Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.412 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29018-2019 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA S.

BERNARDO, 101, presso lo studio dell’Avvocato ANNUNZIATA ABBINENTE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO AMATUCCI;

– ricorrente –

contro

G.O., N.M., C.G., C.N., GORI SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 239/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 25/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

RITENUTO IN FATTO

– che C.A., quale erede del padre B., ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 239/19, del 25 febbraio 2019, della Corte di Appello di Salerno, che – nel pronunciarsi quale giudice del rinvio, all’esito della sentenza n. 4877/10 di questa Corte – accoglieva parzialmente l’appello esperito da G.O. contro la sentenza n. 754/02, del 13 marzo 2002, del Tribunale di Salerno, condannando gli eredi di C.B., ovvero la vedova N.M. e i figli C.A., G. e N., al rilascio di un impianto di distribuzione carburanti sito in *****;

– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce che il proprio genitore, nel 1997, venne convenuto in giudizio dal G. e della società Go. S.r.l. (qualificatisi, rispettivamente, l’uno proprietario dell’impianto suddetto, l’altra titolare del contratto di fornitura dei carburanti) per il rilascio della stazione di servizio, essendo il relativo contratto scaduto il 19 novembre 1992 e non più rinnovato, o comunque per la declaratoria di risoluzione dello stesso, con condanna anche al risarcimento dei danni;

– che C.B. non solo resisteva alla domanda (sul presupposto che il contratto fosse stato concluso, verbalmente, nel 1968 e, dunque, regolato dal R.D. 20 luglio 1934, n. 1303, essendosi, inoltre, prorogato in forza del rinnovo della concessione amministrativa alla distribuzione dei carburanti per altri diciotto anni, con decorrenza dal 13 novembre 1992), ma proponeva anche riconvenzionale per il risarcimento dei danni;

– che l’adito giudicante, qualificato il rapporto contrattuale quale mandato e ritenendo che la sua scadenza coincidesse con quella della concessione amministrativa, rigettava la domanda del G. e dichiarava il difetto di legittimazione della società Go. , perchè ritenuta non parte contrattuale;

– che proposto gravame dagli attori soccombenti, il giudice di seconde cure – nella contumacia dell’appellato – accoglieva, peraltro solo in parte, esclusivamente quello del G. (ritenendo, invece, il mezzo esperito dalla società Go. inammissibile, per difetto di specificità), condannando il C. al rilascio dell’impianto, ma non pure al risarcimento dei danni, ritenuti non provati;

– che annullata da questa Corte tale sentenza (su ricorso) della vedova di C.B., che faceva constare la nullità del giudizio di appello, per omessa notifica dell’atto di gravame nei confronti dell’appellato), nelle more del giudice di legittimità siffatta decisione, poi cassata da questa Corte, veniva posta in esecuzione, conseguendo il G. il rilascio dell’impianto;

– che la Corte salernitana, quale giudice del rinvio innanzi al quale la causa veniva riassunta dal G. ex art. 392 cod. proc. civ., nella contumacia della società Go. , confermava, nei confronti degli eredi di C.B., la condanna al rilascio dell’impianto;

– che essa, in particolare, riteneva legittima la disdetta intimata al C. il 4 luglio 1996, sul presupposto che il contratto di comodato sottoposto al suo esame fosse soggetto, “ratione temporis”, al D.L. 26 ottobre 1970, n. 745, art. 16 convertito in L. 18 settembre 1970, n. 1034, che fissa, per contratti siffatti, una durata di nove anni;

– che essa affermava, inoltre, che pur a voler ritenere applicabile il già citato R.D. n. 1303 del 1934, art. 25 essendo quello concluso un comodato senza determinazione di durata, la richiesta di rilascio risulterebbe ammissibile “ad nutum”, ex art. 1810 c.c.;

– che avverso la pronuncia della Corte salernitana ricorre per cassazione il solo C.A., sulla base – come detto – di due motivi;

– che il primo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione del D.L. n. 745 del 1970, art. 16 convertito in L. n. 1034 del 1970, nonchè degli artt. 1803, 1809 e 1810 c.c., sul rilievo che il contratto corrente “inter partes”, concluso verbalmente nel 1968 (e dunque senza alcuna stabilirne la durata), non avesse una durata di soli nove anni, atteso che il suddetto art. 16 fissa in un novennio esclusivamente la durata minima del contratto “de quo”;

– che indicazioni diverse non potrebbero trarsi dalla giurisprudenza di legittimità citata dalla Corte territoriale a sostegno della propria decisione, dovendo, anzi, ritenersi (sulla scorta del contenuto della norma citata, secondo cui i contratti in questione sono destinati a risolversi in caso di mancato rinnovo della concessione amministrativa per la distribuzione di carburanti) che il comodato sia destinato a protrarsi per tutto il tempo corrispondente alla durata del provvedimento concessorio;

