Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.448 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16733-2018 proposto da:

P.D., quale unico erede di B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 94, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA FIORE, rappresentato e difeso dall’avvocato GUIDO CONTI;

– ricorrente –

contro

INTESA SAN PAOLO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.GO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato DARIO MARTELLA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI MARIA FERRERI;

– controricorrente –

BE.RO., BE.LU., Z.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE LIEGI 58, presso lo studio dell’avvocato ROMANO CERQUETTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO MONTEVERDE;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1306/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 16/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.

FATTI DI CAUSA

1. – Con citazione notificata il 31 ottobre 2012 B.G. conveniva in giudizio Intesa Sanpaolo lamentando la negoziazione di un assegno bancario non trasferibile dell’importo di Euro 130.000,00, da parte di un soggetto diverso da lei, che ne era l’effettiva beneficiaria. Lamentava, in particolare, che la banca convenuta, girataria per l’incasso, non avesse identificato il presentatore del titolo e verificato l’autenticità della firma di girata.

Intesa Sanpaolo chiedeva ed otteneva di chiamare in giudizio, in manleva, Z.M. e i figli Be.Lu. e Be.Ro., in quanto la prima e il defunto marito erano cointestatari del conto corrente sul quale era stato versato l’assegno.

Il Tribunale di Pavia rilevava la violazione del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, e accoglieva la domanda, condannando la banca al pagamento, in favore di B.G., della somma di Euro 130.000,00, oltre interessi.

2. – Intesa Sanpaolo impugnava la sentenza. Resisteva all’appello B.G.; si costituivano in giudizio, inoltre, Z.M. e i figli.

La Corte di appello di Milano pronunciava, in data 16 marzo 2018, sentenza con cui, in accoglimento dell’appello, respingeva le domande proposte. Osservava, in sintesi: che l’assegno, al pari di altri, del medesimo importo, risultava essere stato emesso da Pino Legnami s.p.a. in favore dei soci della medesima, tra cui appunto B.G.; che gli assegni erano stati versati il ***** presso la banca trattaria su di un conto intestato a Z.M. e al di lei marito, Be.Gi., anch’essi soci; che, “per affermazione dell’appellante rimasta in causa incontrastata”, a B.G. e a suo marito, Be.An., era stata conferita delega ad operare su tale conto; che risultava verosimile che Z.M., la quale ricopriva la mansione di responsabile contabile e amministrativo della società Pino Legnami ed era solita occuparsi anche dei rapporti di questa con la banca, avesse sottoscritto sia l’assegno, in qualità di traente, in nome della società, sia la distinta di versamento; che B.G. si era disinteressata per quasi dieci anni della sorte dell’importo dell’assegno, al pari del marito, che, nella qualità di socio, era beneficiario di altro assegno dello stesso importo; che i coniugi G. e Be.An., in quanto delegati ad operare sul conto, ben avrebbero potuto stornare gli importi o agire tempestivamente nei confronti di Z.M. e la banca, il che non era invece avvenuto; che la violazione dell’art. 43 cit., era da escludere; che, infatti, i rapporti tra la banca e Z.M. erano “caratterizzati da una conoscenza solida e risalente, tale da escludere che potesse dar adito a “sospetti” il mero fatto che la stessa Z.”, dopo aver emesso gli assegni li presentasse, poi, “sottoscritti apparentemente dai beneficiari, per il versamento su un conto sul quale tutti i soci avevano la possibilità di operare”; che, d’altro canto, la responsabilità di cui alla L. ass., art. 43, postula il pagamento di un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore e dal banchiere giratario per l’incasso, laddove nella fattispecie l’assegno era affluito su di un conto su cui il beneficiario poteva liberamente operare, per modo che il titolo doveva ritenersi entrato nella concreta disponibilità del beneficiario.

3. – La sentenza è stata impugnata per cassazione da P.D., unico erede di B.G.. Con controricorso resistono Intesa Sanpaolo, nonchè Z.M., e i figli della medesima, Be.Ro. e Be.Lu., che hanno svolto un ricorso incidentale su due motivi. Il ricorrente e Intesa Sanpaolo hanno depositato memoria.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di ricorso viene lamentata la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 2697 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto applicabile il disposto della prima delle indicate norme al giudizio di appello quando il thema deadendum e il thema probandum sono definiti nel giudizio di primo grado con il deposito delle memorie di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6. Rileva la ricorrente che l’affermazione della banca con cui si attribuiva ai coniugi B. e Be. la delega ad operare sul conto ove era stato versato l’assegno, formulata nella comparsa di risposta in primo grado, era stata contestata specificamente alla prima udienza del 17 giugno 2013 e che la banca, nel corso del giudizio avanti al Tribunale, non aveva neppure tentato di dare la prova di quanto dalla stessa affermato.

