Ferrovie, procedure di trasferimento dall’Ente Ferrovie dello Stato alla Società Ferrovie dello Stato S.p.a., attuazione, condizioni

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.4032 del 16/02/2021

Pubblicato il

Ai fini dell’attuazione delle procedure di trasferimento dall’Ente Ferrovie dello Stato alla Società Ferrovie dello Stato S.p.a., di cui al D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 15, commi 1 e 2, convertito in L. 24 marzo 1993, n. 75, la condizione che il bene trasferito risultasse, alla data del 31 dicembre 1985, nella disponibilità dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, va inteso nel senso che esso fosse di “pertinenza” della stessa, ai sensi della L. 17 maggio 1985, n. 210, art. 1, comma 3, ovvero che esso fosse assoggettato al regime di piena disponibilità negoziale di diritto privato, senza, invece, richiedersi che fosse effettivamente utilizzato per il servizio ferroviario.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26701-2018 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’Avvocato GABRIELE PAFUNDI, rappresentato e difeso dall’Avvocato LUIGI FIORINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEL DEMANIO, AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1682/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. La società Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. (d’ora in poi, “RFI”) ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1682/18, del 3 aprile 2018, della Corte di Appello di Milano, che – accogliendo il gravame esperito dall’Agenzia del Demanio e dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli avverso l’ordinanza n. 27784/15, del 4 novembre 2015, del Tribunale di Milano – ha rigettato la domanda di restituzione dell’indebito, per l’importo di Euro 542.387,63, avanzata dall’odierna ricorrente avverso le predette Agenzie, condannandola, invece, a pagare una penale nella misura di Euro 32.400,00.

2. In punto di fatto, RFI riferisce di aver sottoscritto – il 30 novembre 2004 – un protocollo di intesa con le predette Agenzie per la “cessione”, in proprio favore, “in via definitiva di un’area e l’occupazione temporanea di altra area” (aree descritte, nel suddetto protocollo, come “immobile appartenente al patrimonio dello Stato”, ma “destinate alle esigenze dell’Agenzia Dogane-Direzione Regionale della Lombardia”, e dunque in uso a quest’ultima), “entrambe interessate dalla realizzazione del collegamento ferroviario tra la stazione ***** e l'*****”. In particolare, in esecuzione dell’accordo sottoscritto, l’odierna ricorrente versava all’Agenzia delle Dogane – quale indennizzo per l’occupazione temporanea, per tre anni, della seconda delle aree in questione – la somma di Euro 542.387,63, salvo, però, successivamente accertare di essere proprietaria della stessa, da data anteriore alla sottoscrizione del protocollo.

Su tali basi, pertanto, RFI radicava un giudizio ex art. 702-bis c.p.c., al fine di conseguire la restituzione dell’importo suddetto, indebitamente trattenuto dall’Agenzia delle Dogane, e ciò in assenza di un titolo, in capo ad essa, in base al quale richiedere il pagamento dell’indennizzo per l’occupazione temporanea di un immobile già di proprietà dell’attrice.

Accolta la domanda dall’adito giudice di prime cure (che respingeva la riconvenzionale dell’Agenzia delle Dogane, volta al pagamento di una penale per ritardata consegna dell’immobile, alla scadenza del periodo di occupazione), il giudice di appello, su gravame delle convenute soccombenti, viceversa, la respingeva, escludendo che l’area in questione potesse ritenersi di proprietà di RFI, in difetto del requisito della “pertinenzialità” rispetto al servizio ferroviario, richiesto dalla L. 17 maggio 1985, n. 210, art. 1, comma 3, condannando, invece, l’odierna ricorrente a pagare la penale suddetta, nella misura di Euro 32.400,00.

3. Avverso la decisione della Corte ambrosiana ricorre per cassazione RFI, sulla base – come detto – di tre motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), – si denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 17 maggio 1985, n. 210, art. 1, comma 3, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oltre che violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4).

Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che potesse considerarsi di “pertinenza” delle Ferrovie dello Stato (ed oggi di RFI), ai sensi della L. n. 210 del 1985, art. 1, comma 3, l’area oggetto di causa, per occupare temporaneamente la quale l’odierna ricorrente ebbe a corrispondere, quale indennizzo, la somma di Euro 542.387,63.

Difatti, secondo la Corte territoriale, il Consiglio di Stato – nel parere della Commissione speciale del 19 ottobre 1995 – avrebbe interpretato l’espressione beni “di pertinenza” delle Ferrovie dello Stato in senso generico, e non strumentale, identificando tali beni in quelli oggetto di “peculiare uso” da parte di Ferrovie. Su tali basi, dunque, la sentenza impugnata ha escluso la pertinenzialità, visto che l’area in questione “già nel 1960 risultava utilizzata dall’Agenzia delle Dogane”, essendogli stata concessa – in virtù di convenzione dell’11 ottobre 1960 – “per ampliamento del recinto doganale” e quindi ai fini dell’espletamento dei suoi compiti istituzionali.

Orbene, assume la ricorrente che “i primi due vizi denunciati in rubrica” sarebbero “conclamati”, proprio avuto riguardo al contenuto del citato parere del Consiglio di Stato.

Esso, infatti, ha sottolineato come l’ambito descritto dalla nozione di “pertinenza” vada “interpretato in senso ampio”, con riferimento a tutti gli immobili comunque “nella disponibilità dell’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato”, e ciò in forza di poteri “tali da renderla, pur se non titolare dei beni di sua pertinenza”, come “l’effettivo ed unico gestore, anche con negozi di disposizione, del patrimonio di cui era affidataria”. In questa stessa prospettiva, inoltre, il citato parere ha pure evidenziato come “la mancata semplice utilizzazione dei beni immobili a fini ferroviari” non andasse “considerata indice sicuro del fatto che il bene stesso debba essere sottratto all’uso ferroviario”, sicchè rientrano nella definizione di “pertinenza” anche “i beni demaniali che, all’entrata in vigore della L. n. 210 del 1985, non fossero direttamente utilizzati per l’uso ferroviario”. Nel parere, inoltre, si richiama l’indirizzo della giurisprudenza amministrativa secondo cui il termine “pertinenza” deve intendersi con riguardo al suo “significato empirico”, e non a quello “tecnico e specifico utilizzato nel sistema di contabilità di Stato”, sicchè, per tale motivo, non si deve limitare il trasferimento disposto dalla L. n. 210 del 1985 “alla sola rete ferroviaria statale ed agli impianti ad essa strumentalmente connessi”.

Ciò premesso, poichè nella già citata convenzione dell’11 ottobre 1960, con cui l’area in questione fu concessa all’Agenzia delle Dogane, lo scopo della convenzione stessa venne individuato nella necessità di “potenziare gli impianti doganali ferroviari”, e ciò attraverso un ampliamento del recinto doganale mediante la costruzione di nuovi impianti su area FS, essendosi previsto, inoltre, che le citate zone di terreno restassero “di proprietà dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato”, sì confermerebbe, vieppiù, come l’area “de qua” fosse rimasta di “pertinenza” delle Ferrovie dello Stato.

Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di radicale contraddittorietà della motivazione, laddove, per un verso, nega la pertinenzialità dell’area, seppur riconoscendo che su di essa era esercitato un potere di gestione da parte dell’Azienda Autonoma.

3.2. Con il secondo motivo – proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – è denunciata violazione e/o falsa applicazione del D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 15, commi 1 e 2, convertito in L. 24 marzo 1993, n. 75, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

Si contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il passaggio dell’area in questione dall’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato all’Ente Ferrovie dello Stato – secondo quanto previsto dal già citato L. n. 210 del 1985, art. 1, comma 3, – non solo perchè la stessa non potrebbe ritenersi di pertinenza della prima, ma anche perchè non più nella disponibilità della stessa, per effetto della convenzione del 1960.

