Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.39434 del 13/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI FLORIO Antonella – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6941/2019 proposto da:

DIAGNOSTICA BIOMOLECOLARE SAN MODESTINO SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AMERIGO VESPUCCI N. 34, presso lo studio dell’avvocato ENRICO CECERE, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO COPPOLA;

– ricorrente –

contro

ASL AVELLINO, rappresentata e difesa dallo avv. BRUNELLA MEROLA, (avv.brunellamerola.pec.ordineforenze.salerno.it);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 498/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 31/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/07/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO

che:

1. La società Diagnostica Biomolecolare San Modestino, società convenzionata per gli esami di patologia clinica, ricorre, affidandosi a cinque motivi, illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli che aveva respinto l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale di Avellino con la quale era stata parzialmente accolta l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore della società in relazione alle pretese relative al credito maturato per le prestazioni sanitarie rese nel 2009 in favore della ASL, in regime di convenzione, nella misura complessiva di Euro 164.656,30. La parte intimata ASL di Avellino in data 9 aprile 2019 ha notificato controricorso per resistere.

2. Per quanto qui rileva, l’opposizione era stata in parte accolta dal giudice di primo grado, fermo il riconoscimento da parte della ASL del diritto della società a ricevere la minor somma di Euro 88.420.25, maggiorata di interessi compensativi e di mora come per legge, sulla base della eccezione della ASL che nel frattempo aveva effettuato un pagamento parziale in ragione della sussistenza di un diritto allo sconto imposto dalla L. n. 296 del 2006 e di un limite sul tetto di spesa; il Tribunale, nel caso specifico, aveva ritenuto fondata detta eccezione sulla base della genericità delle deduzioni opposte in replica dalla società ricorrente circa il diritto ad ottenere il pagamento dell’intero credito, senza applicazioni di sconti e in base alla c.d. Regressione Tariffaria Unica, determinata per l’anno 2009.

3. La Corte d’appello di Napoli, adita dalla società ricorrente, per quanto qui di interesse, ha ritenuto: 1) in base al portato della sentenza n. 94/09 della Corte Cost., la legittimità della regressione tariffaria applicata ai fini del contenimento della spesa pubblica, fissata nella L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett., in via transitoria per l’anno in questione, ritenendo irrilevante l’annullamento del D.M. 22 luglio 1996, da parte del Consiglio di Stato (intervenuto con sentenza n. 1839/01) che sanciva lo sconto del 20% per le prestazioni sanitarie rese nel periodo 2007-2009, non essendo la normativa secondaria in grado di derogare a quella primaria che aveva richiamato la misura massima indicata del D.M. del 1996 in questione, in un’ottica di contenimento della spesa pubblica; 2) la legittimità della regressione tariffaria applicata dalla ASL sulla base della previsione contrattuale; 3) quanto alla tariffa determinata per l’anno 2009, non sindacabile la pretesa illegittimità della Regressione Tariffaria in quanto determinata da organo incompetente, trattandosi di profili di valutazione di atti amministrativi sottratti al potere dell’A.G.O., in quanto relativi all’agire della P.A. nell’attività di programmazione e di pianificazione della spesa sanitaria; 4) infondata la censura relativa al ritardo nell’ultimazione dei lavori del tavolo tecnico per l’anno 2009, citando la giurisprudenza del Tar in proposito, posto che l’operatore privato, professionalmente inserito nel sistema dell’accreditamento, si trovava, anche in forza del contratto sottoscritto, nella possibilità di prevedere le regole e i limiti della remunerazione delle prestazioni rese in regime di convenzione, non sussistendo quindi un legittimo affidamento da tutelare, potendo egli far riferimento ai limiti applicati negli anni precedenti; in ogni caso detto ritardo non comportava l’obbligo per l’amministrazione di acquistare prestazioni sanitarie impiegando risorse superiori a quelle disponibili; 5) assorbita ogni altra questione, condannando la ricorrente alle spese.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la nullità della sentenza per “omessa motivazione sulla violazione dell’art. 2697 c.c. – Onere della prova” (Ndr: testo originale non comprensibile), che la Corte d’appello avrebbe omesso ogni motivazione sulla eccezione fondata sull’onere della prova del fatto impeditivo dell’accoglimento della pretesa azionata, dalla giurisprudenza ritenuto gravante sulla ASL eccipiente, come rilevato in comparsa di costituzione e nel giudizio di appello, facendo riferimento a un recente orientamento giurisprudenziale segnato da Cass. n. 23324 del 29/05/2018.

