LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11475/2019 proposto da:
A.A., rappresentato e difeso dall’avv. MASSIMO GILARDONI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO e PROCURA GENERALE presso la CORTE CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1729/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 08/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza del 6.6.2016 il Tribunale di Catanzaro rigettava il ricorso avverso il provvedimento notificato il 28.8.2015, con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale aveva respinto la domanda di A.A. volta al riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria.
Interponeva appello l’ A. e la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza oggi impugnata, n. 1729 del 2018, rigettava il gravame.
Propone ricorso per la cassazione di tale decisione A.A. affidandosi a tre motivi.
Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente argomenta sull’ammissibilità del ricorso in Cassazione avverso la decisione della Corte territoriale impugnata.
La censura è inammissibile poichè non contiene alcuna critica al contenuto argomentativo della sentenza della Corte catanzarese. Nè vi sono margini per poter ipotizzare la non applicabilità, nel caso di specie, del termine di impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c., posto che si tratta di controversia decisa dalla Corte di Appello secondo il rito antecedente all’entrata in vigore del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito in L. 13 aprile 2017, n. 46 e posto che le modifiche apportate da tale novella al D.L. n. 25 del 2008, art. 35-bis, sono espressamente applicabili solo ai procedimenti giudiziari sorti dopo 180 giorni dalla sua entrata in vigore, e quindi a decorrere dal 17 agosto 2017.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 2 e 3 della Convenzione E.D.U., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato la protezione sussidiaria senza considerare il contesto esistente nel Paese di origine del richiedente la protezione.
La censura è inammissibile.
Va premesso che il motivo contiene un evidente errore materiale, in quanto a pag. 6 si fa riferimento, in apertura, al “silenzio assoluto sulla situazione generale del Bangladesh” che la Corte territoriale avrebbe osservato, ancorchè il richiedente sia un cittadino del Pakistan. Ciò posto, il successivo sviluppo della censura, che invece fa richiamo alla condizione del Pakistan, si risolve in una inammissibile richiesta di riesame delle valutazioni di fatto operate dal giudice di merito. La sentenza impugnata, infatti, ha esaminato il contesto interno esistente in Pakistan (cfr. pag. 12 della sentenza), avendo cura di indicare le fonti consultate e le specifiche informazioni da esse tratte, assicurando così alle parti la possibilità di verificare, in concreto, la pertinenza e la specificità di dette informazioni rispetto alla situazione effettiva del Paese di provenienza, nel rispetto della previsione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che 2008 impone al giudice di esaminare la domanda di protezione internazionale “… alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv. 653887; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9230 del 20/05/2020, Rv. 657701; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13255 del 30/06/2020, Rv. 658130).
Il ricorrente non indica neppure, nella censura in esame, fonti informative alternative a quelle richiamate dal giudice di merito, e dunque non assolve l’onere di specificità che è richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte. Sul tema, va invero ribadito che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.
In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, nonchè del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, senza valutare in alcun modo la condizione di vulnerabilità del richiedente.
La censura è infondata.
Il giudice di merito ha infatti ritenuto che dal racconto dell’ A. non emergessero profili idonei a dimostrare una sua vulnerabilità, nè in relazione alle condizioni di sicurezza del Paese di provenienza, nè con riferimento alla sua integrazione in Italia, escludendo quindi, all’esito della valutazione comparativa richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298) che il ricorrente possa essere esposto, in caso di rientro in patria, al rischio di subire lesioni al nucleo inalienabile dei suoi diritti fondamentali. Nell’ambito di tale apprezzamento il giudice di merito ha considerato anche l’attività lavorativa prestata dall’ A. come operaio presso azienda di prodotti caseari (cfr. pag. 17), ritenendola in sè insufficiente. Il ricorrente contesta tale valutazione in modo generico, senza indicare alcun elemento che il giudice di merito non avrebbe considerato, o avrebbe considerato in modo non corretto, limitandosi a sostenere la mancanza, nella decisione della Corte territoriale, della valutazione comparativa che, invece, in concreto è stata svolta dal giudice calabrese. Ne discende l’insussistenza della violazione di legge lamentata dall’ A..
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021