LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29287-2016 proposto da:
AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE – ASST – MONZA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO CHIODA;
– ricorrente –
contro
I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati GIANDOMENICO CATALANO, LORELLA FRASCONA’, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 538/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/06/2016 R.G.N. 1316/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/10/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato MARCO VINCENTI;
udito l’Avvocato GIANDOMENICO CATALANO.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 27 giugno 2016, la Corte d’appello di Milano, accogliendo l’impugnazione proposta dall’Inail avverso la sentenza del Tribunale di Monza, ha rigettato il ricorso proposto dall’Azienda ospedaliera Ospedale “San Gerardo dei Tintori” volto alla declaratoria di inefficacia del certificato di variazione del 23 luglio 2010, relativo alla posizione assicurativa dell’Azienda ospedaliera, ed all’accertamento che nulla era dovuto all’Istituto a titolo di premi assicurativi per la copertura degli infortuni dei medici specializzandi nel periodo dal primo gennaio 2006 al 31 dicembre 2009.
2. Ad avviso della Corte territoriale, la questione doveva essere risolta prendendo le mosse dal testo del combinato disposto del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 37, comma 2 e art. 41. Quest’ultima disposizione poneva in capo all’Azienda sanitaria, presso la quale si svolge l’attività formativa e che della stessa è responsabile, l’obbligo assicurativo dei rischi professionali alle stesse condizioni previste per i propri dipendenti. Ciò in ragione del tipo di attività svolta dal medico specializzando, che è per metà di tipo pratico, esposta dunque al medesimo tipo di rischio professionale svolto dai dipendenti e ciò sin dalla data di entrata in vigore della L. n. 368 del 1999.
3. Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione l’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale – ASST – Monza sulla base di un motivo, illustrato da successiva memoria. Resiste l’INAIL con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 41. La ricorrente, in sostanza, critica l’interpretazione della disposizione adottata dalla sentenza impugnata in quanto la ritiene debolmente ancorata al dato meramente letterale della necessità di assicurare i medici specializzandi “alle stesse condizioni del proprio personale”, senza considerare che la categoria del “personale” non è dirimente trattandosi di categoria eterogenea riconducibile a numerose fattispecie lavorative regolate da differenti istituti e rapporti contrattuali. A tali rapporti corrispondono diverse discipline assicurative (pubbliche o private) e la finalità della disposizione sarebbe quella di garantire il rispetto delle medesime condizioni normative, mantenendo le caratteristiche di ciascun tipo di rapporto e senza con ciò imporre lo schema dell’assicurazione pubblica.
5.In definitiva, si deduce che qualora la legge avesse voluto imporre l’obbligo della copertura INAIL lo avrebbe detto esplicitamente; inoltre, la disposizione in esame richiama altre forme di assicurazione private e risponde ad un principio fondamentale dell’attività economica svolta dalle aziende sanitarie, quello di ricercare le migliori offerte nei limiti della legge sugli appalti pubblici, legge di difficile applicazione nei riguardi dell’INAIL.
Quanto ai medici specializzandi, in particolare, si tratterebbe di soggetti non legati all’Azienda ospedaliera da alcun rapporto giuridico, avendo gli stessi stipulato un contratto di formazione specialistica con l’Università di riferimento che eroga il trattamento economico ed ha l’obbligo di assicurazione presso INAIL per l’attività di pura formazione, attraverso una sorta di sdoppiamento delle tutele. La stessa “mobilità” che caratterizza l’attività assistenziale dei medici specializzandi renderebbe evidente l’impercorribilità della tesi sostenuta dalla sentenza impugnata; nè tali medici potrebbero essere considerati alla stregua degli studenti di cui al D.P.R n. 1124 del 1965, art. 4 trattandosi di medici abilitati all’esercizio della professione, come affermato anche dalla disciplina Eurounitaria. Le esigenze poste dalla disposizione in commento, dunque, possono essere soddisfatte integralmente solo attraverso la stipula di polizze assicurative private, come quella in concreto stipulata dalla stessa ricorrente, che risultano rapportate solo alla base numerica degli assicurati ed a prescindere dalla retribuzione erogata e dalla localizzazione della prestazione assicurata.
6. Il motivo è infondato. E’ opportuno ricordare il testo, nella formulazione vigente ratione temporis, del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 41 (Attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/) della cui interpretazione si discute: “(…) 2. A decorrere dall’anno accademico 2006-2007, ai contratti di formazione specialistica si applicano le disposizioni di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26, primo periodo, nonchè le disposizioni di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 45 convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326.
