LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3191-2019 proposto da:
R.F., rappresentato e difeso dall’avv. MARCO CAVICCHIOLI e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
B.P.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1084/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 06/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 28.10.2013 R.F. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto da B.P. per il corrispettivo della fornitura di beni mobili usati, consistenti in particolare in una serie di pattini da ghiaccio, in un macchinario per l’affilatura delle relative lame e in un trattore adibito al la pulizia della pista; tutti beni custoditi in un magazzino adiacente alla pista di pattinaggio sita in *****, le cui chiavi erano in possesso della parte acquirente. L’opponente contestava in particolare l’esistenza del contratto tra le parti, assumendo che la scrittura sulla cui base l’opposto aveva agito costituiva un contratto preliminare di compravendita, al quale non era mai seguito il definitivo. Eccepiva quindi l’indeterminatezza assoluta del credito e la notifica non rituale del decreto ingiuntivo opposto. Si costituiva in giudizio il B. contestando l’opposizione ed invocandone il rigetto.
Con sentenza del 18.1.2017 il Tribunale di Biella rigettava l’opposizione condannando l’opponente alle spese del grado.
Interponeva appello il R. e si costituiva in seconde cure il B., resistendo al gravame. Con la sentenza impugnata, n. 1084 del 2018, la Corte di Appello di Torino, rigettava l’impugnazione condannando l’appellante alle spese del grado.
Propone ricorso per la cassazione di tale decisione R.F. affidandosi ad un solo motivo.
B.P., intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 167 c.p.c., artt. 1325 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato il contratto intercorso tra le parti, assumendo che lo stesso avesse natura di contratto definitivo, mentre il B. aveva sin dal primo momento eccepito che esso integrasse un contratto preliminare, al quale non avrebbe mai fatto seguito la conclusione del definitivo di compravendita. Inoltre, il ricorrente si duole del fatto che la Corte di Appello abbia confermato la valutazione del Tribunale, che aveva escluso la configurabilità di decadenze in capo al convenuto opposto, che si era costituito dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 167 c.p.c., sul presupposto che la sua comparsa contenesse mere difese e che la pretesa creditoria fosse stata già ritualmente proposta mediante la presentazione del ricorso per decreto ingiuntivo. Ad avviso del ricorrente, invece, la Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare il fatto che il B., nel costituirsi tardivamente nel giudizio di opposizione, non aveva assolto al suo onere di dimostrare la fondatezza della pretesa creditoria fatta valere in giudizio, la cui stessa esistenza sarebbe stata contestata dal R..
La censura è inammissibile.
Il giudice di secondo grado, con statuizione peraltro conforme a quella del Tribunale, ha evidenziato il fatto che il R. non aveva mai contestato l’esistenza di un rapporto negoziale con il B., ma soltanto proposto una sua ricostruzione in termini di preliminare, e non di definitivo, di compravendita. Il ricorrente sostiene, erroneamente, che la contestazione relativa alla natura della fonte dell’obbligazione (preliminare o definitivo di compravendita) implicherebbe il pieno disconoscimento del fatto storico rappresentato dalla stessa esistenza del vincolo negoziale. In realtà, la contestazione relativa alla natura del vincolo postula necessariamente l’esistenza del vincolo stesso. La parte che intende revocare in dubbio la stessa esistenza del rapporto negoziale, invece, non deve limitarsi alla sola contestazione della natura del vincolo giuridico, ma deve porne in dubbio la stessa esistenza della sua fonte, formulando quindi una eccezione ben più ampia della prima. Nell’ambito del processo di carattere dispositivo, infatti, è soltanto la parte che può introdurre una contestazione, e – nel farlo – ha l’onere non soltanto di allegare il fondamento della propria pretesa e di fornire gli opportuni elementi di prova a sostegno dei propri assunti, ma innanzitutto di delineare con precisione l’ambito della questione devoluta alla cognizione del giudice, poichè solo all’interno di tale spazio logico si può legittimamente esplicare il sindacato giurisdizionale, nella vigenza del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato delineato dall’art. 112 c.p.c.. Nel caso di specie, quindi, il B. avrebbe dovuto non soltanto contestare la natura del contratto intercorso tra le parti, ma la sua stessa esistenza: in tal caso (e solo in tal caso) il giudice sarebbe stato investito del compito di accertare l’esistenza del contratto, prima, e di individuarne la natura e gli effetti giuridici, poi. Viceversa, in presenza di una contestazione limitata alla sola natura del vincolo, il giudice di merito ha del tutto correttamente limitato il proprio sindacato al solo secondo profilo di indagine, dando per riconosciuto il primo passaggio logico, relativo all’esistenza del vincolo, che neppure l’odierno ricorrente aveva revocato in dubbio.
Nel caso di specie, la Corte torinese ha ritenuto che il contratto concluso tra le parti avesse natura di definitivo, in base al fatto che nella scrittura le parti sono definite semplicemente come “acquirente” e “venditore” e che “nel contratto non vi sia alcun riferimento alla necessità di addivenire ad un successivo, ulteriore accordo costituente contratto definitivo, nè vi sia cenno di eventuali termini o modalità per la stipulazione di detto ulteriore contratto” (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). Inoltre, la Corte piemontese ha valorizzato la consegna dei beni, ritenendola circostanza rilevante per la valutazione del comportamento delle parti (cfr. pag. 7). La disamina della fonte del rapporto giuridico, e della complessiva condotta delle parti prima, durante e dopo la sua stipulazione, è stata condotta nel rispetto dei criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 e ss. c.c., la cui violazione – peraltro – non è neppure contestata da parte ricorrente. L’operazione logica condotta dalla Corte territoriale è dunque corretta e si risolve in un apprezzamento insindacabile in questa sede. Infatti “In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29111 del 05/12/2017, Rv.646340; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 420 del 12/01/2006, Rv.586972).
Nè, per concludere, può ritenersi ammissibile la doglianza relativa alla violazione dell’art. 112 c.p.c., per come essa è stata in concreto formulata dal ricorrente. Va infatti ribadito, in argomento, che “La Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, nè potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20181 del 25/07/2019, Rv. 654876; cfr. anche Cass. Sez.1, Sentenza n. 2771 del 02/02/2017, Rv. 643715 e Cass. Sez.5, Sentenza n. 1170 del 23/01/2004, Rv. 569603).
Il ricorrente aveva dunque l’onere di indicare, in modo specifico, le domande e le eccezioni da egli proposte nel corso del giudizio di merito, nonchè l’esatto momento processuale in cui esse sarebbero state formulate, in modo da rendere possibile l’esame, da parte del Collegio, in merito alla sussistenza, o meno, della dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. In difetto di tale allegazione, la censura va ritenuta carente della necessaria specificità, e quindi inammissibile.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 20 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021
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