Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.44 del 07/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4177-2019 proposto da:

M.L., e C.L., rappresentati e difesi dall’avv. DARIO CONGEDO e domiciliati presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

N.V., rappresentato e difeso dall’avv. FABRIZIO LICCHETTA e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 757/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 11/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 25.2.2010 N.V. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Tricase, C.L. e M.L., invocandone la condanna al pagamento della provvigione maturata dall’attore in veste di procacciatore di affari, in dipendenza della procurata compravendita di un immobile di proprietà dei convenuti sito in territorio del Comune di *****. Si costituivano i convenuti resistendo alla domanda ed invocandone il rigetto.

Con sentenza n. 4246/2014 il Tribunale rigettava la domanda condannando l’attore alle spese del grado.

Interponeva appello il N. e si costituivano in seconda istanza il C. e la M., resistendo al gravame. Con la sentenza impugnata, n. 757 del 2018, la Corte di Appello di Lecce accoglieva l’impugnazione, determinando la provvigione dovuta all’appellante e condannando gli appellati al relativo pagamento, nonchè alla metà delle spese del doppio grado, che venivano compensate per la restante metà.

Propongono ricorso per la cassazione di tale decisione C.L. e M.L. affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso N.V..

Il controricorrente ha depositato memoria pervenuta in data 16.11.2020, e dunque fuori termine.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per erronea qualificazione del rapporto intercorso tra le parti in termini di procacciamento di affari.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. perchè la Corte di Appello avrebbe apprezzato in modo erroneo le risultanze dell’istruttoria esperita nel giudizio di merito, senza considerare in particolare i vincoli che legavano i testimoni N. e F. all’odierno controricorrente.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., perchè la Corte pugliese avrebbe apprezzato in modo non adeguato le risultanze istruttorie, ritenendo sussistente il diritto al compenso del N. in assenza di prova circa l’effettivo ruolo di procacciatore di affari da questi allegato, ed in assenza di un’attività causalmente idonea ad agevolare la conclusione del contratto di compravendita dell’immobile dei ricorrenti.

Le tre censure, che per la loro intima connessione meritano un esame congiunto, sono inammissibili.

I ricorrenti, invero, invocano una revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Inoltre, contestano l’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuto dal giudice di merito, senza tener conto del principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).

Inoltre, il primo motivo appare anche inammissibile per carenza di idoneo interesse all’impugnazione. Con esso, infatti, i ricorrenti non mirano a contestare l’effettivo svolgimento dell’attività di intermediazione da parte del N., ma ne prospettano l’inquadramento sub specie di mediazione, sul presupposto che l’azione dell’intermediario, pur essendosi prodotta sulla base di un originario incarico conferito da una delle due parti, sia stata poi di fatto accettata dall’altra parte, che avendone profittato sarebbe responsabile del pagamento della provvigione.

Anche ammettendo che la doglianza (la quale, peraltro, non è neppure assistita dalla necessaria specificità, posto che essa non risulta esser mai stata posta nel corso del giudizio di merito, ed i ricorrenti non si curano di dare atto del momento processuale nel quale essa sarebbe stata sollevata) fosse fondata, gli odierni ricorrenti sarebbero comunque vincolati al pagamento del compenso in favore dell’intermediario, a prescindere dalla qualificazione del rapporto in termini di procacciamento di affari o di mediazione. Il solo effetto della configurazione di un rapporto di mediazione, invero, sarebbe rappresentato dalla responsabilità solidale di ambedue le parti intermediate per il pagamento della provvigione del mediatore, ma ciò non si tradurrebbe in alcun vantaggio sostanziale per gli odierni ricorrenti, la cui obbligazione di pagamento rimarrebbe stabile anche in caso di accoglimento della censura in esame.

Sotto questo profilo, pertanto, va ribadito che “L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice poichè il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore senza che siano ammissibili questioni di interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28405 del 28/11/2008; Rv. 605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15355 del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 2051 del 27/01/2011, Rv. 616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012, Rv. 622515). Infatti “… il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27151 del 23/12/2009, Rv.611498).

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021

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