LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Presidente –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2395-2014 proposto da:
C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA N. 334, presso lo studio dell’avvocato CARLO FERRUCCIO LA PORTA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FEDERICO MAVILLA;
– ricorrente –
contro
– RANDSTAD ITALIA spa, incorporante di OBIETTIVO LAVORO – AGENZIA PER IL LAVORO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio dell’avvocato ENRICO CICCOTTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA FORTUNAT;
– AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE DELLA VALLE D’AOSTA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 10, presso lo studio dell’avvocato ENRICO DANTE, rappresentata e difesa dall’avvocato IGNAZIO PAGANI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 972/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 29/10/2013 R.G.N. 1311/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/10/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO, che ha concluso per accoglimento parziale del terzo e del quarto motivo;
udito l’Avvocato CARLO FERRUCCIO LA PORTA;
udito l’Avvocato ENRICA DUMONTEL, per delega Avvocato IGNAZIO PAGANI;
udito l’Avvocato ANDREA MUSTI, per delega verbale Avvocato ANDREA FORTUNAT.
FATTI DI CAUSA
1. con sentenza in data 29 ottobre 2013 n. 972 la Corte d’appello di Torino, per quanto ancora in discussione:
-confermava la sentenza del Tribunale di Aosta, nella parte in cui: aveva dichiarato la illegittimità dei cinque contratti di somministrazione a termine in forza dei quali il lavoratore C.D. veniva assunto da OBIETTIVO LAVORO AGENZIA per il Lavoro spa (in prosieguo: OBIETTIVO LAVORO) ed utilizzato presso la AUSL VALLE D’AOSTA (in prosieguo: AUSL) dal 3 gennaio 2005 al 31 dicembre 2009; aveva respinto la domanda di costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la AUSL utilizzatrice;
– riformava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva condannato la AUSL al risarcimento del danno, rigettando la domanda.
2. La Corte territoriale, ritenuta la illegittimità dei contratti per difetto di specificità della causale, affermava essere ostative alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego con la AUSL le previsioni dell’art. 97 Cost. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 35 e 36.
3. Accoglieva l’appello della AUSL avverso la condanna al risarcimento del danno, osservando che il danno avrebbe dovuto essere allegato e provato dal lavoratore, il che nella fattispecie di causa non era avvenuto.
4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza C.D., articolato in tre motivi, cui hanno opposto difese la AUSL e la società OBIETTIVO LAVORO.
5. La causa già chiamata alla camera di consiglio del 28 novembre 2019 – in relazione alla quale depositavano memoria il ricorrente e la AUSL – è stata rinviata a nuovo ruolo ed è stata discussa in pubblica udienza.
6. Tutte le parti hanno depositato memoria. Per la agenzia di somministrazione la memoria è stata depositata dalla società RANDSTAD ITALIA spa, incorporante la società OBIETTIVO LAVORO.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Si premette che restano definitivi, in quanto non impugnati, tanto la statuizione di illegittimità dei cinque contratti di somministrazione a termine, per la genericità delle rispettive causali, che il rigetto delle domande di assunzione e di risarcimento del danno proposte nei confronti di OBIETTIVO LAVORO, poi RANDSTAD spa.
2. Con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione: dell’art. 3 Cost., art. 10 Cost., comma 1 e art. 117 Cost., comma 1; della clausola 4 dell’accordo quadro Europeo recepito dalla direttiva 1999/70/CE; degli artt. 1, 2, e 3 paragrafo 1, della direttiva 2000/43/CE; degli artt. 1, 2 e 3 paragrafo 1 della direttiva 2000/78/CE; degli artt. 1 e 4, paragrafo 1 della direttiva 2006/54/CE; del D.Lgs. n. 315 del 2003, art. 3, D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 3D.Lgs. n. 198 del 2006, art. 27.
3. La censura afferisce al rigetto della domanda di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la AUSL; il ricorrente ha dedotto la contrarietà della statuizione alla clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 199/70/CE ed alle direttive antidiscriminatorie, assumendo che la soluzione accolta nella sentenza impugnata produrrebbe una illegittima discriminazione del dipendente pubblico rispetto al lavoratore del settore privato in ordine alle tutele applicabili.
4. Il motivo è infondato.
5. Secondo il costante orientamento di questa Corte- confermato in fattispecie di illegittimo utilizzo di contratti di somministrazione a termine da Cass. sez. lav. ord. 16 gennaio 2019 n. 992 – nel lavoro pubblico contrattualizzato è esclusa la possibilità di far derivare dalla nullità o comunque dalla illegittimità dell’utilizzo di forme di impiego flessibili la conversione del rapporto a tempo indeterminato. La normativa sul lavoro flessibile alle dipendenze della pubblica amministrazione si è infatti mossa costantemente lungo una direttrice di fondo segnata dall’esigenza costituzionale di conformità al canone espresso dall’art. 97 Cost., u.c., che prescrive che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge (vedi, per tutte: Cass. SU 15 marzo 2016, n. 5072).
6. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 attua tale principio costituzionale escludendo la possibilità di costituire rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni in ogni ipotesi di violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle medesime amministrazioni. La disposizione si trova ribadita in riferimento alla somministrazione di lavoro dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 86, comma 9, a tenore del quale: “La previsione della trasformazione del rapporto di lavoro di cui all’art. 27, comma 1, non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni”.
7. Identico regime deve applicarsi, a norma del D.Lgs. 165 del 2001, art. 36 nelle fattispecie in cui la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore discenda dalla nullità per vizi di forma del contratto di somministrazione, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, comma 4.
8. Non si ravvisa il dedotto contrasto con la direttiva Europea 1999/70/CE e con il principio generale di non discriminazione.
9. Premesso che la direttiva Europea 1999/70/CE non è applicabile al contratto di somministrazione a termine, disciplinato, invece, dalla direttiva 2008/104/CE (Corte di Giustizia UE 11 aprile 2013, in causa C 290/2012 DELLA ROCCA; sentenza 3 luglio 2014, nelle cause riunite C362/13, C-363/13 e C-407/13, punto 33), va comunque evidenziato che il principio generale di non discriminazione è concretizzato: dalla direttiva 1999/70/CE sul lavoro a termine nella non discriminazione dei lavoratori a termine rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili; dalla direttiva 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia interinale nella non discriminazione dei lavoratori tramite agenzia interinale rispetto ai dipendenti diretti della stessa impresa utilizzatrice. Non è dunque previsto dalle fonti Europee un principio di parità di trattamento del lavoro flessibile nell’impiego pubblico e nell’impiego privato.
10. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2 e art. 36, commi 2 e 5, e della clausola 5 dell’accordo quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE, assumendo che la prova del danno, posta a carico del lavoratore nella sentenza impugnata, avrebbe reso impossibile – o comunque eccessivamente difficile – l’esercizio del suo diritto.
11. Il motivo è fondato.
12. La questione di causa è già stata affrontata da questa Corte con ordinanza del 16 gennaio 2019 nr 992, nella quale è stato enunciato il seguente principio di diritto: “nel lavoro pubblico contrattualizzato, in conformità con il canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13) e con i principi enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 5072 del 2016, ai fini del risarcimento del danno spettante al lavoratore nell’ipotesi di illegittima o abusiva reiterazione di contratti di somministrazione di lavoro a termine, deve farsi riferimento alla fattispecie di portata generale di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, da configurare come corrispondente ad un danno presunto, con valenza sanzionatoria qualificabile come danno comunitario, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, che non può comunque farsi derivare dalla perdita del posto (in assenza di una assunzione tramite concorso ex art. 97 Cost., u.c.). Ciò non dà luogo ad una posizione di favore del dipendente pubblico rispetto al lavoratore privato, atteso che per il primo l’indennità forfetizzata agevola l’onere probatorio del danno subito pur rimanendo salva la possibilità di provare un danno maggiore mentre per il lavoratore privato essa funge da limite al danno risarcibile, ma questa restrizione è bilanciata dal diritto alla conversione del rapporto di lavoro, insussistente nel lavoro pubblico”.
13.Tale principio deve essere in questa sede ribadito, per le ragioni di seguito esposte.
14. Sul piano Europeo la somministrazione di lavoro è stata disciplinata, come si è detto, con la direttiva 2008/104/CE, entrata in vigore il 5 dicembre 2008, giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (art. 13 della direttiva). Il termine ultimo per il recepimento fissato agli Stati membri era il 5 dicembre 2011 (art. 11 della direttiva); alla trasposizione della direttiva nell’ordinamento interno ha provveduto il D.Lgs. 2 marzo 2012, n. 24.
15. La disposizione qui rilevante è quella dell’art. 5, par. 5, primo periodo, della direttiva, a tenore del quale “gli Stati membri adottano le misure necessarie, conformemente alla legislazione e/o le pratiche nazionali, per evitare il ricorso abusivo all’applicazione del presente articolo e, in particolare, per prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della presente direttiva”.
16.La Corte di giustizia UE, sez. II, 14 ottobre 2020, causa C681/18, ha interpretato detta disposizione nel senso che essa “osta a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, nonchè ad una normativa nazionale che non preveda alcuna misura al fine di evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme”. A tale riguardo la Corte di Giustizia ha precisato che la direttiva 2008/104/CE è finalizzata anche a far sì che gli Stati membri si adoperino affinchè il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente per un lavoratore tramite agenzia interinale (sentenza cit., punto 60).
