Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.39435 del 13/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI FLORIO Antonella – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22590/2019 proposto da:

GEST DI ANALISI CLINICHE DI R.R. E M. R. C. SNC, rappresentata e difesa dall’avv. MARIA CRISTALLINO, elettivamente domiciliata presso la Cancelleria della Corte di Cassazione adita ovvero presso il domicilio digitale mariacristallinoavvocatinapoli.legalmail.it;

– ricorrente –

contro

ASL NA ***** NORD, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AMITERNO 3, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA BATTISTA BUONAVOGLIA o AUGUSTO CHIOSI, rappresentato e difeso dagli avvocati AMALIA CARRARA, GUGLIELMO ARA, e AUGUSTO CHIOSI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 260/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/07/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO

che:

1. La Gest di Analisi Cliniche di R.R. e M. R. C. s.n.c. (da ora Gest), ricorre, affidandosi a tre motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli che aveva accolto l’impugnazione della Asl Napoli 2 Nord, e, per l’effetto, l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo emesso su richiesta della odierna ricorrente per il pagamento della somma di Euro 18.863,26, oltre interessi e spese, a titolo di saldo sul fatturato relativo alle prestazioni sanitarie rese da gennaio a novembre 2008, il tutto in esecuzione del rapporto di accreditamento con il servizio sanitario nazionale ai sensi ed agli effetti del D.Lgs. n. 502 del 1992, domandati senza prededuzione di sconti tariffari ritenuti, in tesi, non dovuti.

2. La parte intimata ha resistito con controricorso, illustrato anche da memoria.

3. Per quanto qui di interesse, nel giudizio di primo grado il Tribunale di Napoli aveva rigettato l’opposizione della Asl, ritenendo che la Regione Campania avesse adottato un proprio tariffario in deroga alla normativa nazionale, ed assumeva che la disciplina degli sconti non fosse stata convenzionalmente pattuita con il richiamo nell’art. 5, comma 2 del contratto, in quanto essa si riferiva esclusivamente ai tetti di spesa e non anche agli sconti tariffari.

4. La Corte d’appello decideva su due motivi dell’appello della ASL inerenti alla non dovuta applicazione dell’autonomo nomenclatore tariffario fissato dalla regione Campania, diverso da quello di cui al D.M. 12 settembre 2006, contemplato dalla norma statale, in ragione della applicabilità della L. n. 296 del 2006, in forza dell’annullamento del D.M. da parte del Consiglio di Stato e della sentenza della Corte Cost. n. 94/2009; ed alla erroneità della sentenza di primo grado che aveva ritenuto che la clausola contrattuale si riferisse al tetto di spesa e non agli sconti tariffari, avendo il giudice operato un’artificiosa distinzione tra i due limiti di spesa che sono tra loro complementari, integrandosi “a monte” (con il tetto di spesa fissato per il complesso delle prestazioni da convenzionare) e “a valle” (con gli sconti da operarsi entro detto limite) con la contrattazione individuale, come già ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., 3128 del 19 agosto 2016).

5. La Corte di merito, dopo aver individuato la norma da applicare alla fattispecie – L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. O), nonché l’arco temporale di produttività dei suoi effetti – relativo al triennio 2007-2009 -, una volta accertato che le prestazioni per cui è causa erano riferibili all’esercizio 2008, ha ritenuto che le disposizioni settoriali in merito allo sconto applicato dovessero ritenersi valide proprio in ragione della loro temporaneità, citando il principio contenuto nella sentenza della Corte Costituzionale n. 94/2009 e recepito da questa Corte (cfr. Cass. 10582/2018 con riferimento alle prestazioni sanitarie rese dopo l’efficacia della normativa statuale, di natura provvisoria, valevole limitatamente agli esercizi 2007/2009 e non estensibile a quelli successivi), ritenendo assorbiti gli ulteriori motivi di doglianza; e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’opposizione al pagamento dell’intera somma ingiunta dalla società accreditata proprio perché essa si riferiva agli sconti relativi a prestazioni sanitarie rese nel periodo regolato dalla normativa temporanea in esame.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce violazione falsa applicazione di norme di legge, in particolare della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. O). Si assume che il giudice non abbia tenuto conto che il sistema degli sconti tariffari, così come chiarito dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, necessita della individuazione della tariffa in concreto applicata per la remunerazione delle prestazioni sanitarie erogate con oneri a carico del servizio sanitario nazionale; individuazione questa indispensabile al fine di poter verificare il rispetto del preciso perimetro entro il quale il sistema degli sconti tariffari opera, ovvero sulla tariffa fissata dalla Regione nell’ambito della soglia massima determinata con Decreto Ministeriale e, per il caso in cui tale soglia venga superata, ritenendo che l’eccedenza resterebbe a carico del bilancio regionale senza possibilità di poter applicare lo sconto a tale ultima quota parte della tariffa complessiva. Sul punto, il giudice del merito avrebbe errato nella individuazione ed interpretazione degli elementi costitutivi della fattispecie astratta, non avvedendosi che in punto di fatto non è risultato neppure allegato il presupposto giuridico di concreta applicazione dello sconto sulla tariffa regionale nel rispetto dei limiti massimi dati dalla tariffa ministeriale.

