Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.39440 del 13/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI FLORIO Antonella – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24055/2019 proposto da:

D.B.S., e D.B.P., domiciliati in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato SALVATORE ABATE;

– ricorrenti –

contro

VARS di S.C. & C. SNC, in persona del legale rappresentante p.t., S.C., domiciliata in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE NISI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 478-2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 17 maggio 2019 e notificata il 28 maggio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

RILEVATO

che:

1. D.B.S. e P. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 478/2019 della Corte d’Appello di Lecce, depositata il 17 maggio 2019 e notificata il 28 maggio 2019, avvalendosi di tre motivi, corredati di memoria.

1.1. Resiste con controricorso, illustrato con memoria, Vars di S.C. & C. SNC. (da qui Vars).

2. I ricorrenti hanno dedotto di aver proposto opposizione al decreto n. 4/2004, con cui la Vars ingiungeva loro il pagamento di Euro 7.968,91, al netto degli interessi e delle spese di ingiunzione, in virtù di un “pagherò cambiario” emesso in occasione dell’acquisto di due auto.

2.1. L’opposizione si basava sul disconoscimento, da parte di D.B.S., della sottoscrizione in calce alla cambiale oggetto del decreto di ingiunzione.

3. La Vars, costituitasi in giudizio, deduceva che il titolo era quello risultante dalla ripetuta rinnovazione di due precedenti pagherò cambiari che gli odierni ricorrenti avevano emesso, all’atto di acquisto di una delle due auto, di Lire 5.950.000 ciascuno, con scadenze al 30 giugno 1995 e al 31 dicembre 1995, e produceva in giudizio le fotocopie dei pagherò cambiari a firma di D.B.S. e F., da valere come ricognizione di debito e di promessa di pagamento: fotocopie che non venivano disconosciute dai due D.B..

Chiedeva, pertanto, che gli odierni ricorrenti fossero condannati a pagare la somma ingiunta, oggetto del titolo cambiario protestato, o, in subordine, le somme dovute sulla base dei titoli cambiari prodotti in giudizio.

4. Con sentenza n. 248/2015 il Tribunale di Lecce, ritenendo che la domanda monitoria fosse fondata solo nei confronti di D.B.P., revocava il decreto ingiuntivo opposto e accoglieva la domanda subordinata della Vars, condannando D.B.S. e P. al pagamento di Euro 7.901,79 sulla base dei titoli rinnovati, aventi valore di promesse di pagamento, mai disconosciuti dagli opponenti.

5. La Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, rigettava l’appello e confermava la decisione di prime cure.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 214,215,216 c.p.c., artt. 2719,1988 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto che i titoli cambiari prodotti dalla Vars, e posti a base della sua domanda subordinata, non fossero stati disconosciuti dagli opponenti, in applicazione di un principio, quello di cui a Cass. n. 13425/2014, secondo cui la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta ove la controparte non la disconosca in modo specifico e non univoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione, non applicabile alla vicenda in esame.

1.1. Il giudice a quo non avrebbe tenuto conto che i titoli rinnovati, dopo essere stati prodotti in fotocopia, era stati prodotti in originale con memoria 183 n. 2 della Vars. Costituendo la produzione degli originali un quid novi nell’acquisizione probatoria, la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare tamquam non essent le fotocopie dei pagherò cambiari precedentemente prodotti e ritenere ammissibile il disconoscimento degli originali. In aggiunta, la Vars non aveva chiesto la verificazione ex art. 216 c.p.c., delle cambiali disconosciute con la memoria di replica ex art. 184 c.p.c. e, quindi, il giudice a quo avrebbe dovuto trarne la conclusione che la Vars non intendesse avvalersi della scrittura privata come mezzo di prova. In sostanza, secondo la prospettiva dei ricorrenti, la Corte d’Appello non avrebbe potuto confermare la decisione di prime cure che aveva accolto la domanda subordinata della Vars e non avrebbe potuto statuire che D.B.S. non avesse superato la presunzione di esistenza del rapporto sottostante ai titoli rinnovati, perché, a seguito del disconoscimento delle cambiali, era venuto meno il rapporto cartolare e non si era verificata a suo carico l’inversione dell’onere della prova di cui all’art. 1988 c.c..