Per contro, che l’Azienda Autonoma abbia conservato la disponibilità del bene sarebbe confermato, assume la ricorrente, dalla circostanza costituita dall’avvenuta trascrizione e voltura come previsto dal D.L. n. 16 del 1993, art. 15, commi 1 e 2 – del trasferimento dello stesso in favore di Ferrovie dello Stato S.p.a., visto che tra le condizioni previste perchè gli Uffici tecnici erariali e le Conservatorie dei registri immobiliari provvedessero in tal senso vi era tanto l’attestazione, da parte dei direttori compartimentali di Ferrovie dello Stato S.p.a. territorialmente competenti, che, alla data del 31 dicembre 1985, il bene risultasse nella disponibilità dell’Azienda Autonoma delle ferrovie dello Stato, quanto l’assenza di contestazioni, sul punto, da parte del Ministero delle Finanze.

3.3. Con il terzo motivo – proposto anch’esso a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – si deduce la violazione e/o falsa applicazione del già citato D.L. n. 16 del 1993, art. 15, comma 1, convertito in L. n. 75 del 1993, e dell’art. 1159 c.c., nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oltre a violazione e/o falsa applicazione della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 43, comma 2.

Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso, diversamente dalla decisione del primo giudice, essere maturato l’acquisto per usucapione della proprietà dell’area in capo alla dante causa (Ferrovie delle Stato S.p.a.) dell’odierna ricorrente. A tale conclusione la Corte territoriale perveniva, in particolare, sul rilievo del valore di mera pubblicità notizia, e non costitutiva e probatoria del diritto di proprietà, che assisterebbe la nota di trascrizione dell’atto amministrativo di devoluzione dell’area del 24 marzo 1993, nonchè sull’assunto che quest’ultimo non sarebbe stato neppure trascritto, nè prodotto in giudizio.

Assume, al riguardo, la ricorrente che il cespite in questione, già acquistato dall’Ente Ferrovie dello Stato, è stato devoluto alle Ferrovie dello Stato S.p.a. nel 1996, sicchè, in forza dell’avvenuta trascrizione il 23 maggio 1996 dell’atto amministrativo di devoluzione del 24 marzo 1993, ben sarebbe ipotizzabile – come ritenuto dal primo giudice – che tale circostanza, unitamente al possesso ultradecennale, abbia determinato l’acquisto per usucapione. Si evidenzia, altresì, che, diversamente da quanto affermato in sentenza, l’atto trascritto risulta regolarmente riportato nella nota di trascrizione, fermo restando che le modalità di effettiva realizzazione del trasferimento dall’Ente Ferrovie dello Stato a Ferrovie dello Stato S.p.a. sono state disciplinate dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 43 il cui comma 2 – nella formulazione introdotta dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 5, comma 1, lett. a), – dispone che l’acquisizione, l’attribuzione e la devoluzione dei beni immobili che risultano iscritti nel bilancio della società Ferrovie dello Stato S.p.a. al 31 dicembre 1997, così come certificato dalla società di revisione ed approvato dall’assemblea dei soci, si intendano avvenute a titolo di trasferimento di proprietà.

3.4. Conclude, inoltre, la ricorrente affinchè la sentenza sia cassata anche nella parte in cui, respinta la domanda risarcitoria, l’ha condannata al pagamento di una penale, per l’importo di Euro 32.400,00, per tardiva riconsegna dell’area, oltre che al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio di merito.

