LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2453/2020 R.G. proposto da:
D.M.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Mario Rosati, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Liegi, n. 2;
– ricorrente –
contro
CDS 2 Centro Diffusione Selvaggina S.r.l., D.M.F. e D.M.A.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte Suprema di Cassazione, n. 17932/2019, pubblicata il 4 luglio 2019.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 21 settembre 2021 dal Consigliere Emilio Iannello.
RILEVATO
che:
in controversia agraria promossa da D.M.A. e D.M.F. contro la società semplice C.D.S. 2 per la risoluzione di contratto di affitto per grave inadempimento dell’affittuaria, il rilascio del fondo e la condanna della stessa al pagamento della penale pattuita, intervenne, con comparsa depositata alla prima udienza, D.M.M., comproprietario del terreno, aderendo alle domande dei propri germani;
il Tribunale di Roma, Sezione specializzata agraria, accolse le domande;
in parziale riforma di tale sentenza, confermata nel resto, la Corte d’appello di Roma ridusse l’importo della penale;
con sentenza n. 17932 del 2019 la S.C., in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla C.D.S.2 (nelle more trasformata in) S.r.l., ha cassato la sentenza d’appello limitatamente alla parte in cui ha omesso di rilevare (come denunciato dalla ricorrente con il primo motivo) la tardività dell’intervento in causa di D.M.M. e, decidendo nel merito, lo ha dichiarato inammissibile;
ha al riguardo rilevato in motivazione (per quanto in questa sede interessa) che: “l’intervento di D.M.M., avvenuto in occasione della prima udienza, in data 18 gennaio 2014, era tardivo ed avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile fin dal giudizio di primo grado; la società oggi ricorrente aveva posto la questione in primo e in secondo grado, ma la tardività avrebbe potuto (e dovuto) essere dichiarata anche d’ufficio…. D’altra parte va rilevato che dalla lettura degli atti di causa … emerge che l’intervento di D.M.M. era un intervento in contrapposizione ad entrambi i litiganti. Pur avendo egli, infatti, prestato adesione alle domande di risoluzione e di risarcimento dei danni avanzate dai fratelli attori, la sua posizione era in qualche modo contrapposta anche a quella di costoro, avendo egli impugnato la delibera della comunione (esistente tra i tre fratelli) con la quale era stata accettata la proposta di transazione con la società C.D.S.2, di cui in seguito si dirà;
“Non può sostenersi, d’altronde – si legge ancora nella sentenza qui impugnata – che tale intervento sia avvenuto per l’integrazione necessaria del contraddittorio. E’ vero, infatti, che D.M.M. era comproprietario del terreno del quale era stato chiesto il rilascio; ma è anche vero che questa Corte ha già affermato, con una pronuncia alla quale va data oggi continuità, che nel giudizio promosso da tutti i comproprietari per conseguire il rilascio di un fondo rustico non è configurabile un litisconsorzio necessario di carattere sostanziale, ma soltanto, eventualmente, di carattere processuale, ove tutti i concedenti siano stati presenti in primo grado (sentenza 28 febbraio 2002, n. 2961)”;
tale sentenza è impugnata da D.M.M., con ricorso per revocazione, ex art. 391-bis c.p.c., e art. 395 c.p.c., n. 4;
gli intimati non svolgono difese nella presente sede.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo il ricorrente lamenta che la S.C. ha escluso la sussistenza di un litisconsorzio necessario idoneo di per sé a giustificare l’intervento in causa, erroneamente postulando che si trattasse di domanda di rivendica del fondo e omettendo di considerare che – come desumibile dalla stessa motivazione – quella introdotta dai suoi fratelli, cui egli con il proposto intervento aveva aderito, era invece domanda di risoluzione, come tale implicante litisconsorzio sostanziale tra le parti del contratto;
il ricorso è inammissibile;
con ogni evidenza la censura non prospetta un errore revocatorio ma investe frontalmente proprio il nucleo del ragionamento decisorio e, con esso, una questione che aveva formato oggetto del thema decidendum, in tal modo ponendosi totalmente al di fuori dei presupposti e dei limiti del sindacato consentito ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., e dell’art. 395 c.p.c., n. 4;
e’ appena il caso di rammentare al riguardo che, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia incorsa in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti – con i caratteri della evidenza e della obiettività, così da non richiedere lo sviluppo di argomentazioni induttive o indagini – e sempre che “il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”;
non può invece consistere nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati, risolvendosi questa ben diversamente in preteso errore di giudizio della Corte, non suscettibile di formare oggetto di ricorso per revocazione (v. ex multis Cass. Sez. U. n. 30/10/2008, n. 26022; Cass. 05/03/2015, n. 4456; Cass. 18/06/2015, n. 12655; Cass. 09/12/2013, n. 27451);
nel caso di specie, come detto: a) il preteso errore ricade su questione (l’ammissibilità dell’intervento in causa dell’odierno ricorrente) che ha costituito punto controverso sul quale la sentenza si è pronunciata; b) quel che si critica è l’essenza stessa del giudizio nella specie operato dalla S.C., ovvero il principio espresso circa la configurabilità di un litisconsorzio necessario nella situazione descritta, sostanzialmente proponendosi una regola opposta di giudizio;
varrà al riguardo peraltro rimarcare che il principio accolto e ribadito in sentenza, con il richiamo al precedente di Cass. 28/02/2002, n. 2961, esclude la sussistenza di litisconsorzio necessario tra i comproprietari concedenti anche in caso di domanda di risoluzione del contratto di affitto per inadempimento, con ciò rimanendo escluso che la sua affermazione in sentenza possa ritenersi condizionata da una erronea qualificazione della domanda come di rivendica anziché di risoluzione;
il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;
non avendo gli intimati svolto difese nella presente sede, non v’e’ luogo a provvedere sul regolamento delle spese;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.
Così deciso in Roma, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2021