LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4257-2019 proposto da:
P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SANTA MARIA MAGGIORE n. 12, presso lo studio dell’avvocato ROSETTA VERGATI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
PREFETTURA DI PAVIA UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI PAVIA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1066/2018 del TRIBUNALE di PAVIA, depositata il 21/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
P.A. proponeva opposizione innanzi il Giudice di Pace di Pavia avverso il provvedimento del Prefetto di Pavia con il quale gli era stata irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 2.040 e quella accessoria della revoca della patente, per essersi posto alla guida di un veicolo nonostante l’esistenza di una precedente sospensione della medesima patente. Il ricorrente contestava in particolare l’inesistenza della notificazione del provvedimento impugnato e l’inefficacia della sospensione del titolo abilitante alla guida, che non sarebbe mai stato materialmente eseguito poichè egli aveva denunciato lo smarrimento della propria patente.
Con sentenza n. 405/2017 il Giudice di Pace rigettava l’opposizione.
Interponeva appello il P. e si costituiva in seconde cure la Prefettura per resistere al gravame. Con la sentenza impugnata, n. 1066/2018, il Tribunale di Pavia dichiarava inammissibile il primo motivo di impugnazione, rigettava gli altri e condannava l’appellante alle spese del grado.
Propone ricorso per la cassazione di tale decisione P.N. affidandosi a due motivi.
La Prefettura di Pavia, intimata, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 140 c.p.c. e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale avrebbe dovuto ravvisare l’inesistenza o la nullità della notificazione del provvedimento impugnato. Ad avviso del N., infatti, esso sarebbe stato notificato senza rispetto delle forme previste dall’art. 140 c.p.c. perchè l’amministrazione non avrebbe mai dimostrato di aver effettuato la spedizione al destinatario della raccomandata informativa dell’avvenuto deposito dell’atto presso la casa comunale. Inoltre, la conferma della mancata esecuzione di tale incombente si ricaverebbe – ad avviso del ricorrente – dal fatto che egli ha proposto il ricorso al Giudice di Pace a distanza di cinque mesi dalla (apparente) notificazione dell’art. impugnato; se quest’ultimo fosse stato regolarmente notificato, infatti, il N. non avrebbe atteso tanto per proporre la relativa opposizione.
La doglianza è inammissibile.
L’ultimo argomento proposto dal ricorrente non ha alcun fondamento giuridico, posto che il mancato esercizio, da parte del destinatario di un determinato atto, della facoltà che la legge gli riconosce di impugnarlo, non vale certamente a dimostrare la mancata rituale notificazione dell’atto predetto. L’esercizio del diritto di difesa, infatti, nelle varie forme e declinazioni previste dall’ordinamento giuridico, costituisce una facoltà per l’interessato, che può legittimamente rinunciarvi, o decidere di esercitarlo tardivamente, senza che a tale determinazione possa essere automaticamente riconnessa alcuna presunzione circa la ritualità o irritualità del procedimento di notificazione dell’atto.
Per quanto invece attiene alle modalità di esecuzione della notificazione, va osservato che il Tribunale dà atto che “Il Giudice di prime cure aveva ritenuto la legale conoscenza del provvedimento in forza della citata norma dell’art. 140 c.p.c. e l’appellante, nel sostenere l’inesistenza di tale notifica, non porta argomenti che riescano a far comprendere le censure che intende muovere alla gravata decisione. Il motivo potrebbe avere una qualche coerenza se il Giudice avesse attestato l’effettuazione di una notifica ex art. 143 c.p.c.: in tale caso, potrebbe censurarsi il fatto che questa fosse stata effettuata presso la casa comunale considerando il ricorrente (erroneamente) irreperibile; tuttavia, nell’impugnata sentenza si fa chiaro riferimento alla ben diversa ipotesi della notifica ex art. 140 c.p.c. e, dunque, alla irreperibilità (solo temporanea) di cui alla predetta disposizione” (cfr. pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata). Il ricorrente avrebbe dovuto censurare tale statuizione riportando il motivo di appello proposto in relazione alla notificazione del provvedimento impugnato, al fine di dimostrare che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto non comprensibili le censure mosse alla sentenza di prime cure. In difetto, la censura è inammissibile per carenza di specificità, poichè non supera il passaggio della motivazione con cui il giudice di seconda istanza ha ritenuto generico, o comunque non sufficientemente comprensibile, il motivo di appello.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 218 C.d.S. e della L. n. 689 del 1981, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale di Pavia avrebbe erroneamente ritenuto sussistente l’illecito contestato, senza considerare che il provvedimento di sospensione della patente irrogato al P. era stato in seguito annullato dall’amministrazione in autotutela e che comunque la circolazione era avvenuta legittimamente in quanto la patente non era mai stata materialmente ritirata perchè ne era stato denunciato lo smarrimento.
