Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.41124 del 21/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23890-2017 proposto da:

F.D., IL CASCINALE SOCIETA’ SEMPLICE, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIAN GIACOMO PORRO N 8, presso lo studio dell’avvocato ANSELMO CARLEVARO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO BELLARDI;

– ricorrenti –

contro

SOCIETA’ AGRICOLA TENUTA LUCIA s.s., rappresentata e difesa dall’avv. Lorenzo Braccini, in virtù di mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

TENUTA VENERE s.s., C.P., R.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1919/2017 della Corte d’appello di Torino, depositata il 1 settembre 2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/11/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

lette le conclusioni del Procuratore Generale Dott. Pepe Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La società semplice il Cascinale e F.D. chiamavano in giudizio dinanzi al Tribunale di Saluzzo la società Agricola Tenuta Venere s.s., la società agricola Tenuta Lucia s.s., C.P. e R.C.. Deducevano che il conferimento del complesso aziendale, operato dalla società il Cascinale nella società Tenuta Venere con atto del 25 maggio 2005, integrava una violazione del patto commissorio, in quanto, attraverso tale trasferimento, era stata costituita una garanzia per finanziamenti accordati al Cascinale da C.P.. Quest’ultimo, già creditore della società il Cascinale, era intervenuto nella procedura esecutiva promossa contro la società, dichiarandosi disponibile a fornire gli importi occorrenti per estinguere le posizioni creditorie, a fronte della garanzia costituita dalla proprietà del complesso aziendale. Tale proposta fu accettata e ne seguì il conferimento di cui sopra, il quale fu a sua volta seguito da ulteriori vicende traslative, in esito alle quali il C. aveva realizzato la finalità ultima dell’operazione, ossia di acquisire la proprietà del complesso aziendale il Cascinale a garanzia della restituzione dei finanziamenti accordati a tale società. Si sosteneva che l’accordo per il riacquisto del compendio trasferito in garanzia fu formalizzato fra le persone fisiche in un secondo tempo con la scrittura del 26 aprile 2006, nella quale si dava atto del pagamento di alcune rate e si prevedeva il riacquisto dei beni, da parte del F. e del coniuge di lui G.I. (titolari della società “il Cascinale”) progressivamente con il pagamento delle rate, fino a completa estinzione del debito. Il prezzo pattuito nella scrittura, pari a Euro 983.130,00, altro non rappresentava che la restituzione dei finanziamenti, accordati per l’importo di Euro 769.692,35, maggiorato da cospicui interessi. Si evidenziava che nei vari atti non era mai stato preso in considerazione il valore del complesso aziendale, che si assumeva pari a Euro 2.332.000,00.

Il tribunale rigettava la domanda, volta a fare accertare la violazione del divieto di patto commissorio, riconoscendo il difetto di interesse del F.. La Corte d’appello di Torino confermava la decisione. A tal fine riconosceva che la scrittura del 24 giugno 2006, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, non conteneva gli estremi del patto commissorio, né questo emergeva dal complessivo esame degli elementi istruttori. Con riferimento alla scrittura di cui sopra la Corte di merito condivideva la valutazione del primo giudice circa la mancanza degli elementi idonei a integrare un negozio produttivo di effetti giuridici.

Per la cassazione della sentenza la società “Il Cascinale” e il F. hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi. La società Agricola Tenuta Lucia s.s. ha resistito con controricorso. Gli altri soggetti cui il ricorso è stato notificato sono rimasti intimati.

La controricorrente ha depositato memoria in prossimità della pubblica udienza, fissata a seguito di rinvio a nuovo ruolo dopo l’originaria fissazione del ricorso per la trattazione in camera di consiglio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare il collegio rileva che la corte d’appello ha riconosciuto inammissibile l’appello proposto dal F., rispetto al quale il primo giudice aveva dichiarato il difetto di interesse ad agire. Il F., pur proponendo il ricorso anche in proprio, non ha sollevato alcuna censura. Sulla relativa statuizione, pertanto, si è formato il giudicato.

