Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.40834 del 20/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 1355-2017 proposto da:

E-DISTRIBUZIONE s.p.a., (già ENEL DISTRIBUZIONE s.p.a.), rappresentata e difesa dagli Avvocati Marco Mammoliti, e Iolanda Giordanelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, viale Parioli, n. 160;

– ricorrente –

contro

I.E., rappresentata e difesa dall’Avvocato Sergio Scalfari, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Stefano Sergio Castelvetere, in Roma, via Paolo Emilio, n. 7;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 938/2016 pubblicata il 7 giugno 2016.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30 settembre 2021 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 17 maggio 2003, la signora I.E. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Cosenza l’Enel Distribuzione s.p.a., esponendo che la convenuta aveva arbitrariamente occupato ed invaso con i suoi operai il fondo rustico di sua proprietà ed in suo possesso, sito in agro di *****, installandovi pali in cemento adibiti al sostegno dei fili per il trasporto dell’energia elettrica ad alta tensione e causando danni. Deduceva inoltre che nell’autunno del 1992 ella era stata costretta a rimuovere numerosi pali in cemento per rendere più praticabile il terreno di sua proprietà avvalendosi di ruspa ed escavatore e sostenendo una spesa di Lire 800.000.

Tanto premesso, l’attrice chiedeva che fosse dichiarata illegittima l’occupazione del terreno di sua proprietà da parte dell’Enel e che la convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni o, comunque, al pagamento di una giusta indennità.

Si costituiva l’Enel Distribuzione, resistendo e proponendo in via riconvenzionale domanda per l’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione della servitù goduta.

2. – Con sentenza depositata il 21 marzo 2011, il Tribunale di Cosenza rigettava le domande dell’attrice e, in accoglimento della riconvenzionale, dichiarava l’intervenuto acquisto per usucapione della servitù di elettrodotto sui fondi oggetto di causa in favore dell’Enel.

Il primo giudice rilevava, in particolare, che la collocazione dell’elettrodotto sul fondo oggetto di causa risultava parzialmente conseguente ad accordo tra le parti e per il resto al conforme, continuativo ed indisturbato contegno dell’ente convenuto.

Il Tribunale osservava ancora che nessun ulteriore pregiudizio era stato adeguatamente provato da parte attrice quale conseguenza della sostituzione della originaria palificazione, considerato che la prova per testi assunta a seguito di rimessione della causa sul ruolo non aveva specificamente riscontrato la necessità della eliminazione di pali abbandonati sul terreno (rispetto all’utilizzo del fondo asservito) e del conseguente esborso, né, in ogni caso, la concreta effettuazione del medesimo.

3. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 7 giugno 2016, la Corte d’appello di Catanzaro ha accolto il gravame della signora I. e, per l’effetto, in riforma della pronuncia di primo grado, ha così provveduto: ha rigettato la domanda riconvenzionale di usucapione formulata dall’Enel; ha ordinato all’Enel di rimuovere i pali indicati nell’atto di citazione, con esclusione di quelli oggetto del contratto di servitù intercorso tra la I. e l’Enel in data 1 dicembre 1995; ha condannato l’Enel al pagamento, a titolo risarcitorio, in favore della I., della somma di Euro 800, oltre accessori; ha condannato l’Enel alla refusione delle spese processuali del doppio grado.

A tale esito la Corte distrettuale è pervenuta rilevando:

che è da escludere l’invocata usucapione, posto che: i testi F.D. e Ia.Lu. hanno semplicemente riferito che, nel 1972, per l’apposizione di n. 7 pali è stata corrisposta una somma di denaro; tanto implica il riconoscimento da parte dell’Enel della ritenuta titolarità del bene in capo alla I. e della insussistenza del relativo diritto di servitù in forza di intervenuta usucapione;

che esclusa l’usucapione e in assenza di altro titolo, risultante da atto scritto, legittimante l’occupazione, deve ritenersi illecita l’occupazione della porzione di terreno su cui insistono i pali, ad eccezione di quelli che costituiscono oggetto della scrittura privata del 1 dicembre 1995;

che dall’escussione del teste D.M. risulta provata l’esistenza della palificazione e la rimozione della stessa, nonché l’attività svolta dagli operai incaricati dalla I. e l’accordo relativo al prezzo da corrispondere, quanto meno nella misura di Euro 800.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro E-Distribuzione s.p.a. (già Enel Distribuzione s.p.a.) ha proposto ricorso, con atto notificato il 2-9 gennaio 2017, sulla base di tre motivi.