17. Occorre, tuttavia, considerare che le norme sostanziali del diritto dell’Unione non riguardano i rapporti giuridici definiti anteriormente alla entrata in vigore dell’atto recante la loro introduzione (salvo che la nuova norma sia accompagnata da disposizioni particolari che determinano specificamente le proprie condizioni di applicazione nel tempo). Una nuova norma giuridica, dunque, in linea generale non si applica alle situazioni giuridiche sorte e definitivamente acquisite anteriormente alla sua entrata in vigore mentre si applica immediatamente agli effetti futuri delle situazioni giuridiche sorte nella vigenza della vecchia normativa nonchè alle situazioni nuove. Per la applicazione di una direttiva rileva il giorno di scadenza del termine per la sua trasposizione (Corte giustizia UE, sez. I, 07/11/2018, causa C 432/17 DE. PA. O’B).
18. Tale principio prescinde dalla diversa questione della efficacia diretta o indiretta della direttiva; anche nel caso di mancanza di efficacia diretta della disposizione di una direttiva (perchè non sufficientemente chiara, precisa e incondizionata ovvero perchè si tratti di una controversia tra singoli) l’obbligo del giudice nazionale di interpretare il diritto interno in modo conforme alla direttiva esiste solamente a partire dalla scadenza del termine di attuazione di quest’ultima (Corte di Giustizia Grande Sezione 4 luglio 2006 in causa C- 212/04 ADENELER e a., punto 115).
19. Ne consegue che la direttiva 2008/104/CE non trova applicazione nella vicenda di causa: l’ultimo contratto di somministrazione è dell’1 gennaio 2009 ed i rapporti tra le parti di causa si sono svolti fino al 31 dicembre 2009, anteriormente alla scadenza del termine di trasposizione della direttiva.
20. Vi è tuttavia una riserva. Si è detto che l’ultimo contratto di somministrazione è del gennaio 2009 e che la direttiva è entrata in vigore il 5 dicembre 2008. Ora, dalla data in cui una direttiva è entrata in vigore i giudici degli Stati membri devono astenersi per quanto possibile dall’interpretare il diritto interno in un modo che rischierebbe di compromettere gravemente, dopo la scadenza del termine di attuazione, la realizzazione del risultato perseguito da questa direttiva (Corte di Giustizia Grande sezione, 4 luglio 2006, causa C-212/04, ADENELER e altri, punto 123).
21. In conclusione, la vicenda di causa resta disciplinata dal diritto interno ma poichè i suoi effetti si sono prodotti anche in pendenza del termine di attuazione della direttiva opera il limite del divieto di interpretazione difforme dagli obiettivi della direttiva.
22. Venendo alla normativa nazionale, la norma applicata nella sentenza impugnata è il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, comma 4 come vigente ratione temporis (nella formulazione modificata dal D.Lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, art. 5, comma 1). Il giudice dell’appello, con statuizione non censurata, ha ritenuto essere carente per ciascuno dei cinque contratti commerciali di somministrazione un requisito formale – (la indicazione specifica delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo della somministrazione a termine) – richiesto a pena di nullità dal suddetto art. 21, comma 4.
23. La questione sulla quale questa Corte è chiamata ad esprimersi attiene alle conseguenze della accertata nullità.
24. Secondo la disciplina testuale del richiamato art. 21, comma 4 alla nullità del contratto commerciale si accompagna un effetto ulteriore: “il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore”.
25. Nelle ipotesi di nullità per vizio di forma del contratto commerciale di somministrazione si produce, cioè, per volontà del legislatore, una sostituzione soggettiva del datore di lavoro, con un meccanismo sovrapponibile a quello previsto dal previgente L. n. 1369 del 1960, art. 1, u.c., (legge abrogata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 85) in caso di violazione del divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro. Disponeva, infatti, la suddetta norma: “I prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti posti dal presente articolo, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”.
26. La norma ha continuato a trovare applicazione per il contratto di fornitura di lavoro temporaneo. La L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1, per quanto qui rilevante, disponeva, infatti: ” Nei confronti dell’impresa utilizzatrice…. che violi le disposizioni di cui all’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5….. continua a trovare applicazione la L. 23 ottobre 1960, n. 1369". In particolare, la norma sanzionatoria è stata applicata nei casi di genericità della causale apposta al contratto commerciale di fornitura di lavoro temporaneo, ravvisandosi violazione della L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2 (per tutte: Cass. 29 maggio 2013 n. 13404 e giurisprudenza ivi citata).
27. Il meccanismo con cui la L. n. 1369 del 1960 opera nella fornitura di lavoro temporaneo è stato così ricostruito da questa Corte: “quando il contratto di lavoro che accompagna il contratto di fornitura è a tempo determinato, alla conversione soggettiva del rapporto, si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, o dalle discipline previgenti, a cominciare dalla forma scritta, che ineluttabilmente in tale contesto manca con riferimento al rapporto tra impresa utilizzatrice e lavoratore” (sentenza n. 13404/2013 cit., punto 18 e giurisprudenza ivi richiamata).