2. Il primo motivo denuncia “omesso esame circa molteplici fatti decisivi per il giudizio; totale omessa motivazione per non avere la Corte esaminato nessuno dei numerosi “fatti”, provati da documenti che sia direttamente sia quanto meno in via indiziaria, confermavano la precisa volontà del C. di aggirare il divieto del patto commissorio”.

Si sostiene infatti che la semplice considerazione degli eventi, così come emergevano dagli atti di causa, comprova la esistenza del patto vietato, ravvisata dai ricorrenti in ciò: il C., intervenuto nella procedura esecutiva promossa contro il Cascinale per l’importo di Euro 419.624,35, avrebbe fornito le somme occorrenti per il pagamento dei creditori, ottenendo a garanzia della restituzione dei due crediti, quello originario e quello elargito per la liberazione degli immobili, il trasferimento del complesso pignorato, con l’intesa che, un volta estinto il debito, la società il Cascinale sarebbe tornata in proprietà dei beni. La scrittura del 26 aprile 2006 altro non era che la formalizzazione postuma di tale accordo, già emergente dall’insieme dei fatti sopra descritti, invece del tutto trascurati dalla corte d’appello.

3. Il motivo non incorre nella preclusione della c.d. doppia conforme, ex art. 348-ter c.p.c., u.c. Infatti, l’aspetto comune nelle due sentenze non è nella soluzione della questione di fatto sulla base di identiche ragioni. Ciò che è comune alle due sentenze è piuttosto il convincimento che la scrittura del 26 aprile 2006 non avrebbe alcun rilievo ai fini della verifica dei fatti dedotti, perché non contiene gli elementi idonei a integrare un negozio produttivo di effetti. E’ sfuggito tuttavia ai giudici di merito che la scrittura in esame beninteso nella prospettiva fatta propria nel merito dall’attuale ricorrente non veniva in considerazione per la sua efficacia negoziale, ma perché, nei rapporti con il C. che l’aveva sottoscritta, in essa si doveva individuare l’esternazione della causa di garanzia che giustificava il precedente trasferimento. In questo senso, la rilevanza della stessa scrittura non è minimamente pregiudicata dalla sua qualificazione quale minuta o puntuazione. Essa quindi, tenuto conto della nozione di patto commissorio, non poteva essere a priori ignorata nella ricostruzione del fatto. A un attento esame, la valutazione complessiva del motivo in esame consente di riconoscere, di là dalla rubrica, che ciò che costituisce oggetto di censura è l’approccio “in diritto” avuto nella vicenda dalla Corte d’appello, che in contrasto con la nozione di patto commissorio, quale emerge dall’esame della giurisprudenza della Corte, ha ritenuto di dover circoscrivere la verifica dei fatti alla sola sequenza degli atti negoziali dal punto di vista formale.

Si ricorda che “in tema di ricorso per cassazione, la configurazione formale della rubrica del motivo di gravame non ha contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poiché è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura” (Cass. n. 7981/2007; n. 14026/2012; n. 12690/2018).

