre 2019, precedentemente esaminato), alla stregua dei già descritti principi (cfr. Cass. n. 15582 del 2020; Cass. n. 33809 del 2019; Cass. n. 28259 del 2019; Cass. n. 5695 del 2015) riguardanti l’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza – risulta essere stato notificato al Ministero dell’Interno presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, sede di Catanzaro, e non presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
1.1. Anche in tal caso, ed alla stregua dei principi tutti già richiamati in relazione al medesimo vizio da cui è risultata affetta l’impugnazione del P. appena scrutinata, non vi è necessità di disporre la rinnovazione della notificazione di quel ricorso rivelandosi lo stesso prima facie infondato.
2. Tanto premesso, con il primo motivo di quest’ultimo, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 143, commi 4 e 11, T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267 del 2000), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, si ascrive alla sentenza impugnata di avere completamente omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, che pure aveva formato oggetto di devoluzione in appello e di discussione tra le parti: fatto rinvenibile nelle intervenute dimissioni del R. dalla carica di consigliere comunale, prima ancora della nomina della Commissione d’Accesso presso il Comune di Lamezia Terme e degli accertamenti svolti per stabilire la sussistenza di elementi significativi di collegamento, diretti o indiretti, tra la criminalità organizzata e gli amministratori comunali.
2.1. La doglianza è palesemente infondata per le medesime ragioni già compiutamente esposte (e da intendersi, qui, per brevità, riprodotte) per respingere l’analoga doglianza di cui al primo motivo del ricorso del P..
3. Il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso denunciano, rispettivamente:
i) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 143, commi 4 e 11, T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267 del 2000), degli artt. 2 e 24 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, per avere la sentenza impugnata completamente omesso l’esame della condotta tenuta dal R., pervenendo alla dichiarazione di sua incandidabilità sulla base di addebiti non specificamente riferibili allo stesso ma ricavati dalla applicazione della misura collettiva di scioglimento, con ciò integrando una violazione del diritto costituzionalmente garantito di elettorato passivo senza il rispetto delle garanzie difensive, ed attraverso una motivazione meramente apparente;
ii) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 143, commi 4 e 11, T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267 del 2000), degli artt. 2 e 24 Cost., dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la sentenza impugnata affermato apoditticamente la incandidabilità del R. in virtù di una motivazione completamente elusiva della doverosa individuazione dei presupposti previsti dalla legge, nonchè delle ragioni di fatto e di diritto per l’applicazione della misura della incandidabilità;
iii) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 143, commi 4 e 11, T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267 del 2000), degli artt. 2 e 24 Cost., dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, per avere la sentenza impugnata affermato la incandidabilità del R. omettendo l’esame di documentazione rilevante per la decisione (informativa di P.G. del 18.9.2015 e sentenza di assoluzione n. 123/2019, emessa dal GIP presso il Tribunale di Catanzaro) nonostante la rituale produzione in giudizio;
iv) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 143, commi 4 e 11, T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267 del 2000), con riferimento all’art. 112 c.p.c., all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 ed all’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere il giudice di secondo grado nel provvedimento impugnato omesso completamente di illustrare le ragioni per le quali ha inteso disattendere i motivi di gravame, limitandosi a manifestare una apodittica condivisione della decisione di primo grado, con ciò pervenendo alla nullità della sentenza.
3.1. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perchè evidentemente connesse, si rivelano complessivamente insuscettibili di accoglimento.
3.2. Invero, quanto all’asserita violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, rinvenibile in ognuna di esse, è sufficiente, da un lato, richiamare in questa sede i principi tutti già esposti (scrutinandosi un’analoga censura del ricorso del P.), circa la riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui, come si è visto, applicabile ratione temporis), e le ipotesi in cui è concretamente configurabile una motivazione apparente; dall’altro, rimarcare che la corte territoriale ha esaustivamente spiegato le ragioni che l’hanno indotta a disattendere pure il reclamo del R. avverso la sua incandidabilità pronunciata dal giudice di prime cure, puntualmente indicando, peraltro, gli elementi su cui ha fondato una tale conclusione. Delle corrispondenti argomentazioni, assolutamente lineari e fondate su accertamenti fattuali, si è già dato conto, ampiamente, nel p. 2 dei “Fatti di causa” (da intendersi, qui, per brevità, riportato per quanto di specifico interesse), laddove sono state esposti gli assunti in forza dei quali la corte catanzarese ha valutato la sussistenza del responsabilità (anche del) R. tanto sotto l’aspetto dell’alterazione della formazione del consenso elettorale che dell’imparzialità e della regolarità dell’azione amministrativa, rimarcando pure che lo stesso era stato sospeso dalla carica dopo essere stato arrestato il 2 febbraio 2017, nell’ambito dell’operazione di polizia giudiziaria “*****”.