3. L’azienda sanitaria presso la quale il medico in formazione specialistica svolge l’attività formativa provvede, con oneri a proprio carico alla copertura assicurativa per i rischi professionali, per la responsabilità civile contro terzi e gli infortuni connessi all’attività assistenziale svolta dal medico in formazione nelle proprie strutture, alle stesse condizioni del proprio personale.”
7. Come si evince dalla lettura della disposizione, il contratto di formazione specialistica in parola (che non dà luogo a un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, nè è riconducibile alle ipotesi di para subordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge (v. Cass., 19/11/2008, n. 27481, Cass., 22/09/2009, n. 20403, Cass., 27/07/2017, n. 18670) è oggetto di specifica regolamentazione dal punto di vista previdenziale.
Punto centrale della ratio legis è la necessità di attrarre l’attività dei medici in formazione specialistica all’interno di un’area di piena copertura assicurativa che si rapporta in modo differenziato, distinguendo tra l’assicurazione obbligatoria per l’anzianità e l’invalidità e l’assicurazione per i rischi connessi alla concreta attività svolta.
8. La legge ha infatti previsto l’obbligo per l’Università che stipula il contratto formativo, considerata ai fini previdenziali alla stregua del committente nei rapporti di para subordinazione, di effettuare il versamento della contribuzione dovuta in favore del medico specializzando, presso la gestione separata dell’Inps di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, in relazione all’assicurazione per invalidità e vecchiaia.
Al contempo, è previsto a carico dell’azienda presso la quale è resa la prestazione assistenziale l’obbligo di assicurazione per i rischi professionali, per la responsabilità civile contro terzi e per infortuni.
8. Significativamente, la disposizione pone l’accenno, quanto a tale ultimo aspetto della copertura assicurativa, sul soggetto responsabile del luogo presso cui lo specializzando espleta l’attività formativa assistenziale che, evidentemente, non può che essere una azienda ospedaliera.
Può, quindi, affermarsi che il contesto ambientale al cui interno si colloca l’attività di concreta formazione è considerato dalla legge come elemento caratterizzante della imposizione dell’obbligo di assicurare sotto il profilo attivo (per i rischi causati) e passivo (per i danni subiti) l’attività svolta dal medico specializzando. E’ dunque l’azienda sanitaria, quale titolare della complessiva organizzazione al cui interno si inserisce l’attività degli specializzandi, che è indicata quale destinataria di tali obblighi assicurativi, così realizzandosi una sorta di sdoppiamento quanto al soggetto assicurante, rispetto alla disciplina della copertura assicurativa per l’invalidità e la vecchiaia che attiene a tutele del tutto esterne allo specifico ambiente di lavoro.
9. Il legislatore, comunque, quanto a tali ultimi profili, ha chiaramente indicato la propria volontà di assoggettare l’attività di cui si parla (di natura certamente sui generis dal punto di vista del rapporto collaborativo con l’amministrazione universitaria e sanitaria), quanto agli aspetti strettamente previdenziali, al sistema pubblico gestito dall’INPS in evidente relazione con l’adempimento degli obblighi imposti allo Stato dall’art. 38, comma 2, della Costituzione ed alla sua vocazione universalistica.
In altri termini, la disposizione in esame è norma di chiara estensione di tutele assicurative in favore dei medici in formazione specialistica ed in tale contesto pare del tutto improvvido il richiamo a logiche puramente economiche di risparmio di spesa, invocate dalla ricorrente a sostegno della propria tesi, trattandosi di criteri interpretativi del tutto recessivi rispetto al reale intento della legge.
10. Tale necessaria relazione sistematica con il centrale principio costituzionale della universalizzazione delle tutele, fa sì che la posizione dei medici specializzandi, all’interno dell’unico ambiente ospedaliero ove opera il resto del personale sanitario appartenente alla medesima azienda sanitaria, non possa sfuggire alla copertura assicurativa pubblica nel campo infortunistico, la cui gestione è affidata all’Inail.
Ciò discende, a ben vedere, dalla centralità che ha assunto, all’interno del sistema dell’assicurazione obbligatoria per gli infortuni, il principio del rischio professionale assicurato così come interpretato alla luce dell’art. 38 Cost., con il necessario superamento della logica strettamente assicurativa della semplice traslazione del rischio che caratterizzava la materia prima dell’era costituzionale. Da ciò si trae l’indicazione interpretativa secondo la quale la disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 398 del 1999, art. 41, comma 3 non può che essere intesa come obbligo di assicurare i medici specializzandi presso l’INAIL, ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 4.
