Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.41732 del 28/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21843-2018 proposto da:

A.I.P.R.I.G., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato UGO DI PIETRO, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO ABBATE;

– ricorrente –

contro

G.R.D., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMILIANO MARINELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1202/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 27/12/2017 R.G.N. 2290/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/10/2021 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA MARIO, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 1202/2017, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede in data 20.5.2013, ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento orale intimato nei confronti di G.D.R. in data 21.12.2010 e, per l’effetto, ha condannato l’AIPRIG a riammettere in servizio la predetta dipendente e a risarcirle il danno commisurato alle retribuzioni maturate dal 3.1.2011 fino all’effettiva reintegrazione.

2. Il Tribunale aveva ritenuto fondata l’eccezione di decadenza, relativamente all’impugnazione del licenziamento, sollevata dall’AIRPG riconnettendo efficacia risolutiva alla lettera raccomandata, trasmessa alla lavoratrice in data 20.9.2010, recante l’intimazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovuto alla riduzione dei finanziamenti regionali del settore, la cui presunzione legale di conoscenza, in virtù dell’attestazione dell’ufficiale notificatore, era tale da superare il disconoscimento della firma operato dalla G..

3. I giudici di seconde cure, invece, premesso che l’accertamento incidentale avente ad oggetto la querela di falso proposta dalla lavoratrice aveva escluso che la sottoscrizione fosse opera grafica della stessa, hanno rilevato che la verifica della falsità non era surrogabile dalla presunzione che la lettera fosse entrata comunque nella sfera di conoscenza della destinataria in quanto i familiari, escussi in sede testimoniale, avevano dichiarato di non trovarsi in casa nella giornata del 20.9.2010; né hanno ritenuto, quale prova che la G. avesse avuto conoscenza della comunicazione del licenziamento, la nota del Sindacato CONFSAL del 19.12.2010 con la quale era stata richiesta all’azienda, anche nell’interesse della dipendente, un incontro urgente per discutere delle revoche dei licenziamenti, non risultando la prova del conferimento di alcun mandato. Esclusa la fondatezza della eccezione di decadenza, la Corte territoriale ha rilevato che l’allontanamento disposto il 21.12.2010 era da considerarsi un licenziamento orale e, pertanto, dichiarata la sua inefficacia, ha riconosciuto la riammissione in servizio e la tutela risarcitoria, pari a tutte le retribuzioni maturate, dalla messa in mora fino alla effettiva reintegrazione.

4. Per la cassazione della sentenza di secondo grado ricorre l’AIRPG con un unico motivo.

5. Resiste con controricorso G.R.D..

6. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, ai sensi del D.L. n. 137 del 2000, art. 23, comma 8 bis coordinato con la legge di conversione L. n. 176 del 2020, chiedendo l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico articolato motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonché l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per avere erroneamente ritenuto la Corte di merito surrogabile la presunzione legale di conoscenza della lettera raccomandata, ex art. 1335 c.c., dall’accertamento della falsità della sottoscrizione apposta sull’avviso di ricevimento: ciò attraverso una interpretazione illogica delle risultanze istruttorie.

2. Il ricorso non è fondato.

3. Le censure di cui al motivo di impugnazione presentano, infatti, profili di infondatezza e di inammissibilità.

4. E’ infondata l’asserita violazione dell’art. 1335 c.c. che prevede una presunzione di conoscenza (o meglio di conoscibilità) degli atti negoziali comunque superabile mediante prova contraria, come è stato accertato nella fattispecie in esame, non dando luogo la produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata ad una presunzione iuris et de iure di avvenuta ricezione dell’atto, in quanto è sempre possibile la specifica confutazione della circostanza e la prova contraria (Cass. n. 13488/2011; Cass. n. 12954/2007).

5. Nel caso de quo tale confutazione è avvenuta attraverso l’accertamento, in esito alla proposizione del giudizio della querela di falso incidentale, della falsità della sottoscrizione della G., della circostanza che i familiari di quest’ultima si trovassero, nella giornata del 20.9.2010, fuori casa (superando così l’assunto che comunque uno dei coabitanti avrebbe potuto ricevere la raccomandata) e della esclusione di una conoscenza aliunde del contenuto della lettera.

6. Sono inammissibili, invece, le dedotte violazioni dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c..

7. In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (per tutte Cass. Sez. Un. 20867/2020): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.

8. Inammissibile è anche la asserita violazione dell’art. 2697 c.c. che si ha, tecnicamente, nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 17313/2020).

9. A tale riguardo è opportuno precisare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415/2018; Cass. n. 8053/2014), per cui anche sotto questo profilo le doglianze, come articolate, non rientrano nel perimetro del vizio denunciato.

10. Alla stregua di quanto esposto il ricorso va, pertanto, rigettato.

11. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

12. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2021

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