LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23658-2019 proposto da:
I.J., rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA LOMBARDI BAIARDINI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE;
– intimata –
avverso il decreto del TRIBUNALE di PERUGIA depositato il 11/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/07/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, cittadino della Sierra Leone, interponeva ricorso avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze, sezione di Perugia, con il quale gli era stato negato l’accesso alla protezione internazionale e umanitaria.
Con il decreto impugnato il Tribunale di Perugia rigettava il ricorso.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione I.J. affidandosi ad un unico motivo.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3,8 e 32, del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5,18 e 19, del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, del D.Lgs. n. 24 del 2014, art. 8 nonchè l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 perchè il Tribunale avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria.
La doglianza è inammissibile.
Il ricorrente aveva dedotto di essersi allontanato dal proprio Paese in conseguenza dell’epidemia di Ebola scoppiata in quella zona; di essersi recato in Libia, ove era stato torturato e venduto; di esser riuscito a fuggire e di esser giunto in Italia.
Il Tribunale ha ritenuto tale storia non idonea ai fini del riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria invocata dal richiedente in quanto l’emergenza sanitaria legata all’epidemia di Ebola in ***** è ormai venuta meno (cfr. pag.5 del decreto, in nota). Ha inoltre respinto la domanda di protezione umanitaria ritenendo insussistente, all’esito della valutazione comparativa delle condizioni di vita in Italia e in *****, il pericolo di compromissione dei diritti fondamentali della persona in caso di rientro, evidenziando anche che il richiedente non aveva prodotto alcun elemento a riprova di una sua eventuale integrazione in Italia. Il ricorrente non censura in modo specifico i richiamati passaggi della motivazione della motivazione della decisione impugnata, limitandosi ad una generica censura della decisione del giudice di merito e pertanto proponendo, in sostanza, una inammissibile istanza di revisione del giudizio di fatto di appannaggio del predetto giudice.
Anche con riferimento alle vicende patite dal richiedente durante la sua permanenza in Libia, che non sono state considerate dal provvedimento del Tribunale umbro, il ricorrente non allega alcuna conseguenza attuale sulla sua persona che possa essere idonea a configurare un profilo di vulnerabilità rilevante ai fini della protezione umanitaria. A tal proposito, va ribadito il principio per cui “Nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione” (Cass. Sez.6-1, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018, Rv. 651868). Occorre infatti la specifica allegazione, da parte del richiedente la protezione umanitaria, che le violenze subite nel Paese di transito abbiano ingenerato nella sua persona un forte grado di traumaticità, tale da rilevare – sotto specifici profili che il richiedente stesso ha l’onere di dedurre e, ove possibile, documentare – sulla condizione di vulnerabilità della persona” (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13096 del 15/05/2019, Rv. 653885, che ha riconosciuto la rilevanza dei detti eventi in relazione alla vicenda di una donna che aveva subito ripetute violenze sessuali nel corso della sua biennale permanenza in Libia).
Da quanto precede deriva l’inammissibilità del ricorso.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 13 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021