Nell’ambito del termine stabilito dall’art. 1957 c.c., il creditore può consentire al debitore tutte le proroghe che ritiene opportune, ma accorda a suo rischio le proroghe che non gli consentono di agire entro i termini di legge; e se egli non può agire contro il debitore per questo motivo o non agisce per propria inerzia e, cioè, non adempie il dovere impostogli, pur avendone la possibilità, non potrà più far valere la obbligazione fideiussoria.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5024-2017 proposto da:
P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 400, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO DE LUCA, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO VERANI MASIN DI CASTELNUOVO;
– ricorrente-
contro
V.R., V.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. BERTOLONI 41, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GUANCIOLI, rappresentati e difesi dall’avvocato FULVIO BRIANO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 42/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 14/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
FATTI DI CAUSA
In relazione a un contratto preliminare di permuta intercorso fra G.T. e la società ***** S.r.l. in data 7 dicembre 1993, il quale prevedeva che, a fronte dalla cessione di un terreno da parte del G., la società avrebbe dovuto realizzare una palazzina con boxes, cinque dei quali da trasferire al G., il Tribunale di Savona, adito dal G., ha dichiarato la risoluzione della permuta per inadempimento della società, condannata a restituire il terreno. In aggiunta alla condanna alla restituzione del terreno, il Tribunale ha condannato la stessa società e P.G. (il quale aveva garantito le obbligazioni assunte dalla società nei confronti del G.) al risarcimento del danno subito dal G. per il mancato perfezionamento dell’operazione.
Proposto appello dal P. e dalla società, il giudizio è stato dichiarato interrotto a seguito del fallimento della ***** S.r.l. Seguita la riassunzione, la Corte d’appello di Genova ha dichiarato l’estinzione dell’impugnazione proposta dalla società e ha rigettato l’appello proposto dal P.. Essa ha riconosciuto che il creditore non era incorso nella decadenza ai sensi dell’art. 1957 c.c., in quanto il termine previsto in contratto per la consegna dei box era solo indicativo; ha aggiunto che era stato accertato che i boxes non erano stati ultimati, il che rendeva irrilevante ogni disquisizione, proposta dall’appellante, circa la data di inizio dei lavori.
In appello il P. aveva sostenuto che il preliminare prevedeva il rilascio di una fideiussione di Lire 65.000.000 in favore del G., sostenendo che la garanzia doveva intendersi quale prestazione alternativa rispetto alla realizzazione dei boxes, tale da garantire in toto il creditore circa il buon esito della permuta. La Corte d’appello ha disatteso tale censura, rilevando che la fideiussione avrebbe dovuto essere rilasciata contestualmente al trasferimento dei box al momento della stipula dell’atto pubblico; il che escludeva la possibilità di concepire la garanzia quale prestazione alternativa rispetto alla realizzazione dei boxes.
La Corte d’appello, infine, ha riconosciuto che le impugnazioni non investivano la liquidazione del danno, essendo pertanto formatosi il giudicato sulla relativa statuizione. Essa ha condannato il P. al pagamento delle spese del grado, inclusa la fase di trattazione.
Per la cassazione della sentenza il P. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi.
V.G. e V.R., già costituiti in fase di merito quali eredi di V.A., a sua volta erede di G.T., hanno resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1957 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 La sentenza è oggetto di censura nella parte in la Corte d’appello ha ritenuto che il termine ex art. 1957 c.c. dovesse farsi decorrere dalla data di ultimazione delle opere. Si sostiene da parte dell’appellante che il termine decorre da quando la prestazione principale sia diventata esigibile. Conseguentemente, tenuto conto che la concessione edilizia fu rilasciata il 16 luglio 1994, che i lavori furono iniziati immediatamente e che il termine contrattualmente previsto per la consegna era di 24 mesi, l’obbligazione principale era scaduta nel luglio del 1996, mentre le istanze del creditore furono rivolte al debitore principale e al fideiussore solo con la citazione notificata il 4 aprile 1997, oltre il termine semestrale previsto dall’art. 1957 cit.