1.1. Il motivo è inammissibile sia per mancanza di autosufficienza sia perché la motivazione appare costituzionalmente sufficiente.

1.2. La ricorrente deduce di avere eccepito l’inesistenza del tetto di spesa in quanto il provvedimento amministrativo della Giunta regionale era stato definitivamente annullato dal Consiglio di Stato, deducendone quindi che non fosse da applicare alcun limite, né potesse essere considerato tale quello dell’anno precedente e che l’Asl, pertanto, non avrebbe neanche dedotto o provato che il laboratorio avesse sforato il tetto di spesa (cfr. ricorso, p. 9).

1.3. Osserva, tuttavia, questa Corte che la denuncia di violazione della regola di riparto dell’onere probatorio con riguardo al superamento dei limiti di spesa, da applicarsi in riferimento alle prestazioni rese nel 2009, non è stata riportata nel ricorso per come dedotta nel primo atto difensivo e nell’atto di appello. Difatti, la ricorrente non trascrive l’eccezione posta a base del motivo di appello, sulla quale la Corte non si sarebbe pronunciata, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

1.4. E’, infatti, certamente condivisibile il principio per cui, in tema di pretesa creditoria della struttura sanitaria accreditata per le prestazioni erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, il mancato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo la cui prova deve essere posta a carico della parte creditrice (struttura sanitaria accreditata), mentre rileva, come fatto impeditivo, il suo avvenuto superamento, con conseguente onere della prova, ex art. 2697 c.c., a carico della parte debitrice (A.S.L.) (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 10182 del 16/04/2021; Sez. 1 -, Ordinanza n. 5661 del 02/03/2021; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 26234 del 16/10/2019; Sez. 3 – Ordinanza n. 3403 del 13/02/2018).

1.5. La motivazione censurata ha, peraltro, tenuto conto del portato della sentenza della Corte Costituzionale sopra richiamata, della prevalenza della volontà legislativa di contenere la spesa pubblica in materia di sanità richiamando i decreti ministeriali, anche se nel frattempo annullati, e del contenuto dell’accordo sottoscritto il 29.10.2010 che imponeva alla parte di accettare l’applicazione dello sconto legale e la RTU determinata per l’anno 2009, nonché dell’intervenuto riconoscimento parziale del credito da parte della ASL, a fronte dello sconto applicato su ogni mandato di pagamento e, più in generale, del superamento del tetto di spesa definito con separato provvedimento per l’anno 2009.

1.6. Sicché la censura, per rendersi ammissibile, avrebbe dovuto essere specifica sulla questione relativa alla effettiva contestazione dell’entità degli sconti e trattenute praticati dalla ASL per superamento del tetto di spesa, secondo la previsione contrattuale, all’atto di emissione dei mandati di pagamento, riferimenti che risultano del tutto assenti nel motivo proposto. Inoltre, esso omette di confrontarsi con la decisione che ha considerato gli sconti e le trattenute per come applicati direttamente dalla ASL, all’atto dell’emissione dei mandati di pagamento, sulla base di una legislazione provvisoria tesa al contenimento della spesa pubblica ritenuta legittima dal giudice di legittimità, nonché della pattuizione contrattuale del 29.10.2010 che, come meglio riportato dalla Asl controricorrente, all’art. 5 stabilisce che le remunerazioni delle prestazioni dovessero essere erogate al netto degli sconti di legge e che l’eventuale eccedenza nel valore delle prestazioni erogate dovesse essere abbattuta applicando la regressione tariffaria di cui all’allegato C alla D.G.R.C. (v. controricorso, p. 5).

2. Con il secondo motivo si denuncia ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, “Omessa motivazione – violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 2006, n. 296, sul cd sconto” in quanto la Corte d’appello avrebbe omesso ogni motivazione sul punto, assorbendo la specifica impugnativa nella “regressione sanitaria”, tuttavia annullata dal giudice amministrativo. Si deduce che la “scontistica” applicata sarebbe inapplicabile sussistendo un giudicato amministrativo sull’annullamento del decreto ministeriale del 12 settembre 2006 con valore erga omnes.

2.1. Il motivo è inammissibile perché la motivazione si è diffusa anche sul D.M. 12 settembre 1996 e, dunque, non appare affetta dal vizio denunciato, essendo la sentenza conforme al parametro del cd “minimo costituzionale” secondo il principio affermato da Cass. Sez. U. 8053/2014, per quanto si dirà in appresso (cfr. p. 4 e 5).

