Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.40855 del 20/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3502/2017 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO PAGLIETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE PODDA;

– ricorrente –

contro

EG COSTRUZIONI SRL, IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE PRO TEMPORE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 923/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 02/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda, per quel che qui ancora rileva, può riassumersi nei termini seguenti:

– il Tribunale, accolta l’opposizione proposta da P.S. avverso il decreto ingiuntivo emesso dal medesimo Tribunale in favore della s.r.l. EG Costruzioni, con il quale era stato ingiunto all’opponente il pagamento della complessiva somma di Euro 36.682,04, costituente il saldo del corrispettivo di lavori di ristrutturazione di un appartamento, rigettò la domanda;

– la Corte d’appello di Cagliari, accolta per quanto di ragione l’impugnazione dell’opposta, condannò il P. al pagamento della complessiva somma di Euro 25.297,65;

– P.S. propone ricorso sulla base di due motivi, la controparte è rimasta intimata;

osserva:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Assume il P. che la Corte di merito aveva errato a far applicazione del principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, con la sentenza n. 14475/2015, richiamata dall’impugnata decisione, poiché l’appellante non aveva allegato con l’atto d’appello la fattura n. *****, contenuta nel fascicolo di parte del procedimento monitorio, il quale può essere ritirato ai sensi dell’art. 638 c.p.c., comma 3, e si era limitata a chiedere l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado, compreso quello della fase monitoria.

1.1. La doglianza è infondata.

In primo e assorbente luogo, come ben noto la fattura non è prova del credito, ma documento utile quale indice probatorio serio per ottenere l’emissione del decreto ingiuntivo, fermo restando che in presenza d’opposizione il credito deve essere compiutamente provato.

Il corrispettivo indicato nella fattura di cui qui si discute, peraltro, salvo il contrasto sulla debenza, non è controverso. Di conseguenza la questione è priva di rilievo.

In disparte val la pena soggiungere quanto appresso.

Le Sezioni unite hanno precisato che l’art. 345 c.p.c., comma 3 (nel testo introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52, con decorrenza dal 30 aprile 1995) va interpretato nel senso che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell’art. 638 c.p.c., comma 3, seppur non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio “di non dispersione della prova” ormai acquisita al processo, e non possono perciò essere considerati nuovi, sicché, ove siano in seguito allegati all’atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili (sentenza n. 14475, 10/7/2015, Rv. 635758).

A dire dello stesso ricorrente il documento di cui si discute era stato depositato all’udienza del 16/10/2013 davanti al Giudice (di primo grado, stante che la causa d’appello risulta essere stata iscritta a ruolo nel 2014) e l’appellante aveva chiesto “l’acquisizione del fascicolo d’ufficio nel presente giudizio del fascicolo di primo grado, compreso quello della fase monitoria”. Di conseguenza, a tutto concedere (cioè che il fascicolo del monitorio, secondo l’asserto congetturato, fosse stato ritirato e non si trovasse unito a quello d’ufficio), esso era rimasto a disposizione della controparte, agli effetti dell’art. 638 c.p.c., comma 3; la produzione in appello perciò è stata correttamente giudicata ammissibile.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente contesta alla sentenza d’appello di avere “dato per pacifica la sussistenza tra le parti del rapporto contrattuale”, senza che risultasse accettata cessione del contratto ai sensi dell’art. 1406 c.c., da parte del committente, che, secondo il P., era intercorso solo con G.E. (costui risulta essere intervenuto volontariamente in primo grado e avere appellato, sulle stesse posizioni della E.G.); nonché di avere contabilizzato il costo dei materiali sulla base delle sole fatture emesse dall’opposta, così invertendo il carico dell’onere della prova.

2.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità.

La Corte di merito ha svolto il seguente ragionamento: a) era pacifica la sussistenza del rapporto contrattuale contestato, poiché l’opponente lo aveva inequivocamente riconosciuto producendo in atti il ricorso per l’accertamento tecnico preventivo, con il quale espressamente premetteva di avere affidato alla E.G. e al G. l’esecuzione dei lavori; b) aggiunta l’IVA al corrispettivo stimato dal ctu per mano d’opera e impianti (Euro 64.188,00) si giungeva alla somma di Euro 70.606,80 e detratto l’importo già corrisposto di Euro 45.309,15, si giungeva all’ammontare, inclusa l’IVA, di Euro 25.297,65.

Il ricorrente insiste nell’affermare l’insussistenza del rapporto 3 contrattuale, senza peritarsi di confrontarsi con la puntuale motivazione sopra riportata (solo per amore di completezza va ricordato che il richiamo all’art. 1406 c.c., ammesso che si versi in presenza della fattispecie, e non, come appare più plausibile, di un contratto d’appalto stipulato dal committente con più soggetti, ciascuno dei quali tenuto a uno specifico “tacere”, è del tutto inconferente, stante che l’accettazione della cessione del contratto non necessita di forme particolari).

Per altro verso si limita contestare del tutto genericamente l’epilogo giudiziario, omettendo d’indicare con la necessaria specificità in che sia consistita la dedotta violazione della regola di cui all’art. 2697 c.c.. Appare evidente, di conseguenza, che la evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage (che per vero qui neppure è stato sperimentato) del richiamo agli artt. 115 e 116, c.p.c..

3. Non v’e’ luogo a regolamento poiché la controparte è rimasta intimata.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021

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