Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.42 del 07/01/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3418-2019 proposto da:

P.O., rappresentata e difesa dall’avv. MAURIZIO BONISTALLI e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

N.C., rappresentata e difesa dall’avv. DIEGO CREMONA e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1430/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 20/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 28.5.2003 P.O. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, N.C. per sentir accertare il suo diritto di prelazione in relazione all’acquisto di un terreno da parte della convenuta, con conseguente riscatto del bene in favore di esso retraente. Si costituiva in giudizio la convenuta resistendo alla domanda ed eccependo l’assenza, in capo al P., dei requisiti per l’esercizio della prelazione agraria.

Con sentenza n. 88 del 2008 il Tribunale rigettava la domanda per carenza della qualità di coltivatore diretto in capo all’attore, compensando per intero le spese del grado.

Interponeva appello il P. e si costituiva in seconde cure la N., resistendo al gravame e spiegando appello incidentale per le spese di lite. Con la sentenza impugnata, n. 1430 del 2018, la Corte di Appello di Firenze rigettava l’impugnazione principale ed accoglieva quella incidentale, confermando il rigetto della domanda del P. e condannandolo alle spese del doppio grado di giudizio.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione P.O. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso N.C..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, artt. 8 e 31 e della L. n. 817 del 1971, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non sufficiente, ai fini del possesso della qualità di coltivatore diretto, l’attività di allevamento di equini svolta dal P. nel suo terreno.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè l’omesso esame di fatto storico decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte fiorentina avrebbe dovuto ritenere raggiunta la prova circa lo svolgimento, da parte del P., dell’attività di allevamento di equini sul terreno confinante con quello oggetto della domanda di riscatto.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili.

In materia di prelazione agraria, questa Corte ha affermato che “La qualità di coltivatore diretto legittimante alla prelazione e al riscatto agrari, va intesa in senso restrittivo ai sensi della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 31 e perciò non sussiste in capo a chi si dedica esclusivamente al governo e all’allevamento del bestiame. Infatti, pur ponendo riferimento la suddetta norma alla richiamata attività di allevamento e di governo del bestiame, l’intento del legislatore perseguito mediante la prelazione e il riscatto è quello di favorire la coltivazione di un fondo più ampio per una maggiore efficiente produzione nel caso del confinante e di un fondo col quale già sussiste una relazione nell’ipotesi del titolare di un rapporto agrario. Pertanto, la qualità di coltivatore diretto deve considerarsi attinente propriamente alla coltivazione della terra e, di conseguenza, il diritto di prelazione e riscatto è riconosciuto dall’ordinamento a condizione che il soggetto coltivi il fondo (quale proprietario o conduttore, a seconda dei due casi previsti), così rimanendo degradata l’esistenza del bestiame da allevare o da governare al rango di mera evenienza, ovvero di attività complementare alla coltivazione della terra o, comunque, aggiuntiva rispetto alla concreta coltivazione del fondo. rivelandosi, così, insufficiente, ai detti fini, l’esclusivo esercizio dell’attività di allevamento del bestiame” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28237 del 20/12/2005, Rv. 585986; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4501 del 24/02/2010, Rv. 611673; in termini analoghi, cfr. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15766 del 10/07/2014, Rv. 632082, secondo la quale “Per la legittimazione all’esercizio del retratto agrario, ai sensi della L. 26 maggio 1965, n. 590, artt. 8 e 31 la qualità di coltivatore diretto del fondo limitrofo va intesa in senso restrittivo, propriamente funzionale alla coltivazione della terra, sicchè deve escludersi in capo a chi sul fondo eserciti, in via esclusiva o assolutamente prevalente, l’attività di allevamento e governo di animali, con assoluto assorbimento delle energie lavorative, restando irrilevante che su residua parte del terreno venga svolta attività agricola senza apporto personale dei retraenti”).

In applicazione dei richiamati principi, va esclusa la qualità di coltivatore diretto in capo al soggetto che eserciti soltanto, o in forma assolutamente prevalente, l’attività di allevamento, poichè a tal fine occorre la dimostrazione circa il concorrente svolgimento anche di attività di coltivazione del fondo. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto che il P. avesse dimostrato soltanto l’attività di allevamento di puledri, e non anche quella di coltivazione del fondo. Decisivo, al riguardo, risulta il passaggio della motivazione della sentenza impugnata con cui la Corte toscana afferma che “Il ctu espressamente evidenzia nell’accertamento dell’attività, in concreto esercitata dall’attore, che “l’alimentazione degli animali è costituita essenzialmente da fieno e in parte da mangimi specifici acquistati sul mercato oltre ad aver riscontrato durante il sopralluogo una intensa attività pascolativa” (cfr. pag. 11 ctu). L’attività di allevamento cavalli appare pertanto esercitata in maniera imprenditoriale e prevalente rispetto alla coltivazione del fondo su cui, come dichiarato dai testi di parte convenuta, cresce erba naturale di cui si nutrono i cavalli” (cfr. pag. 8 della sentenza). Sulla base di questi elementi di fatto, e della concorrente circostanza che “… le dichiarazioni testimoniali in atti fanno riferimento all’esercizio di attività agricola non già a data antecedente l’esercizio della domanda di prelazione ma all’attualità ovvero, più precisamente, al momento in cui le dichiarazioni testimoniali vengono rese” (cfr. ancora pag. 8 della sentenza) la Corte di seconda istanza ha ritenuto non conseguita la prova della sussistenza, in capo all’appellante, della qualità di coltivatore diretto, facendo corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte.

Da quanto precede deriva pertanto l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472