2.2. In particolare, sotto il profilo della completezza della motivazione offerta, la censura tende a colpire come “motivazione omessa” una valutazione giuridica sugli effetti dell’annullamento del D.M., in questione, per via di un giudicato amministrativo, effettuata dalla Corte di merito in senso opposto a quello proposto dalla ricorrente, e non certamente una circostanza fattuale omessa à termini dell’art. 360 c.p.c., n. 5, tale da incidere sulla completezza della motivazione (cfr. Cass. SU 8053/2014).

2.3. Sulla denunciata violazione di legge, invece, il motivo è inammissibile, oltre che infondato, in quanto non si raccorda alla decisione assunta, ponendosi in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

2.4. Ed, infatti, la censura non si raccorda alla motivazione resa che ha ritenuto la legge ordinaria (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. O)) prevalente su ogni atto amministrativo secondario, per quanto annullato, avendo la norma statale legittimamente disposto la vigenza delle tariffe stabilite con il primo dei decreti, e previsto quindi una riduzione delle stesse, come affermato dalla richiamata sentenza n. 94/2009 della Corte Cost. citata dalla Corte di merito in motivazione.

2.5. Sul punto, poi, si è pronunciato anche il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1832/2015 che, confermando precedenti orientamenti, ha così argomentato: “Infatti, anche se annullato in sede giurisdizionale, il predetto decreto del Ministero della Salute ha continuato a produrre i suoi effetti per volontà del legislatore, con la conseguenza che, nella fattispecie, doveva essere comunque applicato lo sconto sulle tariffe stabilito dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 796, lett. o), a nulla rilevando che il decreto del Ministro della Sanità del 22 luglio 1996 (cd. Decreto Bindi) era stato annullato in sede giurisdizionale, ed a nulla rilevando che anche il successivo decreto del Ministro della Sanità del 12 settembre 2006 (cd. Decreto Turco) era stato poi annullato in sede giurisdizionale, avendo la norma statale disposto la reviviscenza delle tariffe stabilite con il primo di detti decreti, e previsto quindi normativamente una riduzione delle stesse (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6090 e n. 6091 del 29 novembre 2012)”.

2.6. Non rileva, pertanto, la regola generale, richiamata nel motivo, circa l’effetto erga omnes del giudicato amministrativo riguardante la invalidazione di un atto amministrativo regolante fattispecie simili (cfr. Cons. Stato n. 3724/2010) in quanto, come si è detto, l’annullamento dell’atto amministrativo (D.M.) non ha fatto venire meno la potestà del legislatore di regolare, in quegli stessi termini richiamati e recepiti nella norma statuale, la materia delle prestazioni sanitarie svolte dai soggetti privati accreditati e convenzionati con il sistema sanitario nazionale.

2.7. Da tutto quanto sopra deriva non solo l’inammissibilità della censura di mancato rispetto del cd “minimo costituzionale” previsto per la motivazione, ma anche la sua sostanziale infondatezza sotto il profilo della prospettata violazione di legge, con assorbimento di ogni altra questione posta dalla ricorrente a supporto della sua tesi.

3. Con il terzo motivo si denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 502 del 1992, cd “regressione sanitaria tetti di spesa”, deducendo che il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1205/2010 avrebbe escluso la ammissibilità della regressione sanitaria e che il giudice amministrativo avrebbe annullato le delibere della regione Campania con cui si intendevano fissare i tetti di spesa. Pertanto, si chiede la disapplicazione dell’atto amministrativo della Asl di Avellino emesso da autorità incompetente e oltretutto in via retroattiva. Si deduce, ancora una volta, che le prestazioni non abbiano sforato i tetti di spesa e che tale circostanza non sia contestata.

3.1. Il motivo, per un verso, è sostanzialmente infondato sulla scorta della acclarata legittimità del meccanismo per cui l’atto determinativo della spesa è successivo all’erogazione del servizio. Tuttavia, per altro verso, esso è inammissibile perché non si confronta adeguatamente con la motivazione resa, in violazione del criterio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4.

3.2. Innanzitutto, prevale la considerazione che la censura di mancata valutazione del fatto che le prestazioni non abbiano sforato i tetti di spesa è carente del requisito di specificità con riferimento all’asserzione – qui indimostrata – che si tratti di circostanza non contestata dalla ASL resistente. Sul punto si rinvia a quanto detto riguardo al primo motivo.

3.3. Inoltre, sul meccanismo di Regressione Tariffaria Unica (RTU) la Corte di merito ha motivato ampiamente facendo riferimento alla legge primaria da applicarsi e al fatto che il privato accreditato sia soggetto ai vincoli sin dall’atto di accreditamento, nel caso specifico enucleati nell’accordo sottoscritto con la ASL e ampiamente conoscibili sulla base delle pregresse applicazioni annuali.

