LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29108/2016 proposto da:
C.M., anche in proprio, R.R., elettivamente domiciliati in Roma, Via Rocca Priora n. 6, presso lo studio dell’avvocato Chiefari Giuseppina Paola, rappresentati e difesi dallo stesso avvocato C.M., giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
Comune di Milano, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Polibio n. 15, presso l’avvocato Lepore Giuseppe, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Cozzi Paola, Mandarano Antonello, Montagnani Alessandra, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2217/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 06/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/11/2021 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2217/2016, depositata in data 8/6/2016, – in controversia concernente domanda promossa, con citazione del luglio 2007, da C.M. e R.R. (ed altri undici ex consiglieri di circoscrizione, tutti eletti nella Zona ***** di decentramento amministrativo del Comune di Milano), nei confronti del Comune di Milano, di riconoscimento delle indennità (gettoni) di presenza, prevista dalla L. n. 265 del 1999 (art. 23) e dal D.Lgs. n. 267 del 2000 (TUEL, art. 82), per la partecipazione a consigli e commissioni, per il periodo compreso tra il luglio 1999 ed il maggio 2002, in misura pari, per entrambi, a Euro 22.961,95 ciascuno, corrispondente ad undici gettoni di presenza, per ognuno dei mesi di riferimento, – ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, che aveva, dichiarato interamente prescritto il credito vantato dal R. e fino al mese di dicembre 1999 quello vantato dal C., cui veniva riconosciuto l’importo di Euro 5.441,84, oltre interessi dal 22/12/2004 al saldo.
I giudici d’appello hanno accolto il gravame del R., condannando il Comune a corrispondere al medesimo, a titolo di gettoni di presenza, l’importo di Euro 1.141,38, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, mentre hanno respinto il gravame del C. e, in accoglimento dell’appello incidentale del Comune, hanno condannato l’appellante stesso, rideterminato in Euro 1.409,94, oltre interessi dalla domanda al saldo, l’importo dovutogli, alla restituzione all’Ente locale della differenza tra tale somma e quella maggiore già corrispostagli in esecuzione della sentenza di primo grado. La Corte d’appello, in particolare, ha ritenuto: a) non operante la prescrizione quinquennale prescritta per gli interessi e ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi, avendo il gettone di presenza natura indennitaria e non retributiva, senza periodicità fissa, e non avendo alcuna funzione sinallagmatica, con conseguente applicazione del termine decennale di prescrizione ordinaria, nella specie non maturata a carico degli appellanti; b) che, in punto di quantum liquidato, correttamente il giudice di primo grado non aveva ammesso le richieste istruttorie, del tutto generiche ed esplorative, ex artt. 210 o 213 c.p.c. e di prove orali, non avendo gli attori assolto all’onere probatorio su di loro gravante, non producendo alcun documento attestante la loro effettiva partecipazione alle Commissioni istruttorie della Zona 2 a far tempo dalla loro costituzione, né provato un pregresso rifiuto del Comune alla messa a disposizione dei relativi verbali delle sedute, ed aveva fatto riferimento ad un prospetto riepilogativo predisposto dal Comune di Milano (documento 12 prodotto dal comune), avente valenza di riconoscimento di debito; c) tuttavia, in ordine all’importo spettate al C., erroneamente il giudice di primo grado aveva attribuito l’importo relativo alla partecipazione ai Consigli di Zona, non oggetto di lite, in luogo di quello previsto per le Commissioni istruttorie, cosicché sulla base del doc.to 12, in mancanza di prova ulteriore, doveva essere rideterminato il reddito nella misura pari ad Euro 1.409,94, corrispondente alla partecipazione dell’ex consigliere in 21 Commissioni istruttorie con diritto a complessivi 21 gettoni di presenza, pari ad Euro 67,14 ciascuno, mentre andava confermata la decisione di primo grado in punto di decorrenza degli interessi dalla data di costituzione in mora del Comune, sempre con riferimento alla richiesta del C.; d) quanto poi alla posizione del R., dallo stesso doc.to 12 emergeva che il Comune aveva riconosciuto la sua partecipazione in 17 presenze, con un credito di Euro 1.141,38; e) doveva essere respinto il motivo di gravame incidentale del Comune, in punto di statuizione di primo grado sul tetto massimo, per ogni consigliere di Zona, che abbia partecipato alle commissioni istruttorie, di undici gettoni di presenza mensili, anche per il periodo precedente la Delib. Consiglio comunale n. 44 del 2002, che aveva disciplinato le modalità di convocazione delle Commissioni zonali e rilevazione delle presenze dei consiglieri e che aveva introdotto tale numero di gettoni, dovendo detto tetto massimo, per il periodo suddetto, essere individuato, ai sensi della L. n. 265 del 1999, art. 23 e del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 82, comma 2, nel limite di un terzo dell’indennità massima prevista per il Presidente del Consiglio di Zona in aspettativa, cosicché risultava corretto il limite massimo di undici gettoni individuato dal Tribunale.
