Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.450 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12441/2018 R.G. proposto da:

SAN GOTTARDO S.R.L., in persona dell’amministratore unico p.t.

F.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Lauro, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

CREDITO VALTELLINESE S.P.A., (già Credito Valtellinese Soc. Coop.), in persona del presidente del consiglio di amministrazione p.t.

Fi.Mi., rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Zitiello, con domicilio eletto in Roma, via Nazionale, n. 204;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio n. 318/17 depositata il 24 luglio 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 dal Consigliere Guido Mercolino.

RILEVATO

che la San Gottardo S.r.l., già intestataria di un conto corrente bancario presso il Credito Valtellinese Soc. Coop., lo convenne in giudizio, per sentir ricalcolare il saldo del conto alla data di chiusura, con l’esclusione degl’importi illegittimamente addebitati a titolo d’interessi ultralegali, anatocistici ed usurari, commissione di massimo scoperto e giorni valuta, con la condanna del convenuto alla restituzione delle somme indebitamente percepite ed al risarcimento dei danni;

che con sentenza del 24 luglio 2017 il Tribunale di Sondrio rigettò la domanda, escludendo la nullità del contratto di conto corrente per difetto di firma della banca, dichiarando inammissibile l’ordine di esibizione degli estratti conto emesso nei confronti di quest’ultima, in quanto non preceduto da un’istanza di accesso ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 119, comma 4, non formulata neppure nel corso del giudizio, nonchè avente ad oggetto documenti menzionati in una perizia di parte, e quindi già in possesso dell’attrice, e concludendo pertanto per la mancata dimostrazione dei fatti allegati;

che l’impugnazione proposta dalla San Gottardo è stata dichiarata inammissibile dalla Corte d’appello di Milano con ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., il 16 febbraio 2018;

che avverso la sentenza di primo grado ha proposto ricorso per cassazione la San Gottardo, per due motivi, illustrati anche con memoria;

che ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria, il Credito Valtellinese S.p.a. (già Credito Valtellinese Soc. Coop.).

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 116 c.p.c., comma 1, censurando la sentenza impugnata per aver negato valore probatorio agli estratti conto prodotti dalla banca in ottemperanza all’ordine di esibizione, in contrasto con il principio di acquisizione della prova, il quale impone al giudice di valutare le prove versate in atti, anche se prodotte dalla parte non onerata ai sensi dell’art. 2697 c.c.;

che, nel ritenere non provata la domanda, la sentenza impugnata non ha considerato che nelle azioni di accertamento negativo trovano applicazione i principi generali in materia di ripartizione dell’onere della prova, indipendentemente dalla circostanza che la domanda sia stata proposta dal debitore, con la conseguenza che avrebbero dovuto essere poste a carico della banca le conseguenze della mancata dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa azionata;

che, ad avviso della ricorrente, la regola di cui all’art. 2697 c.c., trova inoltre un temperamento nel principio di vicinanza alla fonte della prova, operante in caso d’incertezza nella ripartizione del relativo onere, in virtù del quale nel giudizio di accertamento negativo del debito del correntista, fondata sull’illiceità degli addebiti effettuati dalla banca, è quest’ultima a dover fornire la prova della propria pretesa, mentre il primo può limitarsi ad allegare l’inesistenza del credito;

che il motivo è infondato;

che l’avvenuta produzione degli estratti conto da parte della banca in ottemperanza all’ordine di esibizione emesso in assenza dei presupposti richiesti dall’art. 210 c.p.c., ne escludeva infatti l’utilizzabilità a sostegno della pretesa azionata dall’attore, non potendo trovare applicazione in tal caso il principio di acquisizione probatoria, il quale impedisce alle parti di disporre degli effetti delle prove ormai assunte, nel senso che le stesse possono essere utilizzate a favore dell’una o dell’altra indipendentemente dalla parte che le abbia dedotte, ma non impone al giudice di valutare e tenere comunque ferme tutte le prove sol perchè già espletate, ancorchè siano state ammesse in violazione di norme di legge (cfr. Cass., Sez. VI, 14/ 09/2012, n. 15480);

che correttamente la sentenza impugnata ha posto a carico dell’attore le conseguenze dell’inutilizzabilità degli estratti conto illegittimamente acquisiti, dal momento che nei rapporti bancari in conto corrente il correntista che agisca in giudizio per ottenere la restituzione dei maggiori importi addebitatigli, previo accertamento della nullità delle clausole contrattuali che prevedono la corresponsione d’interessi ultralegali, anatocistici ed usurari o della commissione di massimo scoperto o di quelle che disciplinano i giorni valuta, è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi, sicchè il medesimo ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute (cfr. Cass., Sez. I, 28/11/ 2018, n. 30822; Cass., Sez. VI, 23/10/2017, n. 24948);

