LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2326-2016 proposto da:
L.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato CARLO CIPRIANI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO PANNARALE;
– ricorrente –
contro
REGIONE PUGLIA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3187/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 13/01/2015 R.G.N. 3788/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/11/2021 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS.
RILEVATO
– che con sentenza del 29 gennaio 2015, la Corte d’Appello di Bari, chiamata a pronunziarsi sul gravame avverso la decisione di rigetto resa dal Tribunale di Bari sulla domanda proposta da L.V. nei confronti della Regione Puglia avente ad oggetto la condanna dell’Ente datore al pagamento di differenze retributive dovute a titolo di retribuzione di posizione e di risultato, dichiarava inammissibile l’appello proposto dal L.m.;
– che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto fondata l’eccezione sollevata dalla Regione Puglia circa la tardività della notifica dell’atto d’appello effettuata dal L. oltre il termine di 60 giorni assegnato al medesimo per il rinnovo della stessa, in origine erroneamente effettuata presso il procuratore costituito nonostante la pacifica contumacia in prime cure dell’Ente appellato;
– che per la cassazione della decisione ricorre il L., affidando l’impugnazione ad un unico motivo, in relazione alla quale la Regione Puglia pur intimata non ha svolto alcuna attività difensiva;
– che il ricorrente ha poi presentato memoria; CONSIDERATO
– che con l’unico motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c., comma 3 e art. 156 c.p.c., comma 3, imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione della rituale costituzione dell’Ente allora appellato con atto in cui risultavano compiutamente svolte le difese anche di merito, costituzione implicante, per il principio della conservazione degli atti giuridici che abbiano conseguito lo scopo processuale cui sono rivolti, la sanatoria dell’eccepita nullità;
– che il motivo deve ritenersi infondato alla stregua dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr., ex aliis, Cass. n. 13637/2017; Cass. n. 23587/2006; Cass. n. 4637/1990; Cass. n. 969/1986), cui questo Collegio intende dare continuità, in base al quale l’inottemperanza all’ordine di rinnovazione della notifica dell’appello determina, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., l’inammissibilità del gravame, ove il rinnovo della notifica nulla sia stato del tutto omesso,e l’estinzione del processo, nel caso (che è quello verificatosi anche nella vicenda in esame) di rinnovazione della notifica eseguita oltre il termine all’uopo fissato;
che, più precisamente, con riguardo alla mancata partecipazione al giudizio del convenuto o appellato, nei confronti del quale il giudice abbia disposto, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., il rinnovo della notifica, occorre distinguere – anche nel rito del lavoro – a seconda che l’ordine di rinnovazione sia rimasto del tutto ineseguito o adempiuto oltre il termine perentorio all’uopo fissato dal giudice, di modo che nella prima ipotesi, in cui il processo non può proseguire per mancanza del contraddittorio, alla causa estintiva (prevista dall’art. 291 c.p.c., comma 3 e art. 307 c.p.c., comma 3) si sovrappone una nullità e, ove il giudice non abbia disposto la cancellazione della causa dal ruolo e il processo sia giunto fino alla sentenza, il convenuto o appellato che non vi abbia partecipato può dedurre il vizio in sede di impugnazione, mentre, nella seconda ipotesi, in cui il contraddittorio è stato instaurato, sia pure da un atto viziato dall’inosservanza del termine perentorio, l’estinzione non si sottrae alla disciplina dettata dall’art. 307 c.p.c., u.c.;
– che la predetta norma nel caso in oggetto, trattandosi di processo instaurato nel 2006, trova applicazione, non nel testo vigente del comma 4, come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 15, lett. b), (che prevede la rilevabilità d’ufficio dell’estinzione), bensì nel testo previgente rispetto a detta novella, atteso che quest’ultima si applica, L. n. 69 del 2009, ex art. 58 cit. solo ai processi instaurati dal 4/7/2009, testo secondo cui l’estinzione va eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra difesa, che è quanto è avvenuto nel caso in esame, atteso che, dalla sentenza impugnata emerge come “in primis” (tale è l’espressione utilizzata dalla Corte territoriale) l’appellata Regione Puglia, costituitasi, aveva eccepito l’inammissibilità dell’appello dell’odierno ricorrente;
che tale espressione (mutuata dalla citata Cass. n. 8125/13, su cui si è espressamente basata la gravata pronunzia) non esclude la volontà dell’appellata di opporsi alla prosecuzione del processo, dato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., in particolare, Cass. n. 26401/2009, ma sostanzialmente in termini anche Cass. n. 6286/1995), per sollevare l’eccezione di estinzione del processo non sono richieste formule sacramentali, dovendosi qualificare l’eccezione medesima alla stregua del suo contenuto reale con particolar riferimento allo scopo dell’atto, senza che possa attribuirsi rilievo a mere imperfezioni formali ovvero ad espressioni impropriamente adoperate, ove risulti in modo non equivoco l’intento di opporsi alla prosecuzione del processo, di modo che la Regione Puglia, che comunque ha tempestivamente lamentato, come prima difesa, la violazione del termine perentorio per la rinnovazione della notifica dell’atto d’appello, deve ritenersi essersi così opposta – sia pur mediante impropria terminologia – alla prosecuzione del processo ciò equivalendo a tempestiva eccezione di sua estinzione;
che, sebbene non si versi in ipotesi di inammissibilità dell’atto d’appello, bensì di estinzione del giudizio di secondo grado, l’effetto che ne deriva è in ogni caso il passaggio in giudicato ex art. 338 c.p.c. della sentenza di primo grado;
che, pertanto, corretta in questi termini la motivazione ex art. 384 c.p.c., u.c., il ricorso va rigettato, senza pronuncia delle spese per essere la Regione Puglia rimasta intimata.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2021