LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14209/2019 proposto da:
K.B., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Maestri Andrea, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 3115/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 18/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/10/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.
RILEVATO
Che:
1. La Corte d’appello di Bologna ha confermato il diniego di protezione internazionale e umanitaria da parte del. Tribunale di Bologna nei confronti del cittadino ***** K.B., nato il 15/05/1988, il quale aveva dichiarato di temere che, “una volta rientrato in Gambia, potesse essere ucciso dal governo del presidente J.Y. in quanto, durante la campagna elettorale delle elezioni amministrative del 2013, avrebbe tenuto, come attivista di opposizione *****, un discorso fortemente critico nei confronti del governo in carica”.
2. Avverso la decisione di secondo grado il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il Ministero intimato non ha svolto difese, limitandosi a depositare un “atto di costituzione” al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
Che:
3. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione: dell’art. 10 Cost., comma 3; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,14 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19; art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati; il tutto per avere il giudice d’appello disatteso l’obbligo di cooperazione istruttoria e trascurato il rischio del richiedente, una volta rimpatriato, di essere “incarcerato perchè fuoriuscito dal Gambia”, Paese in cui nel 2015 era stata ripristinata la pena di morte e, sempre nel 2015, la maggior parte degli abusi veniva utilizzata “per intimidire o estorcere confessioni forzate da presunti oppositori del governo, o per punire coloro che criticano il presidente o evidenziano gli errori politici dell’attuale amministrazione”.
4. Il secondo mezzo veicola una censura motivazionale, nel senso che “nella sentenza impugnata non viene minimamente prospettata alcuna disamina del particolare permesso di soggiorno per motivi umanitari”, avuto riguardo alle allegazioni difensive e al positivo percorso di integrazione compiuto dal ricorrente in Italia – dunque con rilevanza anche del diritto al rispetto della vita privata e familiare, ex art. 8 Cedu – da valutare comparativamente con il rischio di subire, in caso di rientro nel paese d’origine, trattamenti degradanti sia per le disumane condizioni carcerarie in Gambia (essendo previsto il carcere per i cd. “transfughi”), sia per l’impossibilità per il ricorrente di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili di vita, stante la diffusa povertà nel Gambia, che lo condannerebbe “ad una vita di stenti”.
5. Il primo motivo è inammissibile, poichè non si confronta con la ratio decidendi della decisione – fondata sulla “assoluta genericità e non plausibilità” della narrazione, inficiata anche dalle contraddizioni indicate a pag. 6 della sentenza impugnata – la quale, se è idonea a sorreggere il diniego delle due forme di protezione internazionale (nei limiti di quanto allegato dal ricorrente), non lo è invece per la protezione umanitaria, con conseguente fondatezza del secondo motivo.
5.1. Per completezza va anche evidenziato che a pag. 3 della sentenza impugnata si dà atto come lo stesso appellante avesse fatto esplicito riferimento alla destituzione del dittatore J., a seguito delle elezioni del dicembre 2016 che hanno visto la vittoria della coalizione guidata da A.B. (con avvio di un percorso di riforme finalizzate ad eliminare le leggi più repressive, come quella sulla pena di morte, in uno alla creazione di commissioni per i diritti umani e alla concessione della grazia ai cittadini arrestati per motivi politici: cfr., in tema, Cass. 18473/2020, 13253/2020).
6. Orbene, la Corte territoriale, dopo aver affermato che l’accertato “difetto di credibilità soggettiva circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona” esonera da “un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine”, si è limitata ad aggiungere che “gli sforzi soggettivi pur apprezzabili di inserimento del richiedente non possono tuttavia colmare la mancanza del presupposto giuridico normativo ai fini di una protezione internazionale”, senza altro aggiungere in punto di protezione umanitaria, pur risultando dalla stessa sentenza che il relativo diniego da parte del Tribunale era stato oggetto di appello.
7. Una simile motivazione sulla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari – astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U., 29459/2019) – non raggiunge la soglia del “minimo costituzionale” declinata dal massimo organo nomofilattico di questa Corte, restando perciò soggetta al sindacato di legittimità sub specie di “anomalia motivazionale” (Cass. Sez. U., 8053/2014).
7.1. Invero, la natura residuale e atipica della protezione umanitaria comporta che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione internazionale (Cass. 21123/2019, 21129/2019, 7622/2020), nonostante i fatti storici presupposti possano anche coincidere con quelli allegati per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o la concessione della protezione sussidiaria, spettando in ogni caso al giudice la loro qualificazione giuridica (Cass. 8818/2020, 11912/2020).
7.2. Nè può giovare la “non credibilità” del ricorrente, accertata ai fini delle domande di protezione internazionale, poichè essa non preclude, di per sè, la valutazione delle diverse circostanze che rilevino ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (ex multis, Cass. 2960/2020, 2956/2020, 8020/2020, 7985/2020, 10922/2019), dovendosi comunque procedere al “riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 1040/2020, 23778/2019), sia pure nella fermezza del canone nomofilattico per cui il permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere concesso solo ed esclusivamente “in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 4455/2018, 630/2020).
7.3. In particolare, in tema di protezione umanitaria le Sezioni Unite appena citate hanno ribadito, tra l’altro, che: i) la norma che prevede tale misura va collegata ai diritti fondamentali che l’alimentano; ii) gli interessi così protetti non possono restare “ingabbiati” in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 13079/2019, 13096/2019); iii) l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione; iv) va dato seguito all’orientamento di legittimità (inaugurato da Cass. 4455/2018 e seguito ex plurimis, da Cass. 11110/2019, 12082/2019) e alla prevalente giurisprudenza di merito che assegnano rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (cfr. inter alla, Cass. nn. 2563, 2964, 3776, 3780, 5584, 7599 7675, 7809, 8232, 8819, 8020, 26148 del 2020).
8. La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio, per una compiuta motivazione sulla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari, alla luce dei principi sopra riepilogati, oltre che per la statuizione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, dichiara inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021