LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3485-2019 proposto da:
S.G. e M.E., rappresentate e difese dall’avv. CARLO PARISI e domiciliate presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrenti –
contro
M.P., rappresentata e difesa dall’avv. EMILIA ABATE e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2343/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 4.6.2009 S.G. e M.E. evocavano in giudizio innanzi il Tribunale di Napoli M.P., invocando la revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3, della sentenza n. 13897/2000 del medesimo Tribunale, alla luce della scoperta, in data 7.5.2009, di un documento decisivo, rappresentato da una dichiarazione avente ad oggetto il riconoscimento del negozio dissimulato di donazione, in luogo di quello simulato di compravendita, che aveva costituito oggetto del giudizio deciso con la richiamata sentenza. Si costituiva in giudizio la. convenuta resistendo alla domanda.
Concessi i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, il Tribunale rilevava d’ufficio la mancata produzione in atti del giudizio della copia autentica della decisione impugnata e sottoponeva alle parti la questione, fissando apposita udienza, all’esito della quale la causa veniva ulteriormente rinviata per la discussione e quindi decisa nelle forme di cui all’art. 281 sexies c.p.c., con declaratoria di improcedibilità della domanda.
Interponevano appello avverso detta decisione le originari attrici e si costituiva in seconde cure, per resistere al gravame, M.P.. Con la sentenza impugnata, n. 2343 del 2018, la Corte di Appello di Napoli rigettava l’impugnazione e condannava le appellanti alle spese del grado.
Propongono ricorso per la cassazione di tale decisione S.G. è M.E. affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso M.P..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 281 sexies c.p.c., degli artt. 24 e 111Cost., degli artt. 13-61 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di rilevare l’errore del Tribunale, il quale non aveva concesso alle parti un rinvio per la discussione della causa, emettendo decisione “a sorpresa”.
La censura è infondata. Lo stesso ricorrente afferma (cfr. pagg. 2 e 3 del ricorso) che il giudice di primo grado aveva prima invitato le parti a dedurre sulla questione della mancata produzione della copia autentica della sentenza oggetto di impugnazione per revocazione e poi, all’esito dell’udienza appositamente fissata per tale contraddittorio, rinviato la causa per la discussione orale. Non si configura, quindi, alcuna violazione della norma di cui all’art. 101 c.p.c., poichè il giudice, dopo aver rilevato d’ufficio una questione potenzialmente decisiva, la ha sottoposta al contraddittorio delle parti fissando, a tal fine, un’apposita udienza. Solo all’esito di tale contraddittorio, la causa è stata rinviata per la discussione a successiva udienza. Ne consegue che neppure sussiste alcun diritto della parte comparsa all’udienza già fissata per la discussione di ottenere un ulteriore rinvio, posto che tale facoltà è riconosciuta, – come correttamente è stato evidenziato dalla Corte di Appello di Napoli – per il solo caso in cui il giudice inviti le parti alla precisazione immediata delle conclusioni e alla discussione orale della causa, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., nel corso di una udienza non precedentemente fissata per tali specifiche attività, e non anche laddove – come nel caso di specie – la causa sia stata invece espressamente rinviata ad apposita udienza per la discussione. In tal caso, infatti, le parti sono onerate, nel rispetto del criterio generale di diligenza, ad intervenire all’udienza appositamente ‘fissata per la discussione per ivi esercitare compiutamente, appunto attraverso la discussione orale della causa, il loro diritto di difesa, nei modi previsti dall’art. 281 sexies c.p.c. Giova, al riguardo, ribadire che “In caso di decisione della causa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., la facoltà della parte di richiedere un differimento dell’udienza di discussione, che trova fondamento nella tutela del diritto di difesa, è parimenti soddisfatta dalla fissazione officiosa di apposita udienza per la trattazione orale, in esito alla quale la parte non ha diritto ad un ulteriore rinvio, a nulla rilevando la mancata acquisizione, all’udienza precedente, delle conclusioni rassegnate, in quanto l’omissione di tale attività processuale (che si compendia nella mera sintesi delle domande, delle difese e delle eccezioni proposte) può dar luogo ad una nullità processuale solamente qualora la parte interessata deduca la specifica lesione di un interesse sostanziale” (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22521 del 24/09/2018, Rv. 650492; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6205 del 13/03/2009, Rv. 607208).
Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la Corte partenopea avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con cui le odierne ricorrenti avevano dedotto la mancata contestazione, da parte convenuta, odierna controricorrente, della conformità della copia semplice della sentenza da loro prodotta in atti del giudizio di merito.
Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano il vizio di motivazione, in relazione. all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè il giudice di merito non avrebbe reso adeguata motivazione in merito ai motivi di appello.
Con il quarto motivo le ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., perchè la Corte campana non avrebbe ravvisato una illecita compressione dei diritti di azione e difesa in giudizio, e dei principi del cd. giusto processo, in presenza di un documento che non era stato debitamente contestato dall’odierna controricorrente.
Le tre censure, che meritano un esame congiunto per la loro intima connessione, sono inammissibili. Le ricorrenti, invero, richiamano la giurisprudenza che esclude la sanzione dell’improcedibilità dell’impugnazione qualora, anche in caso di mancato deposito della copia autentica della sentenza impugnata a cura della parte che propone il gravame, la copia stessa sia comunque presente nel fascicolo di ufficio perchè depositata dall’altra parte. Invero, quella giurisprudenza non è conferente al caso di specie, poichè essa presuppone comunque l’esistenza, agli atti del giudizio, della copia autentica del provvedimento impugnato, cosa che – nel caso di specie – non ricorre. Neppure è conferente il richiamo, eseguito dalle ricorrenti, alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui la mancata produzione dell’originale dell’atto di citazione in revocazione nel termine di venti giorni previsto dall’art. 399 c.p.c. costituisce una mera irregolarità, suscettibile di sanatoria mediante il deposito dell’atto all’udienza di comparizione, poichè a tale conclusione si è pervenuti esclusivamente sulla base del rilievo che la norma in esame non prevede espressamente la necessità che il deposito dell’atto introduttivo avvenga in originale (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3691 del 15/02/2011, Rv. 617295). Al contrario, l’art. 399 c.p.c., comma 1, prevede espressamente che unitamente alla citazione introduttiva del giudizio di revocazione l’attore debba depositare “… a pena di improcedibilità… la copia autentica della sentenza impugnata”; dal che discende che, per argomento a contrario,, proprio il precedente invocato dalle ricorrenti conferma l’infondatezza della tesi da queste ultime prospettata. La norma, infatti, prevede chiaramente che, a pena di improcedibilità, la parte che agisce per revocazione debba depositare, entro – venti giorni dalla notificazione, l’atto introduttivò (non necessariamente in originale) unitamente alla copia autentica della sentenza impugnata.
La mancata produzione della copia autentica della sentenza impugnata per revocazione non ammette dunque equipollenti ò e comporta ope legis l’improcedibilità dell’impugnazione (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 3268 del – 07/02/2017 Rv. 642753 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16237 del 29/10/2003, Rv. 567775).
Da quanto precede discende che non si configura alcuna omessa pronuncia sul motivo di appello concernente la non contestazione, da parte del convenuto in revocazione, della copia semplice della sentenza impugnata prodotta dall’attore. Posta l’esistenza dell’obbligo dell’attore di depositare la copia autentica della decisione soggetta al gravame, espressamente previsto dalla legge processuale a pena di improcedibilità, ed a fronte dell’esclusione di qualsiasi equipollente, è evidente che l’intera tesi delle odierne ricorrenti è stata disattesa dalla Corte partenopea, la quale ha fatto buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
– Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 20 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021