1.1. Inoltre, viene dedotto che l’orientamento portato da Cass. 25845/2017 sia stato puntualmente richiamato dalla ricorrente, essendo stato eccepito sin dal primo scritto difensivo il carattere misconosciuto e non chiarito della base di calcolo utilizzata per la quantificazione dello sconto tariffario da parte della Asl, come indicato a pagina 2 della “comparsa di costituzione e risposta” (allegata al ricorso quale doc. 4.6.1) ed a pagina 3 della memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6.

1.2. Il motivo, in via preliminare, va dichiarato inammissibile in quanto non si correla al contenuto della decisione e non riporta specificamente le eccezioni o motivi di “appello incidentale” tempestivamente proposti nel giudizio di impugnazione, facendo riferimento solo al contenuto della memoria conclusionale del giudizio di primo grado che, come tale, sarebbe tardiva per ogni nuova allegazione (v. ricorso, p. 11).

1.3. La normativa applicata, oltretutto, risulta conforme all’indirizzo interpretativo indicato dalla giurisprudenza e la censura non offre elementi per discostarsi da esso.

1.4. La Corte di merito, in iure, ha ritenuto errata l’interpretazione della legge offerta dalla ricorrente e accolta dal giudice di primo grado, secondo cui la disposizione richiamata avrebbe comportato la possibilità di applicare il tariffario della Regione Campania, stabilito con DGRC n. 1874/1998, per le prestazioni erogate, senza applicazione di alcuno sconto previsto dalla legislazione, circostanza che avrebbe comportato la sostituzione della tariffa ministeriale con quella regionale. La Corte di merito, di contro, ha richiamato ed applicato il principio espresso da questa Corte con riferimento alle prestazioni rese nel triennio 2007-2009, là dove ha indicato, dopo un’approfondita disamina della legge di settore, che “in tema di remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale dalle strutture private accreditate, lo sconto da praticare, ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. O), è limitato al triennio 2007-2009” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 10582 del 04/05/2018).

1.5. Tale pronunciamento si raccorda a un altro principio affermato da questa Corte, e richiamato nella medesima pronuncia sopra riportata, in base al quale “dal complesso normativo sopra evidenziato si desume che compito del decreto ministeriale è quello di determinare le tariffe massime. Entro il limite della soglia massima determinata dal decreto ministeriale le regioni fissano le tariffe, ed ove tale soglia risulti superata l’importo eccedente resta a carico del bilancio regionale. Non vi è dunque un’antitesi di fonte regionale e fonte ministeriale, nel senso che operando l’una non opera l’altra, sicché solo alle tariffe fissate dalla seconda si applicherebbe lo sconto, come sostenuto dalla ricorrente. Le due fonti concorrono, nel senso che l’autorità ministeriale determina la soglia massima, mentre la regione fissa la tariffa in concreto da applicare entro la detta soglia, con la conseguenza che la tariffa eccedente quella soglia resta a carico della regione. Lo sconto trova quindi applicazione sulla tariffa fissata dalla Regione nell’ambito della soglia massima determinata con il decreto ministeriale ed ove tale soglia venga superata unica conseguenza è che l’eccedenza resti a carico del bilancio regionale” (cfr. Cass. Sez. 3, sentenza n. 25845 del 12.07.2017).

1.6. Conseguentemente, la Corte di merito ha ritenuto congruo il meccanismo di decurtazione delle tariffe previste nella citata legge finanziaria del 2007 in riferimento al D.M. 22 luglio 1996, posto come limite massimo nella determinazione da parte delle regioni delle tariffe, in ragione del superamento del vaglio di costituzionalità sancito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 94 del 2009.