2. Il motivo è fondato.
Il termine la cui scadenza sia convenuta con carattere meramente indicativo non integra gli estremi di un termine essenziale in senso tecnico, tale, cioè, da implicare, se non osservato, la risoluzione de iure del contratto, ai sensi dell’art. 1457 c.c. Esso, però, è pur sempre un termine (Cass. n. 3874/1980).
La scelta del concreto momento della prestazione è lasciata al debitore, ma pur sempre entro un ambito obiettivamente ragionevole. Il termine indicativo, quindi, non esclude l’inadempimento quando sia trascorso un lasso di tempo che, in relazione all’oggetto e alla natura della contrattazione, il giudice ritenga congruo, senza che l’obbligazione sia stata adempiuta (Cass. n. 1893/1970).
Le clausole ‘quando possibile’ e simili devono essere interpretate secondo buona fede, dandosi rilievo a quelle circostanze alle quali le parti hanno fatto implicito riferimento. “Nel concetto di termine rientrano tutte quelle formule che solo apparentemente lasciano un amplissimo margine di discrezionalità all’obbligato e, tuttavia, nella sostanza autorizzano l’illazione che le parti intesero fissare un termine al debitore con riferimento alla possibilità più o meno prossima di superare alcune difficolta, precisamente individuate anche rispetto al verificarsi dell’evento. Verificandosi tali ultime ipotesi, nelle quali il cum potruerit non ha in sostanza il carattere dell’indeterminatezza, un termine esiste, anche se non fisso ma meramente indicativo e pertanto, in tali casi non è configurabile un’obbligazione senza termine e neppure un’obbligazione il cui termine sia rimesso alla volontà del debitore, con la conseguenza dell’impossibilita, nei detti casi, della assegnazione del termine da parte della autorità giudiziaria” (Cass. n. 1260/1971).
3. Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché entro sei mesi il creditore abbia proposto e diligentemente proseguito azione nei confronti del debitore principale (art. 1957 c.c., comma 1). La norma tende a provocare il sollecito esercizio del diritto di credito il cui ritardo potrebbe altrimenti compromettere, nell’incertezza di una lunga attesa, la posizione del fideiussore (Cass. n. 1724/2016; n. 2898/1976). L’onere di pronta azione ha fondamento nell’esigenza di non far gravare sul fideiussore l’inerzia del creditore, il quale, fidando nella garanzia, trascuri il suo diritto verso il debitore principale e ne metta in pericolo la realizzazione (Cass. n. 15902/2014).
L’onere del creditore, di agire contro il debitore per conservare i suoi diritti nei confronti del fideiussore, decorre dalla scadenza dell’obbligazione principale (Cass. n. 24296/2017). La scadenza dell’obbligazione garantita con fideiussione determina quella situazione di inadempimento che è presupposto dell’attuazione dell’obbligazione fideiussoria, ed il fideiussore, indipendentemente dai più ampi limiti temporali in cui può essere stata estesa in via preventiva la sua garanzia, è liberato se il creditore, entro sei mesi dal verificarsi di tale situazione d’inadempimento, non abbia proposto le sue istanze contro il debitore (Cass. n. 221/1963). Trattandosi di un termine che è di decadenza (Cass. n. 28943/2017; n. 24391/2010), le eventuali proroghe concesse dal creditore al debitore non influiscono sul suo decorso (Cass. n. 3946/1977).
E’ stato chiarito che “nell’ambito del termine stabilito dall’art. 1957 c.c., il creditore può consentire al debitore tutte le proroghe che ritiene opportune, ma accorda a suo rischio le proroghe che non gli consentono di agire entro i termini di legge; e se egli non può agire contro il debitore per questo motivo o non agisce per propria inerzia e, cioè, non adempie il dovere impostogli, pur avendone la possibilità, non potrà più far valere la obbligazione fideiussoria” (Cass. 330/1958; n. 3315/1972; n. 3411/1980).