1.2. Il motivo è infondato.

1.3. Va innanzitutto rilevato che le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Vars, con il controricorso, non meritano accoglimento, giacché i ricorrenti hanno soddisfatto le prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, indicando alle pp. 2 e ss. del ricorso, gli atti processuali su cui si fonda il motivo e le modalità di loro reperimento negli allegati al ricorso, con la precisa individuazione della pagina e dei righi rilevanti: la comparsa di costituzione e risposta con cui la Vars aveva prodotto in fotocopia i titoli cambiari, la memoria istruttoria con cui aveva prodotto gli originali, la memoria di replica con cui D.B.S. aveva disconosciuto come propria la sottoscrizione apposta su tutti i titoli rinnovati prodotti in originale.

1.4. Nel merito, il Collegio osserva che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte. In particolare, secondo il consolidato orientamento della suprema Corte, l’art. 2719 c.c. – a norma del quale le copie “hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta” – esige l’espresso disconoscimento della conformità della copia rispetto all’originale e si applica, oltre che a tale fattispecie, anche al disconoscimento dell’autenticità di scrittura o di sottoscrizione (cfr., tra innumerevoli decisioni in tal senso: Cass. nn. 22577, 15842, 13038, 12757, tutte del 2020).

1.5. I ricorrenti interpretano erroneamente un precedente di questa Corte (Cass. n. 5189/2002), al fine di farne discendere la conferma della loro tesi e cioè che la produzione in originale dei pagherò cambiari da parte della Vars costituisse un quid novi, con la conseguente ammissibilità di una contestazione degli originali, pur in assenza – pacifica – della (tempestiva) contestazione delle fotocopie.

1.6. Ora, è vero che il precedente invocato considera la produzione degli originali un quid novi, ma ciò solo allo scopo di porre a carico di chi abbia interesse al disconoscimento l’onere di rinnovare la contestazione anche con riferimento agli originali. La decisione precisa, infatti, che il disconoscimento, ai sensi dell’art. 214 c.p.c. e art. 215 c.p.c., comma 2, dell’autenticità della sottoscrizione di una scrittura privata, ammissibile anche relativamente a scrittura prodotta in copia fotostatica, non esime dall’onere di insistere con la contestazione una volta che la controparte abbia prodotto il documento originale, il quale costituisce un “quid novi” nell’acquisizione probatoria, che sostituisce la copia precedentemente prodotta e ne elide ogni valenza: non se ne può, invece, trarre la conclusione auspicata dai ricorrenti e cioè che, in assenza di contestazione delle fotocopie, la produzione degli originali valga a rimettere in termini colui il quale non abbia contestato gli originali.

1.7. La mancata contestazione delle fotocopie non obbligava la Vars a produrre in giudizio gli originali, detta produzione è servita solo alla regolarizzazione formale di una produzione pregressa, tempestivamente avvenuta, in funzione di uno specifico mezzo istruttorio (in tal senso cfr. Cass. 26/01/2016, n. 1366).

1.8. In buona sostanza, la contestazione delle fotocopie onera la parte che ha prodotto in giudizio le fotocopie, se intende avvalersi della prova documentale, a produrre in giudizio gli originali, perché, “in difetto di produzione degli originali”, la copia, “di fronte al disconoscimento”, è tamquam non esset; la parte contro cui le fotocopie sono state prodotte ha l’onere di contestarle tempestivamente e, a seguito della produzione in giudizio degli originali, ha l’onere di rinnovare la contestazione nei confronti degli originali.

Là dove le fotocopie non siano state contestate, non sorge alcun onerem a carico della parte che ha prodotto le fotocopie, di produrre gli originali: la produzione di questi ultimi costituisce una mera regolarizzazione formale e non un quid novi che oneri la controparte ad una contestazione, la quale, ove intervenuta, in assenza di contestazione delle fotocopie, deve considerarsi tamquam non esset.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Ad avviso dei ricorrenti, il rigetto del terzo e del quinto motivo di gravame, per la ritenuta genericità delle doglianze non supportate da validi elementi di prova e la ritenuta conferma dei rapporti negoziali intercorsi tra le parti raggiunta attraverso l’escussione del teste C., sarebbe apodittica e tautologica.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. In primo luogo, va rilevato che la motivazione è perfettamente intellegibile, perché giustifica il rigetto dell’eccezione facendo leva sul mancato superamento, da parte degli odierni ricorrenti, della presunzione di esistenza del rapporto contrattuale sottostante ai titoli cambiari, di cui all’art. 1988 c.c., e sulla prova testimoniale che aveva dimostrato la ricorrenza dei rapporti negoziali intercorsi tra le parti.