1.7. Con riferimento alle questioni sollevate nel motivo, pertanto, la censura oltre ad essere infondata in iure, risulta inammissibile per quanto riguarda la seconda parte del motivo, inerente alla mancata dimostrazione in concreto della “base di calcolo utilizzata per la quantificazione dello sconto tariffario”, posto che il perimetro della controversia, per quanto si desume dalla sentenza (cfr. pag. 2), si riferisce piuttosto alla pretesa inapplicabilità al caso di specie della disciplina degli sconti tariffari, che la Corte ha ritenuto conformi alla normativa per come sopra correttamente interpretata, mentre l’eccezione sulla mancata prova, opposta in origine dalla ricorrente, riguardava il superamento del tetto di spesa che, nel caso di specie, non risulta una questione affrontata in quanto assorbita dal riconoscimento del diritto allo sconto operante nel limite del tetto di spesa in capo alla ASL (v. sentenza p. 6).

2. Con il secondo motivo si denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per vizio di omesso pronuncia; ovvero violazione art. 112 c.p.c. e/o dell’art. 2697 c.c., in quanto la Corte d’appello avrebbe omesso l’esame di una specifica eccezione formulata dalla ricorrente sin dal primo scritto difensivo e puntualmente coltivata per tutto il giudizio, specificata “ai capi 7.8 e 7.5 delle premesse in fatto al ricorso le quali trovano loro antecedente logico giuridico processuale nell’eccezione richiamata al capo 4.2 sempre in premessa riportato”. Si deduce, in sostanza, che la Corte non abbia indicato l’iter aritmetico amministrativo utilizzato per l’indicata quantificazione dello sconto, come allegato a pagina 2 della comparsa di costituzione e risposta e a pagina 3 della memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6; ed attraverso questi richiami, si sostiene che, intervenuto l’orientamento sopra richiamato (Cass. 25845/2017), a tenore del quale lo sconto tariffario può trovare applicazione sulla tariffa fissata dalla regione nell’ambito della soglia massima determinata con il decreto ministeriale (e, per il caso in cui tale soglia venga superata, l’eccedenza rimane a carico del bilancio regionale senza possibilità di poter applicare lo sconto anche a tale ultima quota parte della tariffa complessiva) la ricorrente avesse eccepito la non chiarita base di calcolo del praticato sconto: base rinvenibile, stante l’insegnamento della Corte di cassazione richiamato, nel rapporto tra tariffario regionale e tariffario ministeriale.

2.1. Il ricorrente deduce, pertanto, che sul punto la Corte non si fosse pronunciata, apparendo evidente che la decisione si era limitata alla individuazione della norma generale e astratta e del suo arco temporale di applicabilità, limitandosi a rilevare che le prestazioni per cui è causa attenevano all’esercizio finanziario in essa ricompreso, senza verificare se, in concreto, risultasse ossequiato il principio di diritto sul quale si fondava l’interpretazione della norma.

2.2. Il Collegio osserva che il motivo non si raccorda alla decisione assunta che ha ritenuto assorbiti gli ulteriori motivi, e dunque anche ogni eccezione di parte o ulteriore domanda, dopo aver indicato il criterio legale con cui valutare lo sconto da individuare sulla base della legislazione allora vigente (L. n. 296 del 2006), valevole per le prestazioni erogate nel 2008. La censura, pertanto, è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4, nonché ex art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto in atti non viene neanche riversato il contenuto della specifica eccezione o domanda, in tesi non considerata, che sarebbe stato onere della parte reiterare in sede di impugnazione ex art. 346 c.p.c., o per via di appello incidentale.

2.3. In proposito, peraltro, prevale la considerazione che questa Corte, in fattispecie a questa assimilabile, ha ritenuto, con sentenza n. 17034 del 28.06. 2016, che non sussista omessa pronuncia sull’eccezione relativa alla applicabilità della DGRC n. 1874/1998, giacché la questione è stata valutata (e superata) con l’affermazione della operatività della L. n. 296 del 2006, n. 4, alla fattispecie concreta, richiamante i criteri di sconto da praticare sulla base del D.M. del 1996 (pari al 20% per le prestazioni di diagnostica di laboratorio).