La sentenza impugnata si discosta in più punti da tali principi. In primo luogo, perché dalla considerazione, desunta sulla base del tenore letterale del patto, che il termine di esecuzione non fosse perentorio, ha fatto discendere la totale svalutazione di tale termine, come se esso non fosse stato apposto.
In secondo luogo, perché ha considerato circostanza decisiva il fatto che i boxes non fossero stati ultimati ancora alla data degli accertamenti peritali. E’ stato sopra chiarito che, ai fini dell’art. 1957 c.c., occorre considerare non la data di ultimazione dell’opera, ma il momento in cui il contratto, garantito dalla fideiussione, era divenuto azionabile (Cass. n. 618/1963). Si ribadisce che eventuali accordi fra debitore e creditore o la tolleranza del creditore non possono risolversi in un pregiudizio del fideiussore, nel senso di prolungare il termine ex art. 1957 c.c., decorrente in ogni caso dalla scadenza (Cass. n. 183/1983).
La sentenza, pertanto, deve essere cassata in relazione a tale motivo e il giudice di merito dovrà accertare il momento di scadenza dell’obbligazione garantita sulla base dei principi sopra indicati.
4. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha disatteso il motivo di gravame con il quale l’attuale ricorrente aveva sostenuto che il G. si sarebbe ritenuto sufficientemente garantito, circa il buon esito della permuta, dal rilascio di fideiussione dell’importo di Lire 65.000.000. In proposito era stato sostenuto che, secondo una interpretazione del testo contrattuale ispirata al criterio della buona fede, la fideiussione costituiva prestazione alternativa rispetto alla realizzazione dei boxes, come risultava anche dal fatto che si prevedeva la progressiva riduzione della garanzia a mano a mano che i lavori fossero stati completati.
La Corte d’appello ha ritenuto che la fideiussione avrebbe dovuto essere rilasciata al momento della stipula dell’atto pubblico di permuta, laddove la corretta interpretazione del contratto imponeva di riconoscere che la garanzia doveva essere rilasciata al momento del trasferimento del terreno.
5. Il motivo è infondato. Si propone una ricostruzione del contenuto negoziale diversa da quella fatta propria dai giudici di merito, la cui interpretazione, tuttavia, non appare né illogica in rapporto ai criteri di ermeneutica, né non plausibile. Essa, pertanto, è incensurabile in questa sede di legittimità (Cass. n. 28319/2017). Si ricorda che in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. n. 2465/2015; n. 10891/2016).
6. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 324,342,345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 La sentenza è oggetto di censure nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che la liquidazione del danno ad opera del primo giudice non fosse stata fatta oggetto di censura in appello da parte dell’attuale ricorrente.
Si sostiene, sulla base della trascrizione dell’atto di appello, che il punto fu invece investito da apposita ragione di censura.
7. Il motivo è fondato. Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. (Cass. n. 13535/2018; S.U., n. 27199/2017).
Le deduzioni operate in appello, trascritte con il motivo di ricorso, rendono manifesto che le censure mosse contro la sentenza del primo giudice investivano, oltre all’esistenza stessa della obbligazione di garanzia, anche la misura (Cass. n. 4917/1987), e ciò sotto un duplice profilo. L’appellante aveva posto l’accento sulla qualità del terreno, che non era edificabile; inoltre, egli aveva messo in luce che il creditore si era ritenuto sufficientemente garantito, in ordine al buon esito della permuta, dal rilascio di una fideiussione di Lire 65.000.000. Risulta con chiarezza che tale ultimo rilievo era stato proposto non solo per negare l’esistenza dell’obbligazione di garanzia, ma anche per circoscriverne la misura.
7. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, e dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si sostiene che, nella liquidazione delle spese del grado, la Corte d’appello ha liquidato anche la fase di trattazione, che non c’era stata.
Il motivo è assorbito.
8. In conclusione, sono accolti il primo e il terzo motivo; è rigettato il secondo motivo.
La sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione anche per le spese.
P.Q.M.
accoglie il primo e il terzo motivo; rigetta il secondo motivo, cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021
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