Avverso la suddetta pronuncia, C.M. e R.R. propongono ricorso per cassazione, notificato il 13/12/2016, affidato a tre motivi, nei confronti del Comune di Milano (che resiste con controricorso e ricorso incidentale in unico motivo, notificato il 23/1/2017). I ricorrenti principali hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I ricorrenti principali lamentano: a) con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di norme di diritto in riferimento alla L. n. 265 del 1999 ed agli artt. 210, 213,115 e 116 c.p.c., in relazione al mancato accoglimento della domanda di riconoscimento del compenso dovuto fin dal 1999; b) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di norme di diritto in riferimento alla L. n. 265 del 1999 ed agli artt. 210, 213,115 e 116 c.p.c., sempre in relazione al mancato accoglimento della domanda di compenso, dovuto fin dal 1999, nella misura di Euro 22.961,95; c) con il terzo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, delle norme di diritto in riferimento alla L. n. 265 del 1999, D.Lgs. n. 267 del 2000, sempre in relazione al quantum liquidato in parziale riforma della decisione di primo grado.
2. Il Comune ricorrente incidentale lamenta, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2748 c.c. n. 4, in punto di accoglimento del motivo di appello concernente l’insussistenza dei presupposti della prescrizione quinquennale dei crediti azionati, dovendosi ai compensi erogati periodicamente (mensilmente) in oggetto attribuire natura di corrispettivo e di credito retributivo, al pari dei compensi dei parlamentari ovvero degli emolumenti dei medici specializzandi.
3. Le censure del ricorso principale, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono inammissibili.
La Corte d’appello, in relazione alle domande proposte dai consiglieri C. e R., per la loro partecipazione a commissioni (avendo gli stessi già percepito i compensi per la partecipazione ai consigli, come si evince dalla decisione impugnata), per il periodo dal luglio 1999 al maggio 2002 (avendo pacificamente il Comune di Milano cominciato ad erogare i gettoni di presenza solo dal maggio 2002, in forza di delibera del Consiglio comunale n. 44/2002), ha confermato la statuizione di primo grado in punto di mancato assolvimento degli attori all’onere probatorio agli stessi spettante, non avendo essi prodotto alcun documento attestante l’effettiva partecipazione alle commissioni istruttorie della Zona 2, respinte correttamente, per genericità, le richieste di prove orali e di esibizione documentale, ovvero fornito indicazioni in ordine alle commissioni nelle quali il singolo consigliere sarebbe stato impegnato o prodotto gli avvisi di convocazione, cosicché, non potendosi fare ricorso ad una valutazione presuntiva, in mancanza di presupposti di legge, l’unico documento utilizzabile era il n. 12 delle produzioni del Comune, avente natura di riconoscimento di debito, uno “specchietto” predisposto unilateralmente dall’Ente locale, dal quale emergeva che, nel periodo in esame, era stata riconosciuta la partecipazione, al C., a sole ventuno commissioni istruttorie, mentre, al R., a diciassette commissioni.
Le doglianze tendono, al di fuori delle prospettate violazioni di legge, ad inammissibili nuove valutazioni di merito, in ordine al quantum liquidato, perché inferiore a quanto richiesto ed agli undici gettoni mensili stimati.
Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. 20867/2020) ha da ultimo ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, “la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione” e che ” per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.”.
Nella specie, i ricorrenti, neppure considerando il ragionamento posto a base della decisione, si limitano a ribadire che sarebbe più corretta la liquidazione richiesta con la domanda introduttiva del giudizio.
4. Il ricorso incidentale, in punto di prescrizione del diritto, è inefficace.
A fronte della inammissibilità del ricorso principale, si deve invero verificare se il ricorso incidentale sia tempestivo e dunque efficace, alla luce del principio secondo cui, a norma dell’art. 334 c.p.c., comma 2, alla declaratoria di inammissibilità, per qualsiasi motivo, del ricorso principale per cassazione, segue di diritto l’inefficacia del ricorso incidentale tardivo, proposto allorché siano già scaduti, rispetto alla data di pubblicazione o notificazione della sentenza impugnata, i termini previsti dall’art. 325 c.p.c., comma 2, art. 326 c.p.c., comma 1, e art. 327 c.p.c., comma 1, senza che rilevi, in senso contrario, che lo stesso sia stato proposto nel rispetto dei termini indicati dall’art. 371 c.p.c., comma 2, di quaranta giorni dalla notificazione del ricorso principale (Cass. n. 17707/2021, Cass. n. 6077 del 2015, Cass. n. 8105 del 2006; Cass. n. 3862/2004).
Il ricorso incidentale del Comune, proposto dalla parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione principale (c.d. impugnazione incidentale in senso stretto, Cass. 5503/2002; Cass. 7049/2007; Cass. 1120/2014; Cass. SU 23903/2020), notificato il 23/1/2017, è tardivo rispetto al termine lungo semestrale, non essendo la sentenza impugnata stata notificata, di cui all’art. 327 c.p.c. essendo stata la stessa pubblicata l’8/6/2016 (cosicché il termine semestrale scadeva quindi il 9/1/2017, considerata la sospensione feriale dei termini processuali).
Come tale esso soggiace al disposto dell’art. 334 c.p.c., comma 2, essendo “subordinato” all’ammissibilità e procedibilità del ricorso principale, e va dichiarato inefficace. Ne va quindi dichiarata l’inefficacia.
6. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso principale ed inefficace il ricorso incidentale.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico solidale dei ricorrenti principali (Cass. 15220/2018: “In caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del contro ricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al “decisum” evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale”; Cass. 4074/2014).
Ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico delle sole parti ricorrenti in via principale. Invero, “il contro ricorrente, il cui ricorso incidentale tardivo sia dichiarato inefficace a seguito di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, non può essere condannato al pagamento del doppio del contributo unificato, trattandosi di sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater” (Cass. 18348/2017).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace quello incidentale; condanna i ricorrenti principali, in solido, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principali dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2021
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