2.4. Deve pertanto confermarsi l’orientamento secondo il quale “non può dunque condividersi la tesi secondo cui la corte costituzionale avrebbe escluso l’illegittimità costituzionale dello sconto sull’assunto di una necessaria alternatività o antitesi tra tariffario nazionale e tariffario regionale; l’indicato aggravio sul bilancio regionale dell’eccedenza delle tariffe nazionali e tariffe regionali comporta che le strutture non possono rivolgersi per tale eccedenza alle Aziende Sanitarie, perché altrimenti risulterebbe vanificato lo scopo della legge statale, che è quello di calmierare le tariffe a carico delle SSN e, quindi, dei bilanci delle Aziende” (cfr. Cass. sez. 3, sentenza n. 17034 del 28.06.2018, in motivazione).

2.5. Sul punto si richiama, altresì, il principio espresso da Cass. 25845/2017, secondo cui “dal complesso normativo sopra evidenziato si desume che compito del decreto ministeriale è quello di determinare le tariffe massime. Entro il limite della soglia massima determinata dal decreto ministeriale le regioni fissano le tariffe, ed ove tale soglia risulti superata l’importo eccedente resta a carico del bilancio regionale. Non vi è dunque un’antitesi di fonte regionale e fonte ministeriale, nel senso che operando l’una non opera l’altra, sicché solo alle tariffe fissate dalla seconda si applicherebbe lo sconto, come sostenuto dalla ricorrente. Le due fonti concorrono, nel senso che l’autorità ministeriale determina la soglia massima mentre la regione fissa la tariffa in concreto da applicare entro la detta soglia, con la conseguenza che la tariffa eccedente quella soglia resta a carico della Regione. Lo sconto trova quindi applicazione sulla tariffa fissata dalla Regione nell’ambito della soglia massima determinata con il decreto ministeriale ed ove tale soglia venga superata unica conseguenza è che l’eccedenza resti a carico del bilancio regionale”.

2.6. Vale in proposito anche il principio affermato da Cass. 10582/2018 in base al quale “In tema di remunerazione delle prestazioni rese per conto del Servizio sanitario nazionale dalle strutture private accreditate, lo sconto da praticare, ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), è limitato al triennio 2007-2009”.

3. Con il terzo motivo, infine, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione di norme di legge, e cioè, L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796 lett. o), sotto altro profilo; L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 170; D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 8 sexies e 12; Decreto Giunta Regionale Campania n. 1874 del 1998.

3.1. La ricorrente si riporta alla difesa richiamata al punto 7.2 delle premesse del ricorso, in cui avrebbe, in tesi, dedotto l’inapplicabilità della legge citata in quanto la Regione sarebbe stata dotata di un autonomo nomenclatore tariffario indicato nel decreto della Giunta regionale citato in epigrafe, diverso da quello nazionale di cui al Decreto Ministeriale 12 settembre 2006, e contemplato dalla norma statale in commento. Sul punto parte resistente non replica. Assume, al riguardo, che sul punto la Corte avrebbe pronunciato un rigetto implicito dell’eccezione formulata sin dal primo grado di giudizio, richiamata sub. 7.2 del ricorso.

3.2. Il motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto il riferimento riguarda, in realtà, un “motivo di appello incidentale” che non risulta riportato quanto al suo contenuto nel ricorso e neanche dalla sentenza impugnata, sul quale la sentenza peraltro non si è pronunciata, ritenendo assorbita ogni altra questione in riferimento a quanto ritenuto e deciso in sede di esame dell’appello; in ogni caso, il motivo avrebbe dovuto riportare e localizzare il punto in cui, nel costituirsi in appello, detta eccezione o domanda è stata reiterata ex art. 346 c.p.c., ovvero formulata come specifico “motivo di appello incidentale” (menzionato quale doc 4.1, indicato come “comparsa di risposta con appello incidentale”) (cfr. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

3.3. Infine, è il caso di osservare che la questione reitera, sotto diversa forma di violazione di legge collegata al contenuto della decisione implicita, la censura di cui al secondo motivo, relativa alla mancata considerazione del nomenclatore tariffario indicato nel DGRC 1874/98, e auspica un mutamento giurisprudenziale sul punto. Pertanto, volendo considerare la questione anche solo sotto il profilo strettamente giuridico, è sufficiente richiamare quanto indicato sopra al punto 2, in riferimento alla corretta interpretazione da darsi alla normativa transitoria in esame, facente esclusivo riferimento agli sconti di legge, e non a quelli regionali eventualmente stabiliti.

4. Conclusivamente il ricorso è inammissibile.

4.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M n. 55 del 2014.

4.2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte;

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre al rimborso spese forfettarie ed oneri nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2021

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