4. Hanno proposto controricorso l’Agenzia del Demanio e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, per chiedere che l’avversaria impugnazione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Operato, infatti, un dettagliato “excursus” sull’evoluzione dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, con particolare riguardo alla titolarità e alla natura giuridica dei beni, segnatamente quelli immobili, necessari per lo svolgimento del servizio pubblico ferroviario, le controricorrenti sottolineano come gli stessi siano rimasti di proprietà dello Stato, in quanto parti del demanio ferroviario o del patrimonio indisponibile. Quanto all’area in esame, si ribadisce come l’Azienda Autonoma ne avesse perduto la disponibilità con la convenzione dell’11 ottobre 1960, da intendersi non come trasferimento della proprietà – rimasta in capo allo Stato – ma come atto di dismissione della stessa. Su tali basi, dunque, si ritiene che, all’atto dell’entrata in vigore della L. n. 210 del 1985 nessuna “successione” in relazione a tale bene si fosse determinata – ai sensi dell’art. 1, comma 3 legge suddetta – in capo all’ente Ferrovie dello Stato, difettando, per le ragioni illustrate, i presupposti sia della pertinenzialità che della disponibilità dell’area “de qua”.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso va accolto, nei termini di seguito precisati.

5.1. I motivi primo e secondo – da esaminare congiuntamente, data la loro connessione – sono fondati.

5.1.1. Essi censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che l’area concessa in occupazione temporanea presentasse il requisito della “pertinenzialità” rispetto al servizio ferroviario, ai sensi della L. 17 maggio 1985, n. 210, art. 1, comma 3, (requisito tale da assicurare il passaggio della stessa dall’Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato all’Ente Ferrovie dello Stato), esito cui la Corte territoriale è pervenuta sul seguente rilievo. Ovvero che, in virtù della convenzione dell’11 ottobre 1960, tale area “risultava utilizzata dall’Agenzia delle Dogane”, giacchè concessa “in uso” alla stessa, e, dunque, non poteva ritenersi “pertinenza” (…) rispetto all’attività di gestione del servizio ferroviario”, e ciò essendo stato il bene concesso alla predetta Agenzia delle Dogane “per ampliamento del recinto doganale” e quindi “ai fini dell’espletamento dei suoi compiti istituzionali”. Per effetto di tale concessione, inoltre, sarebbe venuta meno “l’ulteriore condizione per il passaggio alle Ferrovie dello Stato” (o meglio, alla società Ferrovie dello Stato), ovvero quello richiesto, questa volta, dal D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 15 convertito in L. 24 marzo 1993, n. 75, “ossia l’attestazione che al 31/12/1985 il bene era nella disponibilità dell’azienda autonoma”.

5.1.2. Lo scrutinio dei motivi che censurano tale duplice affermazione richiede un’analisi della disciplina legislativa relativa ai beni (già) appartenenti all’Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato.

5.1.2.1. Tale ricostruzione non può che prendere le mosse dalla constatazione che, con la codificazione civile del 1942, in particolare per effetto dell’art. 822 comma 2, fu stabilito che le strade ferrate facessero parte del demanio pubblico, se appartenenti allo Stato, riconducendo, dunque, le stesse al cd. “demanio eventuale”, nulla prevedendosi, invece, in relazione agli altri beni nella disponibilità dell’Azienda Autonoma.

Essa, infatti, già a quell’epoca era dotata, oltre che degli immobili strettamente destinati all’esercizio ferroviario (e sottoposti al regime proprio dei beni demaniali, caratterizzato dalla inalienabilità, imprescrittibilità, incommerciabilità, non usucapibilità), anche di altri beni, considerati del patrimonio disponibile, in quanto non avevano mai ottenuto una destinazione complementare all’esercizio del servizio ferroviario, beni dei quali essa conservava, pertanto, la piena disponibilità. Una conclusione, la presente, che era confermata – come segnalato in dottrina – dal fatto che, già sotto il vigore del codice del 1865, a sensi della L. 7 luglio 1907, n. 429, art. 18, comma 3, tra le entrate straordinarie dell’Azienda Autonoma si computava anche il ricavo della vendita di beni immobili e di materiali di disfacimento pertinenti al patrimonio ferroviario o ai servizi di navigazione. Nella medesima prospettiva, rilevante era pure la circostanza che l’Azienda Autonoma fosse autorizzata ad alienare i beni ricevuti in dotazione e quelli acquisiti durante la sua gestione, inclusi i terreni e gli immobili delle linee soppresse all’esercizio, nonchè quelli risultati disponibili a seguito di modifiche agli impianti. L’Azienda Autonoma, dunque, disponeva di un suo patrimonio, idoneo in astratto a produrre redditi, costituito da beni immobili e mobili, direttamente da essa amministrati, e se del caso anche alienati, ed il cui ricavato valeva a costituire le cd. entrate straordinarie ferroviarie. D’altra parte, anche secondo la giurisprudenza di questa Corte, tutti quei beni che, “non essendo nè strada ferrata, nè opera o pertinenza di strada ferrata” (e che per tale ragione “non acquisiscono natura di bene demaniale”), già allora rientravano “nell’ambito dei beni patrimoniali disponibili, come tali oggetto di rapporti di natura privatistica” (Cass. Sez. 3, sent. 23 settembre 1995, n. 9406, non massimata).

