Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.447 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22977-2018 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MERCEDE 11, presso lo studio dell’avvocato MARIO SAVINI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ACHILLE PAPA 21, presso lo studio dell’avvocato RODOLFO GAMBERINI MONGENET, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO BRENZONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2349/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI MARZIO.

RILEVATO

CHE:

1. – P.A., già divorziata da V.A., ricorre per tre mezzi, nei confronti dell’ex coniuge, contro la sentenza del 10 maggio 2018 con cui la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello avverso sentenza del Tribunale di Monza di accoglimento dell’opposizione spiegata dal V. a decreto ingiuntivo di pagamento della somma di Euro 8.015,30, quale rifusione delle spese sostenute dalla P. per l’iscrizione della comune figlia maggiorenne G. presso l’istituto universitario Nuova Accademia di Belle Arti di *****.

2. – V.A. resiste con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

3. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riguardo all’art. 30 Cost., artt. 147,337 ter e 337 septies c.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che V.A. non fosse tenuto al rimborso della somma portata dal decreto ingiuntivo, dal momento che esso aveva ad oggetto esborsi unilateralmente sostenuti dalla P., e non invece previamente concordati dalla figlia G., ormai divenuta maggiorenne, col padre.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riguardo all’art. 324 c.p.c., e art. 2909 c.c., censurando la sentenza impugnata per essere incorsa in violazione del giudicato derivante dalla pronuncia, tra le parti, di una decisione, da parte del Tribunale di Monza, resa in sede di modificazione delle condizioni di divorzio, decisione in cui, secondo la ricorrente, il giudice avrebbe affermato che il V. era tenuto a contribuire alle spese universitarie in discorso.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’appello motivato omettendo di indicare i presupposti di fatto e di diritto dalla stessa applicati.

RITENUTO CHE:

4. – Il ricorso è manifestamente infondato.

4.1. – Il primo motivo, con cui si denuncia violazione di legge, è inammissibile.

Vale difatti osservare che il vizio di violazione di legge (quanto alla violazione di legge in senso proprio) ricorre in ipotesi di erronea negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, nonchè di attribuzione ad essa di un significato non appropriato, ovvero (quanto alla falsa applicazione), alternativamente, nella sussunzione della fattispecie concreta entro una norma non pertinente, perchè, rettamente individuata ed interpretata, si riferisce ad altro, od altresì nella deduzione dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, di conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur corretta interpretazione (Cass. 26 settembre 2005, n. 18782).

Orbene, nè la sentenza impugnata, nè il ricorso per cassazione, pongono affatto in discussione il significato e la portata applicativa dell’art. 30 Cost., artt. 147,337 ter e 337 septies c.c.: al contrario, la decisione della Corte territoriale si limita a stabilire se la sentenza di divorzio intervenuta tra le parti prevedesse o meno a carico del V. l’obbligo di contribuire alle spese straordinarie per la frequenza da parte della figlia di un’università privata, quale quella cui ella si era iscritta, e se, una volta esclusa la riferibilità della sentenza di divorzio a tali spese, esse potessero essere unilateralmente deliberate dalla P., ovvero, non essendo contemplate dalla menzionata sentenza, ed essendo la figlia divenuta maggiorenne, dovessero essere concordate con il V..

Di guisa che la pronuncia neppure sfiora il precetto posto dall’art. 147 c.c., nel quadro di applicazione della richiamata norma costituzionale, laddove esso pone a carico dei genitori l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, dovere di mantenimento che, come è noto, non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età (p. es. Cass. 14 dicembre 2018, n. 32529). Nè tantomeno viene in questione nella specie l’applicazione dell’art. 337 ter c.c., che peraltro riguarda i figli minori, ovvero dell’art. 337 septies c.c., in forza del quale il giudice può disporre il pagamento di un assegno in favore del figlio maggiorenne non indipendente economicamente.

In definitiva, dunque, il motivo mira allo scopo di ribaltare il giudizio di merito svolta dalla Corte d’appello, laddove essa ha ritenuto che la sentenza di divorzio non potesse essere riferita alle spese da sostenersi per la frequenza di un’università privata e che, dunque, la relativa spesa dovesse essere concordata col V.: insomma, mentre la P. ha posto a base del ricorso monitorio le statuizione economiche contenute nella sentenza di divorzio, la Corte d’appello ha accertato che dette statuizione economiche non consentivano alla P. di esigere la spesa sostenuta per l’iscrizione della figlia G. ad un’università privata.

4.2. – Il secondo motivo è manifestamente infondato.

Con esso si invoca, ai sensi dell’art. 2909 c.c., l’autorità di un passaggio motivazionale contenuto in un provvedimento del Tribunale di Monza reso in sede di ricorso proposto dalla P. per modificazione delle condizioni di divorzio, ricorso che è stato in effetti respinto. E, poichè il giudicato si forma sul decisum, se del caso in combinazione con le premesse logico-giuridiche del medesimo, ma comunque in forza del decisum (p. es. Cass. 20 aprile 2017, n. 9954), è del tutto ovvio che la decisione di rigetto del ricorso in questione non possa fare stato sul diritto della P. ad esigere il rimborso delle spese oggetto della controversia.

4.3. – Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Esso è dalla ricorrente inquadrato entro l’ambito di applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5: e se così fosse sarebbe inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., versandosi in questo caso in ipotesi di “doppia conforme”.

In realtà, però, il concreto contenuto del motivo concerne la asserita mera apparenza della motivazione addotta dal giudice di merito a fondamento della propria decisione.

Ma, così prospettata, la censura è evidentemente fuori bersaglio, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di inesistenza della motivazione in sè, che risulti dal testo della sentenza impugnata, esaurentesi nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (il riferimento è ovviamente a Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Difatti la Corte territoriale ha tratto la propria conclusione osservando:

-) che l’affidamento della figlia alla madre non escludeva il padre dalle decisioni di maggiore rilevanza;

-) che la sentenza di divorzio faceva riferimento alle spese mediche di carattere privato, poste a carico del V., mentre non conteneva analogo riferimento in relazione alle spese scolastiche, spese che, quindi, erano solo quelle per la frequenza di scuole pubbliche;

-) che, comunque, la figlia era divenuta maggiorenne, mentre la madre era ormai priva di responsabilità genitoriale, e dunque, non essendo le spese in discorso regolate dalla sentenza, ella avrebbe dovuto accordarsi direttamente col padre, non sussistendo un titolo della madre ad azionare la sentenza per il recupero delle menzionate spese.

Motivazione, quella che precede, non apparente, come invece sostenuto dalla ricorrente, nè afflitta dai vizi altrimenti rilevanti secondo la giurisprudenza di questa Corte.

5. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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