2.3. Va poi aggiunto che nel caso in cui il giudice del merito abbia ritenuto, senza ulteriori precisazioni, che le circostanze dedotte per sorreggere una certa domanda (o eccezione) siano generiche ed inidonee a dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso (o dell’eccezione), non può ritenersi sussistente la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente (Cass. 21/10/2019, n. 26764).

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112,99 c.p.c., art. 2697 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere rigettato l’eccezione di nullità degli interessi al tasso ultra legale del 20%, originariamente contenuti nelle due cambiali di Lire 5.950.000, successivamente riportati nei titoli rinnovati, fino alla cambiale finale di Euro 7.968,91, affermando che la nullità parziale della domanda avente ad oggetto somme a titolo di interessi ultra legali non era stata formulata.

3.1. Il motivo è fondato.

3.2. La domanda degli odierni ricorrenti è stata espressamente esclusa dalla Corte territoriale che ha affermato che la pattuizione di interessi ultralegali non comporta la nullità totale del contratto, ma solo la nullità parziale, avendo i D.B. chiesto la prima e non già – né anche – seconda.

3.3. I ricorrenti sostengono di avere eccepito la nullità per difetto di forma della pattuizione degli interessi ultralegali, allo scopo di paralizzare la domanda attorea, e, dopo aver illustrato la differenza tra domanda ed eccezione, onde farne discendere la conseguenza che non erano soggetti al principio della domanda, avendo formulato una eccezione riconvenzionale, dirigono lo sforzo confutativo della statuizione impugnata verso l’avvenuta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per non avere la Corte territoriale correttamente esercitato il potere di interpretazione della eccezione.

3.4. Oltre a doversi prendere atto che la Corte territoriale intendeva riferirsi alla mancata formulazione di un’eccezione di nullità parziale del contratto e non già alla mancata proposizione di una domanda in tal senso, va rilevato che il rigetto del motivo di appello si è basato sulla mera constatazione che non fosse stata formulata espressamente una domanda di nullità parziale (rectius: eccezione), pur dando atto della ricorrenza di una eccezione di nullità totale del contratto fondata sulla pattuizione di interessi ultralegali in assenza di forma scritta.

3.5. Tanto considerato, è opinione del Collegio che la Corte territoriale non abbia correttamente esercitato il potere di valutazione della eccezione, la quale quand’anche avesse avuto ad oggetto la nullità totale dell’accordo inter partes, e non la nullità parziale della clausola con cui era stata prevista la corresponsione di interessi ultralegali, non comportava l’accertamento di fatti differenti né tendeva al conseguimento di effetti diversi, tantomeno comportava l’attribuzione o la negazione di un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della richiesta dei D.B. (cfr. Cass. 19/12/2019, n. 34024 che ha accolto il motivo di ricorso fondato sulla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato per aver ritenuto che fosse stata proposta una domanda di simulazione assoluta anziché relativa; Cass. 19/12/2019, n. 33926, a proposito della annoverabilità dell’annullamento, quale forma più grave di invalidità all’interno del petitum di nullità).

3.6. Ne consegue che si configura la violazione dell’art. 112 c.p.c., in tema di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, per avere il giudice di merito rilevato e ritenuto che il motivo di appello, essendo stata proposta una eccezione di nullità assoluta anziché relativa, non meritasse accoglimento, omettendo di fare applicazione del principio plus semper in se continet quod est minus e di considerare che la regola fondamentale dell’art. 112 c.p.c., si sostanzia nel potere delle parti di determinare l’ambito dell’oggetto del processo, proponendo domande ed eccezioni ed allegando fatti. Ciò comporta che il giudice deve giudicare su tutti i fatti che sono allegati o affermati nelle domande e soltanto su quelli (judex secundum alligata judicare debet), ma a quei fatti può applicare le norme di diritto che ritiene più adeguate, siano o non siano indicate nelle domande, essendo egli vincolato rispetto ai fatti, ma libero rispetto alle norme da applicare.

4. In conclusione, va accolto il terzo motivo di ricorso. La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto e la controversia è rinviata alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2021

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