5.1.2.2. Un altro passaggio importante, nelle vicende che hanno interessato i beni delle Ferrovie dello Stato, è costituito dalla L. n. 210 del 1985, con la quale venne stato istituito, in luogo dell’Azienda Autonoma, l’Ente Ferrovie dello Stato, a carattere economico, dotato di personalità giuridica ed autonomia patrimoniale, contabile e finanziaria, collocato sotto la vigilanza del Ministero dei trasporti.

La legge “de qua”, come detto, all’art. 1, comma 3, stabilì che l’Ente Ferrovie dello Stato succedesse in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi – beni, partecipazioni, gestioni speciali – già di “pertinenza” dell’Azienda Autonoma, con il risultato che anche i beni già esistenti nel patrimonio disponibile dell’Azienda risultarono trasferiti nel patrimonio “non vincolato” dell’ente stesso. A norma, infatti, dell’art. 15 stessa legge, venne stabilito che i beni mobili ed immobili, trasferiti all’ente o comunque acquisiti nell’esercizio di attività di cui al precedente art. 2 (che individuava le finalità proprie del neoistituito ente), costituissero patrimonio giuridicamente ed amministrativamente distinto dai restanti beni delle amministrazioni pubbliche, attribuendoli alla piena disponibilità dell’ente secondo il regime civilistico della proprietà privata, salvi i limiti su di essi gravanti per le esigenze della difesa nazionale. La previsione normativa suddetta, dunque, “ha sottratto i beni mobili ed immobili già appartenenti alla Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato e trasferiti al nuovo ente, ai sensi dell’art. 1, alla originaria condizione giuridica propria dei beni appartenenti al patrimonio degli enti pubblici non territoriali dettata dall’art. 830 c.c. e li ha sottoposti ad un regime di piena disponibilità negoziale di diritto privato” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., ord. 27 febbraio 2006, n. 4269, Rv. 587237-01).

Infine, a seguito della costituzione della società Ferrovie dello Stato S.p.a. ed allo scopo di dare attuazione, anche nei suoi confronti, al trasferimento dei beni (già) disposto dalla L. n. 210 del 1985, il D.L. n. 16 del 1993, art. 15 convertito in L. n. 75 del 1993, ha dettato un’ulteriore disciplina. In particolare, si stabilì che gli uffici tecnici erariali e le conservatorie dei registri immobiliari fossero autorizzati a provvedere agli adempimenti di rispettiva competenza in ordine alle operazioni di trascrizione e voltura, sulla base di schede contenenti gli elementi identificativi di ciascun bene e delle relative note di trascrizione compilate e presentate da Ferrovie dello Stato S.p.a., schede, contenenti, tra l’altro, l’attestazione – da parte dei direttori compartimentali del soppresso Ente Ferrovie dello Stato, territorialmente competenti – che alla data del 31 dicembre 1985 il bene risultava nella disponibilità dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato.