I.E. ha resistito con controricorso.

5. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

6. – In prossimità della camera di consiglio la società ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa della controricorrente sul rilievo che esso sarebbe stato notificato tardivamente, il 9 gennaio 2017, oltre il termine di sei mesi dalla pubblicazione della impugnata sentenza della Corte d’appello, depositata in cancelleria il 7 giugno 2016.

L’eccezione è infondata, sotto un duplice e concorrente profilo.

L’eccezione considera, erroneamente, la data (9 gennaio 2017) in cui la destinataria ha ricevuto la notifica del ricorso per cassazione, anziché la data (2 gennaio 2017) in cui il ricorso per cassazione è stato spedito per la notificazione a mezzo del servizio postale, effettuata dall’avvocato ai sensi della L. n. 53 del 1994. A tale riguardo, va ribadito che il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante ed il destinatario, previsto dall’art. 149 c.p.c., è applicabile anche alla notificazione effettuata dall’avvocato, munito della procura alle liti e dell’autorizzazione del consiglio dell’ordine cui è iscritto, a norma della L. n. 53 del 1994, art. 1. Ne consegue che, per stabilire la tempestività o la tardività della notifica, rileva unicamente la data di consegna del plico all’agente postale incaricato del recapito secondo le modalità stabilite dalla L. n. 890 del 1982 (Cass., Sez. III, 3 luglio 2014, n. 15234).

L’eccezione muove inoltre dal presupposto interpretativo, inesatto, secondo cui il termine lungo per impugnare sarebbe, nella specie, di sei mesi. Invece, il termine lungo, operante ratione temporis, era di un anno, poiché il giudizio di merito dinanzi al Tribunale di Cosenza è stato introdotto nel 2003. Trova allora applicazione il principio, costante nella giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. II, 4 maggio 2012, n. 6784; Cass., Sez. VI-3, 8 luglio 2015, n. 14267), secondo cui in materia di termine lungo di impugnazione, l’art. 327 c.p.c., come novellato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46 mediante riduzione del termine da un anno a sei mesi, si applica, ai sensi dell’art. 58 medesima legge, ai giudizi instaurati, e non alle impugnazioni proposte, a decorrere dal 4 luglio 2009, essendo quindi ancora valido il termine annuale qualora l’atto introduttivo del giudizio di primo grado sia anteriore a quella data.

2. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1058 e 1061 c.c. e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) ci si duole che sia stato escluso l’acquisto per usucapione del diritto di servitù in ordine ai sette pali installati dal 27 aprile 1972. La società ricorrente censura che la dazione della somma di danaro sia stata ritenuta incompatibile con l’acquisto della servitù. Ad avviso della ricorrente, la Corte d’appello avrebbe erroneamente privilegiato il profilo formale del percorso di perfezionamento dell’usucapione, contaminando l’aspetto formale con quello fattuale e possessorio, e totalmente disattendendo quest’ultimo in nome della assertivamente inesistente (ed invece solo di inattuato reperimento) documentazione. Secondo la ricorrente, l’apposizione dei sostegni qualificherebbe come apparente la servitù di elettrodotto; e agli atti vi sarebbe la dimostrazione dell’esercizio ininterrotto e non clandestino, a partire dal 1972, dell’esercizio della servitù.

2.1. – La censura è fondata.

La Corte di Catanzaro, dopo aver premesso che la servitù si costituisce per contratto, per testamento o per usucapione (se volontaria) oppure a seguito di una sentenza o di un provvedimento da parte dell’autorità amministrativa (se coattiva), ha escluso l’acquisto della servitù per usucapione, sul rilievo che i testi hanno semplicemente riferito che nel 1972 per l’apposizione di sette pali è stata corrisposta una somma di denaro.

Tanto premesso, sussiste la denunciata violazione e falsa applicazione di norme di diritto.

Il primo giudice ha accolto la domanda riconvenzionale di acquisto a titolo originario della servitù di elettrodotto sulla base della avvenuta collocazione dei pali nel 1972, della permanenza dell’opera e dell’inerzia del proprietario del fondo servente fino alla scadenza del termine per l’usucapione.

La Corte d’appello, invece, ha escluso l’acquisto per usucapione della servitù di elettrodotto sul rilievo “che, nel 1972, per l’apposizione di n. 7 pali è stata corrisposta una somma di denaro” e che tanto “implica il riconoscimento da parte dell’Enel s.p.a. della ritenuta titolarità del bene in capo a I.E. e dell’insussistenza del relativo diritto di servitù in forza di intervenuta usucapione (in ordine ai sette pali)”.