3.4. In relazione alla dedotta nullità dell’atto amministrativo applicativo della RTU emesso, in tesi, da autorità incompetente, si tratta di questione giudicata inammissibile dalla Corte territoriale in quanto ricadente al di fuori dell’ambito della potestà di sindacato dell’AGO sull’atto amministrativo e del correlato potere di disapplicazione, in ossequio a quanto disposto da Cass. SU n. 2244/2015 (che non ammette il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo quando il giudizio coinvolga la P.A. in giudizio e non soggetti privati che mettano in discussione l’antecedente logico del loro diritto soggettivo).

3.5. Pertanto, le censure si dimostrano complessivamente inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, poiché la lettura delle diverse questioni ivi indicate, al lume della motivazione, evidenzia come la loro illustrazione non si correli alla motivazione amplissima enunciata dalla Corte territoriale. Sicché, non apparendo i motivi correlati ad essa impingono nella ragione di inammissibilità espressa dal principio di diritto recentemente rinverdito da Cass. SU n. 7074 del 2017 secondo il quale “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4".

4. Con il quarto motivo di adduce “Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 502, e del DRRL n. 215, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in relazione alla circostanza che il tavolo tecnico istituito presso la ASL AV non avrebbe in alcun modo determinato la regressione tariffaria unica per l’anno 2005, essendo stata determinata dal direttore amministrativo, incompetente in materia; deduce inoltre che non sia stato preso in considerazione quanto determinato e afferente alla branca di Patologia Clinica, come stipulato in appositi accordi applicativi del precedente protocollo d’intesa, sulla base della DGCR n. 2157/2005.

4.1. Il motivo è assorbito da quanto sopra osservato in relazione al primo e al terzo motivo per quanto riguarda l’irrilevanza dell’intervenuto annullamento degli atti amministrativi con riguardo alla asserita illegittimità del meccanismo di Regressione Tariffaria ovvero anche della loro pretesa illegittimità sotto il profilo interno e amministrativo se non impugnati in sede di giurisdizione amministrativa, trattandosi di una questione non delibabile dall’AGO qualora la PA sia parte in causa.

4.2. Peraltro, anche questo motivo difetta del requisito di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto non riporta le questioni trattate nel giudizio di merito, né i documenti (il contratto) su cui si baserebbe il comunicato meccanismo di regressione tariffaria limitatamente alla branca di Patologia Clinica. Inoltre la censura in merito al tetto di spesa rispetto alla branca di Patologia Clinica coinvolta, e non alla “macroarea” considerata, non fa alcun riferimento alle questioni trattate in corso di causa e, pertanto, risulta inammissibile per come posta (oltre che di oscuro significato), essendo volta a indurre questa Corte a svolgere una valutazione su una quaestio facti” al buio”, ovvero in assenza di alcun riferimento agli atti di causa e alla decisione assunta in proposito, in violazione del paradigma di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

5. Con il quinto motivo, si adduce omessa motivazione in ordine alla violazione dell’art. 1224 c.c. in relazione ad art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, in riferimento alla richiesta degli interessi compensativi chiesti, sin dall’emissione del decreto, in ragione del ritardo nel pagamento che avrebbe dovuto eseguirsi entro il 30 aprile 2010.

5.1. La Corte d’appello, dopo avere respinto l’impugnazione sulle questioni di cui sopra, ha confermato le statuizioni del giudice di primo grado, ritenendo “assorbita ogni altra questione”.

5.2. Il motivo è inammissibile perché non solo non si rapporta al pronunciato assorbimento di ogni altra questione, ma non riproduce né il motivo di appello dedotto in proposito, né la richiesta contenuta nel decreto ingiuntivo, su cui si è pronunciato il giudice di primo grado e, in maniera conforme, quello di secondo grado. Pertanto il motivo è stato conformato in violazione dei criteri di sufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6.

5.3. Infine, ogni denuncia inquadrata come vizio di motivazione sotto il profilo dell’art. 360, n. 5, si pone in contrasto con il principio contenuto nell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, in tema di c.d. “doppia conforme”, essendosi la Corte di merito pronunciata dopo l’intervenuta novella del 2012, posto che la ricorrente avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 1 -, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 26097 del 11/12/2014).

6. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

6.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

6.2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio che liquida in favore della controricorrente in Euro 5.600,00, oltre Euro 200,00 per esborsi nonché rimborso spese forfettario ed oneri nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2021

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