4. Tanto chiarito, la censura di cui al motivo in esame, oltre che ammissibile, è anche fondata. Il divieto di patto o commissorio colpisce con la nullità qualsiasi negozi giuridico idoneo a conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento, di fare ottenere al creditore la proprietà di un bene dell’altra parte nel caso in cui questa non adempia la propria obbligazione (Cass. n. 4262/2013; n. 23617/2017; n. 22903/2018). La causa di garanzia distingue il patto commissorio vietato rispetto ai negozi aventi funzione solutoria o liquidativa, come la datio in solutum (Cass. n. 893/1999; n. 8742/2001; n. 10702/2003; n. 19508/2020) o la cessione dei beni ai creditori. In passato si riteneva illecito il patto commissorio che prevedeva il trasferimento della proprietà sotto condizione sospensiva dell’inadempimento, mentre l’orientamento oramai consolidato reputa nullo il patto commissorio a prescindere dal momento del trasferimento del bene. Si impone piuttosto un’indagine volta ad accertare se la vendita, seppure a effetti immediati, sia diretta a realizzare uno scopo di garanzia (Cass., S.U., n. 1611/1983; n. 3800/1983; n. 13621/2007). Tale scopo ricorre quando il versamento del denaro, da parte del compratore, non costituisce pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo (Cass. n. 9900/2001). In questo caso, lo scopo di garanzia non costituisce mero motivo, ma assurge a causa del contratto (Cass. n. 10805/1995). Si chiarisce che, ai fini di tale indagine, sono irrilevanti “sia la natura obbligatoria o reale del contratto, o dei contratti, sia il momento temporale in cui l’effetto traslativo sia destinato a verificarsi, sia, infine, quali siano gli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e perfino l’identità dei soggetti che abbiano stipulato i negozi collegati, complessi o misti” (Cass. n. 27362/2021).

In questo senso la censura coglie nel segno, perché la Corte d’appello, nella complessiva valutazione della vicenda, non avrebbe potuto ignorare a priori alcuni elementi che emergevano dalla scrittura del 26 aprile 2006 o comunque con questa collegati (a prescindere dal difetto di valore negoziale), tipicamente ricorrenti nei mutui con patto commissorio: ad esempio, l’indicazione del prezzo della retrovendita in misura tale da tenere conto della dilazione accordata per il pagamento, superiore a 18 anni di durata, come si ammette nel controricorso; l’avvenuto pagamento di un certo numero di rate; il fatto che i coniugi F. rimasero nella detenzione dell’immobile.

E’ chiaro che, in questa sede di legittimità, il rilievo è proposto solo in linea di principio, al fine di fare emergere l’errore commesso dalla Corte d’appello nell’indagine volta ad accertare l’eventuale esistenza del patto, inteso secondo la sua esatta nozione. E’ ovvio, infatti, che l’accertamento circa la sussistenza o meno, in concreto, del patto commissorio costituisce un giudizio di fatto, rimesso al giudice di merito (Cass. n. 462/1980).

5. Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1362,1363,1367 c.c. per avere la Corte d’appello escluso la natura di “negozio giuridico produttivo di effetti” della scrittura 24/4/2006.

Il motivo è inammissibile. E’ la stessa ricorrente a precisare come il giudizio sulla efficacia della scrittura non assume una rilevanza determinante nell’economia della decisione. E’ stato già chiarito nell’esame del primo motivo che la scrittura, nella prospettiva fatta propria dai ricorrenti, non viene in considerazione per la sua efficacia negoziale, ma perché costituiva la (supposta) esternazione della causa di garanzia che giustificava il precedente trasferimento nei rapporti con il C., che l’aveva sottoscritta. Si deve aggiungere che, dal punto di vista della qualificazione, la valutazione della Corte d’appello, fondata sulla considerazione che il documento non fu sottoscritto da tutti gli interessati e non conteneva l’assunzione di un impegno da parte degli acquirenti, non rivela alcuna violazione dei canoni interpretativi, costituendo pertanto apprezzamento di merito incensurabile in questa sede.

6. Il terzo motivo denuncia omessa pronuncia sulla domanda di accertamento di negozi in frode alla legge.

Il motivo è inammissibile. In considerazione di quanto già detto nell’esame dei motivi precedenti, in ordine al fatto che la Corte d’appello non ha ravvisato la violazione del divieto, ricorre nel caso in esame una ipotesi evidente di rigetto implicito. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte “ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 24155/2017; n. 20311/2011).

7. In conclusione, accolto il primo motivo, inammissibili gli altri, la sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Torino, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

accoglie il primo motivo; dichiara inammissibili i restanti motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 11 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2021

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