Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.40792 del 20/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26186/2018 proposto da:

S.E., elettivamente domiciliata in Roma, in via Publio Valerio n. 9, presso lo studio dell’avvocato Romano Mario, che la rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Sandri Sandra, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Nicotera n. 29, presso lo studio dell’avvocato Sarnari Giulia, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato De Santi Sabrina, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 274/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, pubblicata il 05/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/10/2021 dal Cons., Dott. CAIAZZO ROSARIO.

RILEVATO

CHE:

Con sentenza del ***** il Tribunale di Verona, confermata l’assegnazione della casa coniugale in favore di S.E., pose a carico di M.L. un assegno divorzile di Euro 1800,00, rilevando che: nel corso degli anni i redditi del M. (pilota aereo) erano sensibilmente aumentati (anche senza considerare le indennità di trasferta e i rimborsi delle spese); rispetto all’epoca della separazione, l’ex-marito non doveva più sostenere i costi di un mutuo (Euro 727,00 mensili), né della locazione (Euro 600,00), dovendo provvedere al mantenimento della figlia più piccola, unitamente alla nuova moglie; S.E. non godeva di redditi diversi rispetto all’assegno di mantenimento, il tenore di vita in costanza di matrimonio era stato elevato e non era stato provato il suo rifiuto di assumere lavoro. Il M. propose appello lamentando che il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile fosse avvenuto sulla base di un’interpretazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 ormai superata in sede di legittimità, non avendo, da un lato, la S. dimostrato l’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati di sostentamento, dall’altro, sotto il profilo economico le era stata cointestata la casa familiare, mentre provvedeva al pagamento del mutuo relativo alla stessa casa, al costo dell’asilo della figlia più piccola e al mantenimento dell’altra figlia.

Con sentenza del 5.2.18, la Corte territoriale accolse parzialmente l’appello, riducendo l’assegno a Euro 1500,00, osservando che: erano emerse oggettive difficoltà della S. a ricercare un lavoro confacente alle proprie attitudini; sussistevano ragioni per ridurre l’importo dell’assegno a Euro 1500,00, nella sua funzione assistenziale, e non nella misura richiesta dall’appellante (fino a 500,00 Euro), poiché il Tribunale aveva valutato complessivamente sia la situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi, che l’impegno dedicato per 17 anni alla famiglia dalla ex-moglie seguendo il marito all’estero ed accudendo la figlia, mentre non era stato dimostrato l’asserito patrimonio mobiliare di Euro 100.000,00 dell’ex-moglie; era dunque stato liquidato l’assegno.

S.E. ricorre in cassazione con due motivi, illustrati con memoria. M.L. resiste con controricorso, illustrato con memoria.

RITENUTO

CHE:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 in ordine all’interpretazione della natura assistenziale dell’assegno di mantenimento, per aver la Corte d’appello ridotto l’assegno pur evidenziando che: la ricorrente aveva sacrificato la propria vita professionale ed aveva dimostrato l’oggettiva impossibilità di ricercare attività lavorativa, dedicandosi sempre alla famiglia; sussisteva una oggettiva differenza reddituale tra i due ex-coniugi.

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 5 suddetto in ordine alla quantificazione dell’assegno divorzile, per averne la Corte territoriale ridotto l’importo, pur riconoscendo le circostanze di cui sopra e il fatto che il controricorrente avesse progredito nella sua carriera, conseguendo un notevole miglioramento economico.

Il ricorso va rigettato.

Il primo motivo è infondato. La ricorrente si duole che la Corte territoriale, dopo aver evidenziato la funzione assistenziale dell’assegno liquidato dal Tribunale, escludendo che la S. fosse stata nella possibilità di ricercare lavoro, ha comunque ridotto l’ammontare dell’assegno divorzile, seppure per una somma esigua, deducendo che, invece, le ragioni esposte, che richiamano anche la motivazione della sentenza delle SU, n. 18287/18, militavano a favore della conferma della sentenza appellata.

Va osservato che la Corte territoriale ha sostanzialmente tenuto conto di tutti i parametri desumibili dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 di cui ha fatto corretta applicazione. Invero, la sentenza impugnata ha esaminato compiutamente le varie questioni oggetto dell’appello, accertando, da un lato, che non sussistevano i presupposti per la riduzione dell’assegno divorzile nella misura richiesta dal M. essendo emersa l’oggettiva difficoltà della ricorrente di trovare un lavoro confacente alle proprie attitudini, considerandone l’impegno profuso per la famiglia e la figlia, e la anche all’estero per consentirgli di dall’altro, che neppure ricorrevano l’importo dell’assegno rispetto alla separazione (1500,00 Euro).

Al riguardo, è stato affermato che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass., SU. n. 18287/18). Nel solco di tale pronuncia, è stato altresì statuito che, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno divorzile si deve tenere conto della funzione assistenziale e, a determinate condizioni, anche compensativo-perequativa cui tale assegno assolve. Da ciò consegue che, nel valutare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge che ne faccia richiesta, o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, si deve tener conto, utilizzando i criteri di cui alla della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, sia della impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente da parte di quest’ultimo e sia della necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, senza che abbiano rilievo, da soli, lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale dell’altro ex coniuge, tenuto conto che la differenza reddituale è coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, ma è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno, e l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass., n. 21234/19; n. 5603/20).

Nella fattispecie, in conformità delle suddette pronunce, la Corte territoriale ha evidenziato che, in occasione del divorzio, il nuovo esame dei redditi del controricorrente, in assenza di un mutamento delle esigenze della ex-moglie, non avrebbe potuto legittimare l’aumento dell’importo dell’assegno divorzile, in quanto il successivo aumento del reddito da lavoro dell’ex-coniuge obbligato non incideva sulle aspettative economiche del coniuge avente diritto al mantenimento.

Pertanto, contrariamente a quanto argomentato dalla ricorrente, il giudice di secondo grado, nel ridurre l’assegno divorzile, ha effettuato una condivisibile interpretazione del suddetto art. 5, conforme ai principi di diritto dettati dalla predetta sentenza delle SU e dalla più recente giurisprudenza di questa Corte.

Il secondo motivo è inammissibile, non essendo stata censurata la ratio decidendi afferente alla riduzione dell’importo dell’assegno divorzile. Infatti, la ricorrente lamenta erroneamente che la Corte territoriale non abbia tenuto conto del notevole sopravvenuto miglioramento economico conseguito dal controricorrente per la sua progressione di carriera, mentre invece la sentenza impugnata ha espressamente esaminato tale questione, ritenendo correttamente irrilevante, per quanto sopra esposto, tale miglioramento economico. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 4700,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021

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