11. Già Corte costituzionale n. 160 del 1974 ebbe modo di chiarire, a proposito del contenuto dell’art. 38 Cost., comma 2, e della differenza ontologica tra il sistema delle assicurazioni private e quello delle assicurazioni pubbliche, che “(…) la natura, la funzione e lo stesso rapporto che sta alla base delle assicurazioni sociali sono sostanzialmente diversi dalle assicurazioni private, anche se hanno in comune alcuni caratteri generali. Netto, proprio per il disposto dell’art. 38 Cost., il distacco tra assicurazioni private e assicurazioni sociali, sia in relazione ai fini, sia in relazione ai soggetti (…) La natura delle assicurazioni sociali è tipicamente pubblicistica e gli organi che, per legge, ad esse presiedono, sono chiamati a provvedere ai compiti che la Costituzione affida, in via primaria allo Stato, che è tenuto a garantire alle categorie dei cittadini presi in considerazione dalla norma costituzionale e col verificarsi delle condizioni in essa previste, i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita. L’assicurazione privata gravità intorno ad un’impresa, che, nelle ben precise regole tecnico- organizzative della copertura del rischio, tiene conto di un quid destinato a rappresentare l’utile dell’impresa. L’utile d’impresa è un fattore estraneo alle assicurazioni sociali, anche se la loro struttura tecnico-organizzativa tiene conto di alcuni fattori propri dell’impresa privata.
Nell’assicurazione privata all’assicurato, o a chi per lui si obbliga, compete l’onere del pagamento del premio; nell’assicurazione sociale l’obbligo di pagare i contributi assicurativi grava di regola su persona diversa dall’assicurato, nè il pagamento dei contributi condiziona il diritto alla prestazione; nè, d’altra parte, la persona tenuta al pagamento dei contributi ha un qualche diritto nei confronti dell’ente assicuratore. Fine precipuo delle assicurazioni sociali, invece, è quello di garantire ai beneficiari la sicurezza del soddisfacimento delle necessità di vita a seguito della cessazione o riduzione dell’attività lavorativa o per vecchiaia, o per infortunio, o per malattia o per invalidità, o per disoccupazione involontaria”.
11. Dunque, pur se è vero che la norma costituzionale lascia piena libertà allo Stato di scegliere i modi, le forme, le strutture organizzative che ritiene più idonee e più efficienti allo scopo, non può essere revocato in dubbio, continua la Corte costituzionale cit. “…che la scelta di essi deve essere tale da costituire piena garanzia, per i lavoratori, al conseguimento delle previdenze alle quali hanno diritto, senza dar vita a squilibri e a sperequazioni, non razionalmente giustificabili, fra categorie e categorie. Lo Stato ha scelto, o meglio ha mantenuto, per un criterio tecnico organizzativo, la forma assicurativa, ma ciò non comporta che questa necessariamente debba sottostare alle regole, ai limiti e ai criteri informatori propri delle assicurazioni private, il che porterebbe a snaturare il carattere pubblicistico del rapporto e la collocazione costituzionale della previdenza sociale”.
12. Nel caso in esame è evidente l’intento della legge di apprestare tutela assicurativa in favore dei medici specializzandi secondo lo schema tipico dell’assicurazione pubblica gestita dall’Inail, trattandosi di obbligo imposto all’azienda sanitaria, soggetto diverso dall’assicurato destinatario della protezione costituzionale, all’interno della cui organizzazione produttiva si espleta l’attività formativa che genera il rischio di lesione dell’integrità fisica e che deve trovare protezione in forma egualitaria rispetto al personale della stessa Azienda.
Tali necessari obiettivi che la disposizione in commento pone, inducono inequivocabilmente a ritenere che l’assicurazione da stipulare sia quella pubblica, essendo non raggiungibili attraverso la stipula di assicurazioni private.
13. Del resto, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (vd. Cass. n. 10933 del 7 novembre 1997) ha messo in evidenza la estraneità, nella materia della protezione sociale cui lo Stato è obbligato, dello schema assicurativo di natura privatistica rispetto alla struttura del sistema assicurativo pubblico: l’obbligazione di versare i contributi e quella di erogare prestazioni previdenziali non sono configurabili come obbligazioni corrispettive, per il motivo fondamentale che ambedue sono imposte unicamente ed immediatamente per la soddisfazione di un interesse pubblico, e non realizzano la composizione di un conflitto di interessi tra i soggetti obbligati.
14. Anche per tale ragione non pare percorribile l’indagine di una sostanziale possibile equivalenza tra assicurazione privata ed assicurazione pubblica nel caso di infortunio quanto al livello di tutela derivante ai medici specializzandi.
Si tratta, in definitiva, di ipotesi, quanto ai soggetti assicurati, pienamente riconducibile alla previsione del T.U. D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 4, n. 5 secondo cui vanno assicurati, fra gli altri,” (…) gli allievi dei corsi di qualificazione o riqualificazione professionale (…) comunque istituiti o gestiti” in relazione all’attività.
15. Il ricorso va, quindi, rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 4000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi; spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021