Così decidendo, tuttavia, la sentenza impugnata per un verso ha trascurato di considerare l’aspetto fattuale e possessorio derivante dalla installazione a partire dal 1972, e dal mantenimento per il periodo successivo, dei pali di sostegno dell’energia elettrica. Per l’altro verso, non ha spiegato perché la corresponsione di una somma di denaro, nel 1972, dall’Enel alla titolare del diritto di proprietà sul bene, sia incompatibile con l’acquisto, a partire da quella stessa data, di un possesso ad immagine del diritto di servitù, utile ad usucapionem.

3. – Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. Stante la mancanza di prova sulla dazione, da parte della I., del prezzo di lire 800.000 per la sostituzione della originaria palificazione, avrebbe errato la Corte d’appello a ritenere dimostrato il pregiudizio asseritamente subito dalla proprietaria del fondo.

3.1. – La censura è infondata.

La Corte d’appello ha ritenuto, in base alla deposizione della teste D.M., raggiunta la prova dell’esistenza della palificazione e della rimozione della stessa, nonché dell’attività svolta dagli operai incaricati dalla I. e dell’accordo relativo al prezzo da corrispondere. Valutando la deposizione testimoniale, la Corte di Catanzaro è giunta a ritenere provato che la I. abbia subito danni pari alla spesa occorrente per rimuovere i pali abbandonati sul terreno in conseguenza della sostituzione della originaria palificazione.

E’ affidata ad una congrua motivazione la valutazione, operata dalla sentenza impugnata, che per la rimozione dei pali abbandonati sul terreno in conseguenza della sostituzione della originaria palificazione la I. abbia dovuto affrontare una spesa.

Il motivo si risolve in una, non consentita, censura della valutazione, non implausibilmente operata dal giudice di merito, della prova testimoniale.

4. – Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 213 del 1998, art. 3, comma 1, lett. d), e artt. 4 e ss. del regolamento CE 17 giugno 1997, n. 1103. Posto che la deposizione della teste D. si riferisce ad un accordo relativo al prezzo da corrispondere di Lire 800.000 per l’attività svolta dagli operai incaricati dalla I., avrebbe errato la Corte d’appello a convertire tout court l’importo di Lire 800.000 in Euro 800, pretermettendo il dato normativo, che avrebbe dovuto condurre la Corte di Catanzaro a quantificare l’importo asseritamente dovuto da Enel in quello di Euro 413,17 (quoziente del dividendo 800.000 e del divisore 1.936,27, corrispondente al tasso ufficiale di conversione lira/Euro).

4.1. – Il motivo è inammissibile, perché ciò di cui si duole la ricorrente è un errore di fatto, sicché il rimedio esperibile era la revocazione, non il ricorso per cassazione.

Invero, si legge nella sentenza impugnata che dall’escussione della teste risulta provato, oltre all’esistenza della palificazione e alla rimozione della stessa attraverso l’attività svolta dagli operai incaricati dalla I., “l’accordo relativo al prezzo da corrispondere, quanto meno nella misura di Euro 800,00”.

Nel capoverso precedente la sentenza riporta, tra virgolette, l’esatto tenore della deposizione della teste D., la quale, escussa sulla circostanza risalente all’autunno del 1992, ha dichiarato che c’era stata “una discussione tra la I. ed il proprietario dei mezzi meccanici con cui erano stati eseguiti i lavori perché questo signore chiedeva un milione di Lire e la signora I. affermava che voleva dargli Lire 800.000 perché questo era l’accordo”.

Risulta per tabulas che la Corte d’appello ha letto 800 Euro là dove la teste, riferendo dell’accordo relativo al corrispettivo da corrispondere nella vicenda risalente al 1992, si era invece espressa in termini di Lire 800.000.

L’errore di fatto configurabile era rimediabile con la revocazione.

Va data continuità al principio secondo cui in tema di impugnazioni civili, l’errore nella percezione del significato letterale e logico di una deposizione testimoniale dà luogo ad un errore di fatto che, a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 4, consente solo l’impugnazione per revocazione (Cass., Sez. III, 25 giugno 2003, n. 10127).

5. – Il ricorso è accolto relativamente al primo motivo, mentre è rigettato o dichiarato inammissibile nel resto.

La sentenza impugnata è cassata in relazione alla censura accolta.

La causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Catanzaro, che la deciderà in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo e dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 30 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021

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