La censura è inammissibile.
L’esatta successione temporale degli eventi rilevanti si ricava dal raffronto tra l’esposizione del fatto contenuta nel ricorso (cfr. pag. 2), quanto affermato dal Tribunale nella sentenza impugnata (cfr. pag. 3) e quanto dedotto dal P. nella doglianza in esame, sia pure mediante rinvio ai documenti allegati agli atti (cfr pagg. 7 e ss. del ricorso). In particolare, il P., già destinatario di ordinanza di sospensione della patente di guida n. *****, aveva denunciato lo smarrimento del documento con denuncia del 21.4.2015 (cfr. pag. 8 del ricorso) ed aveva ottenuto, il 27.4.2015 (cfr. ancora pag. 8 del ricorso e pag. 3 della sentenza) un provvedimento con il quale la Prefettura, in via di autotutela, non aveva affatto annullato la sospensione, ma semplicemente disposto che essa sarebbe stata eseguita nel momento in cui fosse stata rilasciata al P. una nuova patente, avendo il predetto smarrito quella oggetto del provvedimento del 2013. Peraltro, la contestazione della guida senza patente è stata effettuata in data 28.3.2015, come risulta dal verbale del 30.3.2015 n. *****, allegato agli atti, e quindi precedentemente sia alla denuncia di smarrimento che al provvedimento emanato dalla Prefettura in autotutela. Se ne ricava che, nel momento in cui la contestazione è stata effettuata, il P. si era posto alla guida di un veicolo nonostante la sua patente di guida – della quale all’epoca, per quanto possa rilevare, non aveva neppure ancora denunciato lo smarrimento – fosse stata sospesa con ordinanza del 2013. Egli quindi, come evidenziato anche dalla sentenza impugnata, era perfettamente consapevole del divieto di circolare nel momento in cui gli è stata contestata l’infrazione di cui al verbale del 30.3.2015, oggetto del presente giudizio.
Peraltro, è opportuno precisare che anche laddove il P. fosse stato fermato in un momento successivo alla presentazione della denuncia di smarrimento del titolo abilitativo alla guida, ciò non avrebbe avuto alcun rilievo pratico ai fini della legittimità della contestazione di cui si discute, poichè la circolazione del veicolo può avvenire soltanto in base ad una patente di guida, ancorchè denunciata smarrita, e non alla semplice denuncia di smarrimento di detto documento, che non contiene alcuna abilitazione alla guida. Sulla base della denuncia di smarrimento (o di sottrazione), infatti, l’autorità di pubblica sicurezza può rilasciare un permesso provvisorio di guida, che costituisce un documento autonomo dalla denuncia, sostituisce a tutti gli effetti la patente smarrita (o sottratta) e viene a scadere, alternativamente, al momento in cui il denunziante riceva il duplicato del documento smarrito (o sottratto) ovvero alla scadenza del termine di 90 giorni dal rilascio.
Da quanto precede deriva l’inammissibilità anche del secondo motivo del ricorso.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese, per effetto del mancato svolgimento, da parte intimata, di attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 20 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021