– che il secondo motivo denunzia – ai sensi, nuovamente, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli artt. 1803,1809 e 1810 c.c. e del R.D. n. 1303 del 1934, art. 25 censurando l’ulteriore affermazione contenuta nella sentenza impugnata (secondo cui, a voler ritenere applicabile la norma da ultimo menzionata, la richiesta di restituzione sarebbe possibile “ad nutunn, giacchè essa non terrebbe conto che la durata, nella specie, dovrebbe desumersi “dall’uso a cui la cosa deve essere destinata”, secondo il disposto dell’art. 1810 c.c., ovvero l’attività di distribuzione di carburanti, lo svolgimento della quale era stata oggetto di un rinnovato provvedimento concessorio in favore di C.B.;

– che sono rimasti solo intimati Orlando Gamella, la società Go. S.r.l., N.M., C.G. e C.N.;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alla ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 15 ottobre 2020;

– che il ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie censure.

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è manifestamente infondato;

– che il primo motivo – secondo cui il termine previsto dal D.L. n. 745 del 1970, art. 16 (convertito in L. n. 1034 del 1970) sarebbe solo un termine “minimo” di durata del contratto) di comodato – non è fondato;

– che vanno, infatti, disattesi i rilievi svolti dal ricorrente (in particolare con la memoria depositata in vista della presente adunanza camerale), secondo cui nessuna indicazione, a conferma della diversa tesi fatta propria dalla sentenza impugnata, si potrebbe trarre dalla giurisprudenza di questa Corte:

– che il ricorrente, per contro, reputa che debba valorizzarsi proprio la complessiva disciplina recata da detto articolo di legge a sostegno dell’interpretazione, dallo stesso sostenuta, che pone in stretta correlazione la durata del contratto a quella della concessione per la distribuzione dei carburanti;

– che secondo questa Corte, al riguardo, non appare inutile rammentare – a titolo di premessa – l’inquadramento che, nella giurisprudenza di legittimità, è stato dato ai contratti stipulati ai sensi della disciplina (ormai abrogata) recata dalla norma suddetta;

che, secondo questa Corte, quello disciplinato dalla disposizione “de qua” è (“recte”: era) “un contratto complesso risultante dal collegamento inscindibile di più rapporti che sono stipulati in vista del perseguimento di uno scopo unitario, in quanto contrassegnati da una causa unica che stabilisce tra le varie prestazioni un nesso di correlazione tali da renderle tra loro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico”, di talchè siffatto collegamento “si porge tra la cessione gratuita degli impianti, l’attività di vendita al pubblico del gestore e la fornitura del carburante da parte del concessionario” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 18 giugno 1990, n. 6117, Rv. 467807-01, non massimata sul punto; in senso conforme, sempre in motivazione, Cass. Sez. Lay. sent. 29 novembre 2002, n. 16992, Rv. 558837-01, del pari non massimata sul punto);

– che in tale quadro, dunque, si è ritenuto che la stessa gratuità del comodato degli impianti e degli accessori si atteggi in modo peculiare, giacchè “tende ad impedire che, per quanto concerne questo aspetto del contratto di gestione, l’autonomia privata possa dar luogo a speculazioni di vario genere le quali inciderebbero negativamente sui fini di pubblico interesse che in materia si intendono conseguire” (Cass. Sez. 1, sent. n. 6117 del 1990, cit.), traducendosi, pertanto, “solo nell’impossibilità per le parti di prevedere, nell’ambito dello speciale contratto disciplinato dalle disposizioni citate uno specifico compenso a carico del gestore per l’uso dell’impianto”, nessuna norma invece impedendo alle parti di accordarsi “sulla misura dei compensi correlati alla vendita del carburante ai consumatori, modulandone le percentuali in relazione alle particolari modalità di erogazione” (Cass. Sez. Lav., sent. n. 16992 del 2002, cit.);

– che, parimenti, rispetto alla “regola sulla durata minima novennale del rapporto, il cui scopo è di assicurare la convenienza economica della gestione”, è stata considerata legittima non solo “la pattuizione della facoltà bilaterale di recesso libero, entro un periodo di tempo determinato, in esito a reciproche valutazioni di opportunità circa la definitiva prosecuzione del rapporto” (pattuizione ritenuta rispondente “ad un interesse non solo del gestore ma anche del concessionario, stante, fra l’altro, la solidale responsabilità di entrambi per l’adempimento degli obblighi fiscali connessi alla gestione e sanzionati anche con la decadenza di quest’ultimo dalla concessione”; cfr. Cass. Sez. Lav., sent. 27 febbraio 1990, n. 1513, Rv. 565574-01; Cass. Sez. 3, sent. 8 marzo 2001, n. 3392, Rv. 544584-01; nonchè, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. n. 16992 del 2002, cit.), ma anche la possibilità di stipulare – senza che ciò implichi violazione delle norme di cui al D.L. n. 745 del 1970, art. 16, commi 8 e 9 – “un contratto di affidamento difforme da quelli ivi previsti, sempre che sia idoneo ad assicurare il servizio ed a soddisfare il relativo fabbisogno collettivo”, essendosi escluso che norme suddette presentino natura imperativa (Cass. Sez. 3, sent. 30 maggio 1996, n. 5003, Rv. 497882-01);

