LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14081/2018 proposto da:
T.B., elettivamente domiciliata in Roma, in via Panama n. 26, presso lo studio dell’avvocato Pieretti Maria Cristina, che la rappresenta e difende, con procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.E., elettivamente domiciliato in Roma, in via Lungotevere Sangallo n. 1, presso lo studio dell’avvocato Falovo Massimo, che lo rappresenta e difende, con procura speciale in calce alla memoria di nomina e costituzione di nuovo difensore;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1144/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/10/2021 dal Cons. rel., Dott. CAIAZZO ROSARIO.
RILEVATO
CHE:
C.E. appellò la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario del ***** contratto con T.B., ponendo a suo carico l’obbligo di versare all’ex-coniuge la somma mensile di Euro 700,00 a titolo di assegno divorzile, chiedendo che fosse revocato tale assegno sul presupposto dell’autonomia economica della T., da ricollegarsi sia ai suoi redditi da lavoro, sia al suo consistente patrimonio immobiliare suscettibile di potenzialità economica.
T.B. propose appello incidentale chiedendo l’aumento dell’assegno a Euro 2000,00 in quanto l’importo di Euro 700,00 non le consentiva di conservare il tenore di vita goduto in costanza della convivenza matrimoniale, e di soddisfare le sue esigenze primarie, anche abitative, considerando che aveva dovuto lasciare la casa coniugale in Roma, per trasferirsi a Spoleto in appartamento di sua proprietà.
Con sentenza del 20.2.18, la Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza impugnata, revocò l’assegno divorzile, osservando che: anzitutto, non era necessario disporre indagini tributarie e fiscali, essendo sufficiente, ai fini della decisione, la documentazione acquisita; richiamato il recente orientamento della Cassazione sulla natura dell’assegno divorzile, la T. non aveva provato di non avere mezzi adeguati per soddisfare le sue esigenze primarie e di non poterseli procurare per ragioni oggettive, poiché la documentazione prodotta non consentiva di accertare le sue risorse finanziarie e, in particolare, la destinazione delle somme investite in titoli (di cui si dava atto nella sentenza di separazione del 2013 passata in giudicato), assumendo pregnanza negativa altresì il deposito parziale degli estratti-conto dei quattro conti correnti di cui era intestataria; la T. aveva competenze professionali qualificate (antropologa che conosce quattro lingue), avendo in passato svolto attività lavorativa presso il Ministero degli Esteri, anche se per ragioni familiari legate all’attività lavorativa del marito (ambasciatore all’estero) aveva rassegnato le dimissioni per seguirlo, avendo la stessa successivamente iniziato a svolgere, all’età di 70 anni, attività lavorativa autonoma, non continuativa, a favore di associazioni di volontariato e di enti attivi nel campo della difesa dei diritti umani, percependo reddito da lavoro variabile, ammontante a circa Euro 16.000,00 annui; la stessa ex-moglie era titolare di un cospicuo patrimonio immobiliare, comprensivo di beni di pregio in provincia di ***** suscettibile di potenzialità economica, attualmente solo in parte messo a reddito (dichiara il reddito mensile di Euro 632,00 per immobili a *****, anche se non ha contestato in modo specifico la documentazione estratta da internet dalla quale si evince che parte degli immobili in ***** sono locati come casa-vacanza per un canone di quasi 900,00 Euro a settimana). Pertanto, la Corte d’appello, rilevato che la presumibile riduzione dell’attività lavorativa della T. sarebbe stata compensata presumibilmente dal trattamento pensionistico, tenuto conto delle potenzialità economiche del patrimonio immobiliare e considerata la scarsa trasparenza sulla documentazione bancaria, non sussistevano i presupposti dell’assegno divorzile, attesa l’autosufficienza dell’appellante incidentale.
T.B. ricorre in cassazione con tre motivi. Resiste C.E. con controricorso.
RITENUTO
CHE:
Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 per aver la Corte d’appello erroneamente ritenuto l’indipendenza economica della ricorrente quale unico criterio cui parametrare l’adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente. Al riguardo, la ricorrente lamenta che il criterio dell’autosufficienza economica non possa ridursi ad uno stato di bisogno e che esso debba invece essere rapportato al tenore di vita goduto in costanza del matrimonio, contestando che l’orientamento posto a fondamento della sentenza impugnata sia consolidato. La ricorrente invoca altresì il fatto di aver sempre sacrificato le proprie aspettative di realizzazione personale a quelle del marito, dedicandosi alla famiglia, collocandosi in aspettativa nel ***** per recarsi in *****, ove l’ex-marito era ambasciatore, e poi dimettendosi dall’impiego, evidenziando l’elevato tenore di vita goduto in 35 anni.
Il secondo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in ordine all’accertamento della reale situazione economico-patrimoniale della ricorrente e del marito e del tenore di vita in costanza di matrimonio, avendo la Corte territoriale deciso unicamente sull’analisi dei redditi della ricorrente, della sua posizione lavorativa e del suo patrimonio immobiliare. In particolare, la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia omesso di considerare: una dichiarazione sostitutiva di atto notorio prodotta in appello che dimostrava che la stessa non era proprietaria di immobili commerciali o agricoli in *****; il testo di un’ordinanza sindacale, prodotta parimenti in appello, circa l’inagibilità parziale di alcuni locali in *****, essendo l’univo suo immobile agibile quello in cui abitava; le sue difese circa la non utilizzabilità di altro immobile in *****, in quanto da ristrutturare perché non conforme alle norme ambientali e di sicurezza, fatto che era stato oggetto di capitolo di prova testimoniale non ammessa; la situazione patrimoniale e fiscale dell’ex-marito, rilevante per stabilire quale fosse il tenore di vita pregresso, formatasi anche per il contributo della moglie nell’educazione e accudimento della figlia e della famiglia.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, avendo la Corte territoriale erroneamente valutato i documenti prodotti dai quali si desumeva che gli immobili della ricorrente non erano di pregio, né locali commerciali e coltivabili, essendo stata invece documentata l’inagibilità di uno di essi e il degrado degli altri, avendone peraltro la ricorrente sempre contestato la redditività.
Con atto dell’1.10.21, la ricorrente, premesso di non aver più interesse alla prosecuzione del giudizio per un intervenuto accordo transattivo tra le parti, ha depositato atto di rinunzia al ricorso, con previsione di compensazione delle spese giudiziali, previa accettazione in calce del controricorrente.
Pertanto, il ricorso va dichiarato estinto a norma dell’art. 309 c.p.c.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’estinzione del giudizio, compensando tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021