5.1.2.3. Orbene, l’intervento legislativo da ultimo indicato ha immediatamente sollevato un interrogativo (rilevante anche ai fini della risoluzione del caso che qui occupa), ovvero come dovesse intendersi il requisito – al quale era subordinato tale ulteriore trasferimento – della “disponibilità” del bene in capo all’Azienda Autonoma, alla data del 31 dicembre 1985.

Per chiarire quale fosse l’esatta interpretazione dell’enunciato normativo (e, dunque, l’ampiezza del disposto trasferimento alla neo-istituita società), il Ministero delle Finanze ebbe a richiedere un apposito parere al Consiglio di Stato.

In particolare, secondo il Ministero richiedente, per beni “nella disponibilità” dell’Azienda Autonoma (trasferiti alla nuova società) si sarebbero dovuti intendere “solo quelli effettivamente utilizzati per l’esercizio del trasporto ferroviario”, sicchè tutti gli altri sarebbero dovuti “restare in proprietà dello Stato”. Su tali basi, quindi, il Ministero riteneva che il trasferimento alla società Ferrovie dello Stato S.p.a., i cui aspetti solo “procedimentali” erano stati regolati con il citato D.L. n. 16 del 1993, art. 15 avesse interessato “solo la rete ferroviaria statale e gli impianti ad essa strumentalmente connessi: passaggi a livello, edifici per i casellanti, depositi ed officine per la riparazione, edifici eventualmente destinati alla ricerca, ecc., purchè effettivamente in esercizio”. Esito, questo, cui si perveniva sul rilievo che, essendo quella dettata dalla norma suddetta una disciplina, per l’appunto, solo “procedimentale” del trasferimento, occorresse avere riguardo, per i suoi presupposti “sostanziali”, a quanto disposto della L. n. 210 del 1985, artt. 1 e 15 ovvero dando rilievo al fatto che il secondo di tali articoli aveva stabilito, a propria volta, che il trasferimento dall’Azienda Autonoma all’Ente Ferrovie dello Stato potesse interessare, esclusivamente, i beni mobili ed immobili “acquisiti nell’esercizio” delle attività costituenti le finalità istituzionali dell’Ente.

Il Consiglio di Stato, tuttavia, rigettò tale interpretazione, nel parere reso della Commissione speciale il 19 ottobre 1995.

Difatti, pur condividendo la premessa secondo cui occorreva “distinguere il diverso valore della normativa sostanziale di cui alla L. n. 210 del 1985 da quella regolatrice delle procedure, di cui al D.L. n. 16 del 1993” (giacchè il riferimento contenuto, in quest’ultima, alla “disponibilità” dei beni in capo all’Azienda Autonoma, alla data del 31 dicembre 1985, “non ha la funzione delimitare l’ambito patrimoniale dell’ente”, e dunque di riflesso della società ad esso subentrata, “bensì di definire il procedimento di trasferimento”), ha ritenuto non corretta l’esegesi normativa suggerita dal Ministero.

Infatti, poichè la L. n. 210 del 1985, art. 15 aveva previsto che il patrimonio dell'(allora istituito) Ente Ferrovie dello Stato – e da esso, poi, transitato in capo alla società Ferrovie dello Stato S.p.a., in forza di un fenomeno che ancora di recente questa Corte ha qualificato come un “trasferimento operante “ex lege”” (cfr. Cass. Sez. 2, ord. 21 luglio 2019, n. 20708, Rv. 654984-01) – fosse composto dai beni mobili ed immobili trasferiti all’ente “o comunque” acquisiti nell’esercizio delle sue attività istituzionali, chiara risulterebbe la volontà del legislatore. Infatti, proprio l’uso della “congiunzione “o” accompagnata dalla parola “comunque””, impone di individuare i beni acquisiti “nell’esercizio” delle attività istituzionali “in funzione additiva rispetto alla prima categoria di beni”.