– che, su tali basi, questa Corte, dunque, ha ritenuto di “escludere che lo schema negoziale apprestato dal legislatore possa comprendersi con il riferimento al comodato”, dovendo, invece, ritenersi che si tratti “di un nuovo contratto foggiato dal legislatore il quale perchè espressamente previsto e disciplinato deve ritenersi tipico e nominato” (Cass. Sez. 1, sent. n. 6117 del 1990, cit.; Cass. Sez. Lav., sent. n. 16992 del 2002, cit.);

– che in questa prospettiva, pertanto, è stato affermato da questa Corte che il contratto “de quo” – quando la durata della disponibilità dell’impianto non sia stata predeterminata – venga a scadenza dopo nove anni, diversamente da quanto sostenuto dall’odierno ricorrente, che assume, invece, la necessità di correlare la durata del contratto “all’uso cui la cosa doveva essere destinata” (ex art. 1810 c.c.), uso identificato nell’espletamento dell’attività di distribuzione oggetto del provvedimento concessorio, così correlando la durata della relazione contrattuale a quella della concessione;

– che, difatti, questa Corte ha ritenuto fondata la pretesa restitutoria esercitata da chi, “essendo stati stipulati a tempo indeterminato i contratti di comodato relativi all’affidamento delle attrezzature e dei distributori”, aveva sostenuto che da tale circostanza dovesse “necessariamente dedursi la sussistenza del diritto 1…1 di chiedere in qualunque momento la riconsegna dei beni concessi in comodato una volta che fosse decorso, come lo era nella specie, il periodo novennale stabilito dalla normativa in tema di impianti di carburanti (D.L. 26 ottobre 1970, n. 745, art. 16)” (così, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 1 febbraio 1989, n. 613, Rv. 461688- 01);

– che la citata sentenza, “rovesciando” l’assunto da cui muove l’odierno ricorrente (ovvero, che la durata del contratto “de quo” sia correlata a quella della concessione), afferma, per contro, che “venuta meno la detta cessione (degli impianti e delle attrezzature, n.d.r.) su richiesta del comodante, al termine dei nove anni previsti come termine legale minimo della cessione in questione, doveva, necessariamente venir meno anche l’attività di gestione dell’impianto di distribuzione che non avrebbe potuto proseguire a causa della indisponibilità degli indispensabili beni strumentali la cui gratuita utilizzazione era, a norma del D.L. n. 745 del 1970, menzionato art. 16 condizione essenziale per l’affidamento a terzi della gestione dello impianto medesimo” (così, nuovamente, Cass. Sez. Lav., sent. n. 613 del 1989, cit.);

– che è, dunque, in tale contesto che vanno interpretati anche i successivi arresti giurisprudenziali di questa Corte, i quali – sebbene non affermino espressamente (al contrario della sentenza appena menzionata) che il termine di legge suddetto segna anche, in difetto di diversa previsione negoziale, la durata massima del contratto) – ritengono che alla scadenza del termine di durata del contratto è preclusa la rinnovazione dello stesso (Cass. Sez. Lav., sera. 9 marzo 1995, n. 2763, Rv. 491041-01; Cass. Sez. 3, sent. 8 marzo 2001, n. 3392, Rv. 544583-01);

– che il primo motivo, dunque, non è fondato, risultando corretta la decisione della Corte territoriale di ritenere che, stante il decorso di più di nove anni dal 1968, epoca di conclusione del contratto, il G. potesse legittimamente inviare, in data 4 luglio 1996, l’atto di disdetta;

– che quanto al secondo motivo di ricorso, il rilievo svolto dal ricorrente nella propria memoria (ovvero, che esso non investe, diversamente da quanto si legge nella proposta del consigliere relatore, un’affermazione compiuta “ad abundantiam” dalla Corte territoriale) è corretto, ma non giova ai fini dell’accoglimento del motivo stesso;

– se è vero, infatti, che l’applicazione del R.D. n. 1303 del 1934, art. 25 si pone come un’autonoma “ratio decidendi” della sentenza impugnata, essa, tuttavia, presenta natura alternativa rispetto a quella (che postula, invece, la riconduzione della fattispecie in esame al D.L. n. 745 del 1970, art. 16) oggetto del primo motivo di ricorso, sicchè il rigetto di esso comporta l’inammissibilità del secondo motivo;

– che, infatti, trova applicazione il principio secondo cui, “qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass. Sez. 5, ord. 11 maggio 2018, n. 11493, Rv. 648023-01);

– che il ricorso va, dunque, rigettato;

– che nulla è dovuto quanto alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo rimasto solo intimati G.O., la società Go. S.r.l. N.M., C.G. e C.N.;

– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, in misura pari a quella prevista per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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