2. Il motivo appare fondato.

E’ anzitutto da escludere che il ricorso sia connotato da una carente esposizione dei fatti di causa, come lamentato dai controricorrenti Z. e Ba.: infatti il ricorso risulta essere redatto nel rispetto della prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, e appare del tutto idoneo a dar ragione della comprensione del motivo di censura svolto.

Occorre pure sgomberare il campo dall’eccezione della banca, secondo cui la contestazione su cui si fonda il ricorso, per come riprodotta nell’atto di impugnazione, concernerebbe la signora Be. e B.: per il che – si sostiene – B.G. mai avrebbe contestato che il marito disponesse di valida procura ad operare sul conto corrente. In realtà, il riferimento, a pag. 13 del ricorso per cassazione, a una contestazione della “sig.ra Be. e B.” costituisce, con tutta evidenza, il frutto di un banale errore di trascrizione occorso nella redazione dell’atto di impugnazione, giacchè è la stessa Corte di appello a dare atto, nella sentenza impugnata (pag. 6), che l’allegazione della banca che sarebbe rimasta incontrastata concerneva la “delega a operare (…) ai coniugi B./ Be.”. La deduzione della banca non appare, del resto, nemmeno conferente, dal momento che il giudizio ha ad oggetto l’incasso dell’assegno di cui era beneficiaria B.G., e non Be.An.: onde la contestazione che rileva è quella formulata dalla stessa B., coniugata Be., con riguardo alla procura che, secondo la controparte, ella avesse conferito.

Ciò posto, l’odierno ricorrente ha dato conto di come, nel verbale di udienza del 17 giugno 2013 (riprodotto nella parte che qui interessa e depositato a norma dell’art. 369 c.p.c., n. 4), l’esistenza di quella delega fosse stata puntualmente contestata. A fronte di tale contestazione non rileva che B.G. abbia mancato di ribadire la stessa in appello. Come ha già avuto modo di rilevare questa Corte, ai sensi del combinato disposto dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 167 c.p.c., comma 1, l’onere di contestazione specifica dei fatti posti dall’attore a fondamento della domanda opera unicamente per il convenuto costituito e nell’ambito del solo giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definiscono irretrattabilmente thema decidendum e thema probandum, sicchè non rileva a tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti in appello (Cass. 4 novembre 2015, n. 22461). Del resto, se è vero che la parte vittoriosa in primo grado ha l’onere di riproporre, a pena di formazione del giudicato implicito, le domande e le eccezioni respinte o ritenute assorbite, manifestando in modo chiaro e preciso la propria volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse, è altrettanto vero che a tale onere la parte non è soggetta per le contestazioni (Cass. 22 gennaio 2004, n. 1103; Cass. 18 giugno 2002, n. 8823; Cass. 20 marzo 2001, n. 4009: le pronunce concernono la contestazione del fatto costitutivo della domanda, ma non vi è ragione, a mente del chiaro dettato dell’art. 346 c.p.c., di riservare un diverso trattamento alle contestazioni dei fatti posti a fondamento delle eccezioni del convenuto).

Non merita poi condivisione l’assunto dei controricorrenti Z. e Be., secondo cui, reggendosi la sentenza impugnata su plurime rationes decidendi, il venir meno di quella fondata sulla procura si paleserebbe inidoneo a determinare la cassazione del provvedimento. Infatti, nell’economia delle ragioni che, secondo la Corte di appello, darebbero ragione della responsabilità della banca per la violazione dell’art. 43, (pagg. 8 s. della sentenza impugnata) l’argomento basato sul fatto che i coniugi B. e Be. avessero la possibilità di operare sul conto costituisce elemento imprescindibile.

3. – L’accoglimento del motivo di ricorso principale determina l’assorbimento dei due motivi di ricorso incidentale, con cui i controricorrenti Z.M., Be.Ro. e Be.Lu. hanno lamentato, con riferimento alla statuizione di compensazione delle spese processuali adottata dalla Corte di merito, sia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., sia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

4. – La sentenza va quindi cassata, con rinvio della causa alla Corte di Milano, in diversa composizione, la quale statuirà pure sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo di ricorso accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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