Su queste basi, dunque, il citato parere del Consiglio di Stato ha ritenuto – con valutazione che questa Corte ritiene di condividere, per ragioni di seguito meglio illustrate – che i beni (già) “nella disponibilità” dell’Azienda Autonoma al 31 dicembre 1985 non potessero identificarsi soltanto con quelli inerenti all’esercizio dell’attività istituzionale svolta dapprima dalla stessa e poi dall’Ente Ferrovie dello Stesso (ovvero, per dirla con il Ministero, con “quelli effettivamente utilizzati per l’esercizio del trasporto ferroviario”), costituendo, invece, categoria più ampia, da ricostruire sulla base di quanto previsto non già dall’art. 15, bensì dalla L. n. 210 del 1985, art. 1 ovvero spostando l’indagine dal piano della “inerenza all’esercizio” dell’attività suddetta a quello della “pertinenza” alla stessa Azienda Autonoma. E ciò, peraltro, con la precisazione “che il termine pertinenza va inteso in senso generico e non tecnico, dovendo riferirsi al peculiare uso da parte della Azienda di beni di cui non poteva essere titolare (in quanto priva di personalità giuridica) ma appartenenti, a vario titolo, allo Stato”, così interpretando siffatta espressione “in senso ampio”, cioè con riferimento a tutti gli immobili “comunque nella disponibilità” della stessa, in virtù di quegli interventi legislativi che, nel tempo, avevano reso l’Azienda Autonoma “effettivo ed unico gestore, anche con negozi di disposizione, del patrimonio di cui era affidataria” (ove il riferimento del Consiglio di Stato, oltre che alla già citata L. n. 429 del 1907, art. 3 è anche al D.Lgs. 7 maggio 1948, n. 598, art. 5, comma 1, n. 11 e alla L. 27 luglio 1967, n. 668, art. 46).

5.2. Orbene, da quanto precede, emerge la fondatezza dei motivi di ricorso qui in esame, nella misura in cui contestano il vizio di violazione di legge.

La nozione di “pertinenza” – di cui al più volte citato L. n. 210 del 1985, art. 1, comma 3, – va effettivamente intesa in senso ampio, come affermato nell’illustrato parere del Consiglio di Stato. E ciò in conformità con la “ratio” della norma, che è quella, come visto, di sottrarre “i beni mobili ed immobili già appartenenti alla Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato e trasferiti al nuovo ente, ai sensi dell’art. 1, alla originaria condizione giuridica propria dei beni appartenenti al patrimonio degli enti pubblici non territoriali dettata dall’art. 830 c.c.”, per favorire, viceversa, la loro sottoposizione “ad un regime di piena disponibilità negoziale di diritto privato” (cfr. Cass. Sez. Un., ord. n. 4269 del 2006, cit.). Non risulta, invece, necessario che essi siano effettivamente utilizzati per il servizio ferroviario, essendosi, del resto, ritenuto, da parte della giurisprudenza amministrativa, che pesino i beni demaniali, non direttamente utilizzati per l’esercizio ferroviario, rientrassero nella definizione di “pertinenza” di cui alla norma suddetta (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 16 settembre 1992, n. 649).

D’altra parte, un ulteriore conforto a tale interpretazione è offerto dal già menzionato recente arresto di questa Corte che, nel sancire l’irrilevanza – ai fini dell’applicazione del D.L. n. 16 del 1993, art. 15 convertito in L. n. 75 del 1993 – della trascrizione, o meno, di detto passaggio immobiliare, “trattandosi di un trasferimento operante “ex lege””, ha ritenuto tale previsione applicabile anche con riferimento a “strutture accessorie della rete ferroviaria nazionale”, ed in particolare ad un “terreno-piattaforma ferroviaria” (Cass. Sez. 2, ord. n. 20708 del 2019, cit.), e dunque escludendo, una volta di più, che tra i beni interessati dai fenomeni traslativi, disciplinati dal legislatore dapprima nel 1985 e poi nel 1993, rientrino esclusivamente quelli destinati all’uso ferroviario in senso stretto, come ipotizza, nella sostanza, anche la sentenza impugnata, riferendo la nozione di “pertinenza”, di cui alla L. n. 210 del 1985, art. 1, comma 3, “all’attività di gestione del servizio ferroviario”.