che la predetta domanda non è infatti qualificabile come azione di accertamento negativo, configurandosi invece come ripetizione dell’indebito, dal momento che l’accertamento dell’insussistenza dell’obbligo di pagamento rappresenta un mero antecedente logico della domanda di restituzione (cfr. Cass., Sez. V, 2/02/2007, n. 2298), con la conseguenza che incombe all’attore l’onere fornire la prova non solo della mancanza di causa debendi ovvero del successivo venir meno di questa, ma anche dell’avvenuto pagamento, mentre è posta a carico dell’accipiens la dimostrazione dell’eventuale riconducibilità di quest’ultimo ad altra fonte di debito (cfr. Cass., Sez. III, 14/05/2012, n. 7501; Cass., Sez. I, 28/07/1997, n. 7027);

che il predetto criterio di ripartizione dell’onere probatorio, conforme alla regola di giudizio dettata dall’art. 2697 c.c., non può subire alterazioni, nella specie, per effetto del principio di vicinanza della prova, il quale, postulando la riferibilità della prova a fatti che una delle parti sia in grado di dimostrare con maggiore facilità o completezza in quanto riconducibili alla sua sfera di conoscenza o disponibilità, non è applicabile in casi come quello in esame, in cui il fatto da provare non rientra esclusivamente o prevalentemente nel dominio di una delle parti, essendo entrambe a conoscenza dell’andamento del rapporto e disponendo della relativa documentazione o essendo in grado di procurarsela, anche in virtù degli obblighi di comunicazione posti a carico della banca;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c., e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119, osservando che, nel subordinare l’ammissibilità dell’ordine di esibizione all’infruttuoso esercizio del diritto di accesso previsto dal cit. art. 119, comma 4, la sentenza impugnata non ha considerato che la relativa istanza non dev’essere necessariamente proposta in via stragiudiziale, potendo essere avanzata anche in giudizio, senza limiti di tempo e se del caso attraverso la richiesta dell’ordine di esibizione, ove la banca non adempia volontariamente il proprio obbligo;

che, secondo la ricorrente, l’ordinanza di esibizione non può essere dichiarata irrituale o revocata dopo l’esaurimento dei suoi effetti, costituendo espressione di un potere discrezionale del giudice istruttore, non suscettibile di riesame in caso di mutamento di quest’ultimo;

che il motivo è infondato;

che è pur vero, infatti, che, come ripetutamente affermato da questa Corte in tema di conto corrente bancario, il diritto del titolare di ottenere dalla banca la relativa documentazione, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119, comma 4, può essere esercitato anche in sede giudiziaria, se del caso attraverso la richiesta di emissione di un ordine di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c., non richiedendo quest’ultimo la previa proposizione di un’istanza stragiudiziale, la cui necessità comporterebbe la trasformazione di una facoltà prevista a protezione del cliente in un onere vincolante (cfr. Cass., Sez. VI, 8/02/2019, n. 3875; Cass., Sez. I, 11/05/ 2017, n. 1554);

che nella specie, tuttavia, nel dichiarare inammissibile la richiesta di esibizione formulata dall’attrice, la sentenza impugnata non si è limitata a rilevare che l’instaurazione del giudizio non era stata preceduta dalla proposizione di un’istanza di accesso ai sensi dell’art. 119 cit., non formulata espressamente neppure in corso di causa, ma ha aggiunto che gli estratti conto richiesti risultavano indicati tra gli allegati alla perizia di parte depositata dall’attrice e posti a base del ricalcolo del saldo del conto corrente effettuato dal perito, concludendo che gli stessi erano già nella disponibilità dell’attrice, la quale aveva omesso di produrli in giudizio;

che tale affermazione, escludendo implicitamente l’indispensabilità della esibizione ai fini della produzione in giudizio degli estratti conto, risulta conforme al disposto dell’art. 118 c.p.c., richiamato dall’art. 210, nonchè all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in quanto volta all’acquisizione di documenti che l’istante non è in grado di procurarsi autonomamente, l’esibizione non può essere ordinata per supplire all’inadempimento dell’onere della prova ad opera della parte che è tenuta ad assolverlo (cfr. Cass., Sez. lav., 29/07/2011, n. 16781; 8/08/2006, n. 17948; Cass., Sez. I, 10/01/2003, n. 149);

che, in quanto riguardante l’istruzione della causa, l’ordine di esibizione deve ritenersi revocabile, anche implicitamente, da parte del giudice che lo ha pronunciato, nonchè inidoneo a pregiudicare la decisione della causa, ai sensi dell’art. 177 c.p.c., con la conseguenza che la sua esecuzione non spiega alcun effetto preclusivo ai fini della decisione, al pari di quella delle ordinanze che decidono in ordine alle richieste di ammissione dei mezzi istruttori, le quali possono sempre costituire oggetto di riesame, in sede di valutazione delle prove all’esito del giudizio (cfr. Cass., Sez. I, 24/01/2007, n. 1596; Cass., Sez. III, 18/04/2006, n. 8932; 22/12/2000, n. 16113);

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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