3.3. Deve, quindi, considerarsi soddisfatto l’onere minimo motivazionale di cui si è detto, nè rileva, qui, come si è già anticipato, l’esattezza, o non, di tali giustificazioni.
3.4. Con riferimento, poi, ai dedotti profili di violazione o falsa applicazione di legge, rileva il Collegio – preliminarmente ribadendo anche in questa sede i principi tutti, già riferiti scrutinandosi il secondo motivo di ricorso del P. (da intendersi, per brevità, qui integralmente riprodotti), riguardanti le caratteristiche e le modalità di concreta prospettazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che le argomentazioni del R. si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dalla corte distrettuale, cui il suddetto ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione o falsa applicazione di legge, una sua diversa valutazione.
3.4.1. Si è già osservato, però, che tanto non è ammesso nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati, dovendosi nuovamente ricordare che: i) non è possibile, in questa sede, una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (cfr., ex multis, Cass. n. 1636 del 2020; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 13954 del 2007; Cass. n. 12052 del 2007; Cass. n. 7972 del 2007; Cass. n. 5274 del 2007; Cass. n. 2577 del 2007; Cass. n. 27197 del 2006; e così via, sino a risalire a Cass. n. 1674 del 1963, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”); ii) non è compito di questa Corte quello di condividere, o non, la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008).
3.5. Resta solo da aggiungere, con specifico riferimento al quarto motivo ed all’asserito omesso esame della documentazione ivi menzionata, che, come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, non costituiscono “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); ii) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).
3.5.1. Inoltre, il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Nella specie, i fatti e/o i documenti di cui oggi il ricorrente lamenta l’omesso esame, lungi dall’essere, di per sè, “decisivi”, nei sensi testè ricordati, al più potrebbero rappresentare elementi indiziari da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni magari diverse da quelle esposte dalla corte calabrese, così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudizio di legittimità.
4. Il sesto motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione di del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, contesta l’avvenuta applicazione, a carico del R., della misura raddoppio del contributo unificato.
4.1. Trattasi di doglianza insuscettibile di accoglimento in questa sede per le medesime ragioni e gli stessi principi già compiutamente esposti (e da intendersi, qui, per brevità, riprodotti) per respingere l’analoga doglianza di cui al terzo motivo del ricorso del P..
D) Il ricorso del Ministero dell’Interno n. 12005 del 2020.
1. Il ricorso del Ministero dell’Interno (n. 12005/2020 r.g.) è affidato ad un solo motivo recante “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, comma 1, artt. 54,107 e art. 143, commi 4 ed 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si contesta il rigetto della pronuncia di incandidabilità per il sindaco M.P., argomentandosi solo con riguardo a quest’ultimo.
2. Questo ricorso deve considerarsi inammissibile perchè tardivamente proposto.
2.1. Invero, già si è ricordato, in sede di preliminare riunione, ex art. 335 c.p.c., dei ricorsi oggi in esame che, per la giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. n. 15582 del 2020; Cass. n. 33809 del 2019; Cass. n. 28259 del 2019; Cass. n. 5695 del 2015), “il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta ed ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi”.
2.2. Alla luce di tali principi consegue che, nella specie: i) il ricorso proposto dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro (n. 35094 del 2019) ha assunto la veste di ricorso principale (in quanto notificato il 22 novembre 2019). Malgrado la nullità della notifica di questo ricorso al Ministero dell’Interno (perchè effettuata – come affermato dallo stesso Ministero nella memoria ex art. 380-bis. 1 c.p.c. – presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, anzichè presso l’Avvocatura Generale dello Stato), viene in rilievo il ricorso incidentale in questo stesso procedimento promosso dal M., tempestivamente notificato al medesimo Ministero, correttamente presso l’Avvocatura Generale dello Stato, il 2 gennaio 2020 (cfr. Cass. n. 28259 del 2019, secondo cui, nei processi con pluralità di parti, la tempestività ex art. 370 c.p.c., dei ricorsi per cassazione proposti autonomamente dopo il primo, che si convertono sempre in impugnazioni incidentali rispetto a quella principale, deve essere valutata non in relazione al ricorso principale che non sia stato notificato alla parte, ma con riguardo alla data dell’effettiva notifica del primo ricorso incidentale successivo a quello principale); ii) l’autonomo ricorso proposto dal Ministero dell’Interno, dunque, deve configurarsi come un ricorso incidentale, da considerarsi però, tardivo, e come tale inammissibile, perchè notificato solo il 27 aprile 2020, oltre il termine di 40 giorni decorrenti dal 3 gennaio 2020, giorno successivo (dies a quo non computatur in termine) alla valida notifica al Ministero dell’impugnazione, seppure incidentale, del M. contro la medesima sentenza). Quel termine, infatti, è scaduto l’11 febbraio, ancor prima dunque, dell’inizio del periodo di sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali, ricompreso nell’intervallo temporale 9 marzo/11 maggio, dovuto alle misure adottate dal legislatore per far fronte all’emergenza epidemiologica da Covid-19 (cfr. del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 2020, che ha individuato nell’intervallo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 il periodo suddetto, successivamente allungato fino all’11 maggio 2020 dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 40 del 2020).