Nè, poi, osta all’applicazione del D.L. n. 16 del 1993, art. 15, comma 1, convertito in L. n. 75 del 1993, la circostanza che, alla data del 31 dicembre 1985, l’area in questione permanesse nell’uso dell’Agenzia delle Dogane-Direzione Regionale della Lombardia, in forza della già ricordata convenzione del 1960. Attraverso di essa, infatti, l’Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato si era privata solo dell’uso del bene, ovvero del diritto di servirsi di esso (dichiarando, espressamente, nella convenzione di volerne mantenere, invece, la proprietà), conservandone, così, quella “disponibilità” (come possibilità di sottoposizione dei beni facenti capo ad essa “ad un regime di piena disponibilità negoziale di diritto privato”), con la quale coincide il concetto di “pertinenza” di cui alla L. n. 210 del 1985, art. 15 come poc’anzi chiarito.

In altri termini, la “disponibilità” alla quale fa riferimento il D.L. n. 16 del 1993, art. 15, comma 1, convertito in L. n. 75 del 1993, è da intendere come permanenza del bene, alla data del 31 dicembre 1985, nella sfera di disposizione dell’Azienda Autonoma.

Nè, infine, convince la tesi delle controricorrenti che individua nella citata convenzione, addirittura, un atto di dismissione del bene.

Come bene osservato, ancora una volta, nel citato parere del Consiglio di Stato, “le particolari caratteristiche dell’esercizio ferroviario”, affidato in origine all’Azienda Autonoma (e tali da indurre il legislatore pressochè coevo all’istituzione di essa a sottrarla alla retrocessione di cui al R.D. 18 novembre 1932, n. 2440, art. 1), fanno di tale esercizio una “attività dinamica, soggetta ad espandersi ed a contrarsi, a riconvertirsi ed a modificare le scelte gestionali in funzione di parametri variabili, quali la domanda di trasporto e la tecnica stessa delle infrastrutture”, sicchè “la semplice mancata utilizzazione dei beni immobili a fini ferroviari non va considerata indice sicuro del fatto che il bene stesso debba essere definitivamente sottratto all’uso ferroviario”.

5.3. Pertanto, in accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso (il terzo restando, invece, assorbito), la sentenza impugnata, va cassata, anche nella parte in cui condanna la ricorrente al pagamento della penale in favore dell’Agenzia delle Dogane, e rinviata alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, per la decisione nel merito, da compiersi in applicazione del seguente principio di diritto:

“ai fini dell’attuazione delle procedure di trasferimento dall’Ente Ferrovie dello Stato alla Società Ferrovie dello Stato S.p.a., di cui al D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 15, commi 1 e 2, convertito in L. 24 marzo 1993, n. 75, la condizione che il bene trasferito risultasse, alla data del 31 dicembre 1985, nella disponibilità dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, va inteso nel senso che esso fosse di “pertinenza” della stessa, ai sensi della L. 17 maggio 1985, n. 210, art. 1, comma 3, ovvero che esso fosse assoggettato al regime di piena disponibilità negoziale di diritto privato, senza, invece, richiedersi che fosse effettivamente utilizzato per il servizio ferroviario”.

6. Le spese del presente giudizio – oltre che quelle del giudizio di appello, “perchè in tal senso espressamente disposto dall’art. 336 c.p.c., comma 1, sicchè il giudice del rinvio ha il potere di rinnovare totalmente la relativa regolamentazione alla stregua dell’esito finale della lite” (Cass. Sez. 3, sent. 14 marzo 2016, n. 4887, Rv. 639295-01) – saranno liquidate all’esito del giudizio ex art. 394 c.p.c.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiarando assorbito il terzo, cassando, in relazione, la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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