28. In sostanza, l’effetto finale della conversione del “contratto per prestazioni di lavoro temporaneo” a tempo determinato (L. n. 196 del 1997, art. 3, lett. a) in un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato tra l’utilizzatore della prestazione e il lavoratore è stato individuato all’esito di un duplice passaggio: il primo consistente nella sostituzione soggettiva dell’utilizzatore al datore di lavoro nel rapporto di lavoro a termine; il secondo, nella conversione di tale rapporto in rapporto a tempo indeterminato per carenza del requisito formale della apposizione del termine in un contratto scritto intercorrente tra lavoratore ed utilizzatore.
29. Sulla base di tale meccanismo questa Corte ha ritenuto ricorrere una ipotesi di “conversione” del contratto a tempo determinato che rende applicabile al contratto di prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato la disciplina della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 osservando che l’ampiezza della formula utilizzata da tale articolo rende irrilevante il fatto che la conversione del contratto a tempo indeterminato sia preceduta da una conversione soggettiva del rapporto (Cass. 17 gennaio 2013 n. 1148; Cass. n. 13404/2013 cit).
30. Il medesimo meccanismo è riprodotto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, comma 4, la cui previsione testuale, come si è detto, è sovrapponibile a quella della L. n. 1369 del 1960, art. 1, u.c..
31. Del resto questa Corte (Cass. 3 aprile 2018 n. 8148, punto 15) nell’esaminare la disciplina del contratto di somministrazione e gli effetti della sua illegittimità ha continuato a richiamare (anche in caso di somministrazione irregolare, D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 27) la giurisprudenza sulla “conversione” del rapporto a termine con l’utilizzatore che si era formata per la fornitura di lavoro temporaneo.
32. La giurisprudenza sin qui esaminata ha riguardato l’impiego privato. Nel lavoro pubblico, come si è già detto in riferimento al primo motivo, non opera la “conversione”.
33. Resta fermo, tuttavia, l’anteriore effetto di sostituzione soggettiva della pubblica amministrazione-utilizzatrice nel rapporto di lavoro a termine intercorrente tra Agenzia di somministrazione e lavoratore somministrato. Tale effetto, invero, non trova ostacolo nella previsione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 che impedisce la costituzione di rapporti di lavoro “a tempo indeterminato” con le pubbliche amministrazioni. Egualmente resta la illegittimità di detto rapporto a termine, per carenza dei requisiti formali di apposizione del termine.
34. In definitiva, la disciplina applicabile per effetto della sostituzione dell’utilizzatore-pubblica amministrazione alla Agenzia di somministrazione è quella del contratto di lavoro subordinato a termine illegittimo; resta esclusa, invece, la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato ed, in assenza di essa, la applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5.
35. Ed allora, se si applica la disciplina del rapporto a termine illegittimo, allorquando la parte faccia valere una successione abusiva di contratti a termine con la pubblica amministrazione – essenzialmente in ipotesi di proroga, rinnovo, o reiterazione contra legem – deve applicarsi il principio di diritto enunciato da Cass. SU 15 marzo 2016 n. 5072 secondo cui:” Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. n. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8".
36. Si osserva da ultimo, sciogliendo la riserva premessa alla analisi del diritto interno, che la enunciata interpretazione non appare in contrasto con gli obiettivi della direttiva 2008/104/CE, che, anzi, comprendono quello di far sì che gli Stati membri si adoperino affinchè il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente per un lavoratore tramite agenzia interinale.
37. La sentenza impugnata non è conforme all’indicato principio di diritto, non avendo la Corte territoriale applicato la agevolazione probatoria di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, pur avendo accertato la sussistenza di una pluralità di contratti di somministrazione nulli L. n. 183 del 2001, ex art. 21, comma 4 e, dunque – in ragione della conversione soggettiva- di una reiterazione illegittima di rapporti a termine tra l’odierno ricorrente e la AUSL utilizzatrice.
38. Resta assorbito il terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 – violazione di norme di diritto ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, assumendosi essere stata fornita la prova del danno.
39. La sentenza impugnata deve essere conclusivamente cassata in accoglimento del secondo motivo di ricorso, respinto il primo ed assorbito il terzo e la causa rinviata alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione, che si adeguerà nella decisione al principio di diritto enunciato da Cass. n. 992/2019 e ribadito al punto 11 della presente sentenza.
40. Il giudice del rinvio provvederà – altresì- alla disciplina delle spese del presente grado.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia – anche per le spese – alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella udienza, il 27 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021