2.3. Nè in contrario, possono condividersi le argomentazioni contenute nella già menzionata memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., del Ministero dell’Interno.
2.3.1. Invero, la invocata inammissibilità del suddetto ricorso incidentale del M., per l’insussistenza di una sua situazione di soccombenza, certamente non costituiva – peraltro ancor prima della declaratoria di una siffatta inammissibilità da pronunciarsi da questa Corte ragione ostativa all’inizio del decorso del termine da osservarsi da quel Ministero per la propria impugnazione, ed altrettanto è a dirsi pure quanto all’affermazione di quest’ultimo circa il mancato inizio della decorrenza di tale termine attesa la natura solo condizionata del ricorso incidentale predetto.
2.3.2. A ciò deve solo aggiungersi, in via dirimente, che come affatto condivisibilmente sancito da Cass. n. 19165 del 2007, “in tema di ricorso per cassazione notificato ad una parte nelle forme dell’impugnazione incidentale successiva al ricorso principale, la parte che intenda impugnare a sua volta i capi della sentenza a sè sfavorevoli deve proporre ricorso incidentale entro i termini di cui all’art. 370 c.p.c. e, nel caso di notifica ai sensi dell’art. 332 c.p.c., rispettando il termine breve di decadenza di cui all’art. 371 c.p.c., comma 2”. Pertanto, vertendosi innegabilmente, nella specie, in fattispecie di cause scindibili, il menzionato ricorso incidentale del M., una volta notificato pure al Ministero dell’Interno, avrebbe avuto quanto meno l’effetto di una mera denuntiatio litis ai fini di cui art. 332 c.p.c., così da far decorrere comunque il termine ex art. 371 c.p.c., comma 2, per l’impugnazione della medesima sentenza da parte del Ministero stesso.
Conclusioni.
1. Alla stregua delle argomentazioni tutti fin qui esposte, ne consegue che devono essere dichiarati inammissibili il ricorso della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro recante il n. 35094/2019 r.g., quello ivi proposto, in via incidentale, dal M. ed il ricorso del Ministero dell’Interno recante il n. 12005/2020 r.g..
1.1. Vanno, invece, respinti i ricorsi del P. e del R. (entrambi promossi successivamente a quello n. 35094 del 2019 della menzionata Procura Generale ed allo stesso abbinati).
2. Quanto alle spese di questo giudizio di legittimità, va considerato che: a) come già sancito da questa Corte, “la funzione di garantire la corretta applicazione della legge, spettante al Pubblico Ministero in qualità di organo propulsore dell’attività giurisdizionale, comportando l’attribuzione di poteri meramente processuali, diversi da quelli svolti dalle parti ed esercitati per dovere di ufficio e nell’interesse pubblico, ne esclude la condanna al pagamento delle spese processuali nonostante la soccombenza” (cfr. Cass. n. 19711 del 2015; Cass. n. 20652 del 2011; Cass. n. 3824 del 2010; Cass., SU, n. 5079 del 2005; Cass., SU, n. 21945 del 2004; Cass., SU, n. 5165 del 2004); b) nessuna pronuncia può emettersi quanto ai rapporti processuali generati dai ricorsi del P. e del R., essendone rimasti intimati tutti i destinatari delle relative notificazioni; c) tra il Ministero dell’Interno ed il M., le stesse possono essere interamente compensate tenuto conto della peculiarità caratterizzante la concreta instaurazione del corrispondente procedimento n. 12005 del 2020 r.g..
3. Deve darsi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del P. e del R., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”. Analoga attestazione va resa pure quanto al M., in relazione al suo ricorso incidentale nel procedimento n. 35094 del 2019 r.g..
3.1. Altrettanto non è possibile, invece, in relazione al Ministero dell’Interno posto che, come già puntualizzato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 1778 del 2016, nonchè, in senso sostanzialmente conforme, la più recente Cass. n. 20682 del 2020), l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo. Identica conclusione, e per ragioni analoghe, vale con riguardo alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro.
4. Va, disposta, infine, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
PQM
La Corte dichiara inammissibili il ricorso della Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro recante il n. 35094/2019 r.g., quello ivi proposto, in via incidentale, dal M. ed il ricorso del Ministero dell’Interno recante il n. 12005/2020 r.g..
Rigetta i ricorsi del P. e del R. (entrambi promossi successivamente a quello n. 35094 del 2019 della menzionata Procura Generale ed allo stesso abbinati).
Compensa interamente le spese di questo giudizio di legittimità tra il Ministero dell’Interno ed il M. (procedimento n. 12005 del 2020 r.g.).
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del M., del P. e del R., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso di ciascuno di essi, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021