Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.4517 del 19/02/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6791/2016 R.G., proposto da:

M.R., rappresentata e difesa dall’avv. Giovan Battista Martini, e dall’avv. Giancarlo Sabbadini, elettivamente domiciliata in Roma, Via Casella n. 38;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Manzi, e dall’avv. Riccardo Spagliardi, elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Confalonieri n. 5;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1232/2015, depositata in data 3.11.2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.2.2020 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pepe Alessandro, che ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso;

Uditi gli avv.ti Andrea Cosimetti e Gianluca Calderara.

FATTI DI CAUSA

La Telecom Italia s.p.a. ha adito il tribunale di Sanremo, esponendo che, con atto del 5.7.1966, la Rai s.p.a. aveva acquistato una porzione del fondo in proprietà di M.R. e che le parti avevano contestualmente costituito una servitù di passaggio sul fondo della venditrice. Successivamente, con scrittura del 5.12.1996, la Rai aveva consentito alla Telecom la collocazione in loco di apparati ricetrasmittenti, con l’intesa che detta società dovesse ottenere l’autorizzazione per attraversare la proprietà M.. Quindi, con successiva scrittura del 5.12.1996, quest’ultima aveva concesso il diritto di passaggio senza diritto di sosta o di prosecuzione sulla strada, dietro il pagamento di un corrispettivo di Lire 1.000.000 annuali, per la durata di cinque anni.

Alla scadenza del rapporto, la M. aveva rifiutato di rinnovare il contratto, impedendo l’esercizio del transito.

Ha chiesto di riconoscere il diritto di passaggio a titolo gratuito sul fondo della convenuta, ai sensi del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 91, comma 4, oltre al risarcimento del danno.

M.R. ha resistito alla domanda, proponendo, in via riconvenzionale, un’actio negatoria servitutis, con richiesta di risarcimento del danno per l’esercizio abusivo del transito.

Il tribunale ha respinto la domanda principale e, in accoglimento della riconvenzionale, ha dichiarato l’insussistenza della servitù sul fondo della convenuta.

La sentenza è stata integralmente riformata in appello.

La Corte distrettuale ha premesso che la domanda della M. non era volta a negare l’esistenza della servitù costituita con contratto del 1966 a favore della Rai, ma il diritto di Telecom di continuare ad esercitare il passaggio sul fondo dell’appellata.

Ha inoltre asserito che il D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 90 riconosce carattere di pubblica utilità agli impianti di comunicazione gestiti dallo Stato o dai concessionari e che l’art. 91, comma 4, nel prevedere che il proprietario è tenuto a sopportare il passaggio nell’immobile di sua proprietà per la necessità di accedervi per l’installazione, la riparazione e la manutenzione degli impianti, non contempla una servitù prediale, ma una limitazione legale della proprietà, escludendo che la Telecom, per esercitare il passaggio, dovesse ottenere un provvedimento ablatorio.

Il giudice d’appello non ha condiviso la tesi del tribunale secondo cui il diritto di passaggio di cui all’art. 91, comma 4 sarebbe funzionale all’installazione e manutenzione degli impianti che attraversino la proprietà del soggetto tenuto a tollerare il transito (ai sensi del comma 1 della disposizione), poichè detta interpretazione svuoterebbe di contenuto e di ratio la norma, posto che la facoltà di far passare i fili o i cavi senza appoggio nella proprietà altrui già implicherebbe il diritto di accedervi.

Ha, per tali motivi, respinto la negatoria servitutis proposta dalla M. nonchè la domanda risarcitoria proposta da Telecom, poichè fondata esclusivamente su documentazione proveniente dalla stessa appellante, già decaduta dalla prova testimoniale per non aver citato i testimoni.

Per la cassazione di questa sentenza M.R. ha proposto ricorso in tre motivi.

La Telecom Italia s.p.a. ha proposto controricorso.

La causa, fissata in adunanza camerale, è stata rimessa alla pubblica con ordinanza interlocutoria del 26.2.2020.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 1079 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che non era consentito riconoscere alcuna servitù di passaggio in favore della Telecom Italia, non essendo quest’ultima titolare del fondo ove erano collocati gli impianti ricetrasmittenti, che invece erano stati semplicemente ospitati sul fondo della Rai s.p.a..

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 949 e 1067 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte distrettuale travisato il contenuto delle allegazioni difensive della ricorrente, la cui domanda riconvenzionale di risarcimento era fondata non già sulla deduzione di un ipotetico aggravamento della servitù costituita in favore del fondo della Rai s.p.a., ma sulla carenza di autorizzazione all’esercizio del transito, prescritta dalla convenzione intercorsa tra la Telecom e la Rai. Dato l’oggetto della riconvenzionale, non era necessario evocare in causa la Rai, dovendosi semplicemente accertare se la Telecom avesse titolo ad esercitare il passaggio sul fondo della M..

Il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 259 del 2003, artt. 90, 91, e D.P.R. n. 156 del 1973, art. 232 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che, in primo luogo, non vi era prova del carattere di pubblica utilità degli impianti collocati dalla Telecom Italia, nè della dichiarazione di pubblica utilità degli impianti stessi mediante decreto del Ministero dello sviluppo economico. Inoltre, per consentire il passaggio sul fondo, occorreva l’adozione di un provvedimento ablatorio o il consenso della proprietaria, dato che gli impianti erano collocati sul fondo della Rai ed erano posti a servizio della generalità degli utenti.

2. Per ragioni di ordine logico deve anteporsi l’esame del terzo motivo di ricorso, che è infondato per le ragioni che seguono.

La sentenza ha ricordato che gli impianti di telecomunicazione elettronica ad uso pubblico esercitati dallo Stato o dai concessionari (e le relative opere accessorie) hanno carattere di pubblica utilità mentre, se trattasi di installazioni ad uso esclusivamente privato, possono essere dichiarati di pubblica utilità con decreto del Ministero dello Sviluppo economico.

La circostanza che, nella specie, le installazioni avessero, per la loro specifica destinazione o per effetto di un provvedimento ministeriale, il carattere di pubblica utilità è profilo di fatto che la sentenza ha ritenuto indiscusso.

Le contrarie deduzioni della ricorrente suppongono – in sostanza – un dato di fatto (l’asserito impiego delle installazioni per un uso prevalentemente privato) che non può esser allegato direttamente in sede di legittimità.

2.1. Si è detto che gli impianti Telecom erano collocati sul fondo della Rai, al quale era possibile accedere solo attraversando la proprietà M..

La ricorrente aveva inizialmente concesso a Telecom il diritto di attraversare il fondo dietro pagamento di un corrispettivo e per la durata di cinque anni non ulteriormente prorogati, impedendo, per il periodo successivo, il passaggio sulla sua proprietà.

Non era – tuttavia – necessario, a tal fine, nè un atto di assenso della titolare del fondo, nè la costituzione di una servitù.

A norma del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 91, comma 1 negli impianti di reti di comunicazione elettronica di cui all’art. 90, commi 1 e 2, i fili o cavi senza appoggio possono passare, anche senza il consenso del proprietario, sia al di sopra delle proprietà pubbliche o private, sia dinanzi a quei lati di edifici ove non siano finestre od altre aperture praticabili a prospetto.

Il comma 4 dispone che il proprietario deve sopportare il passaggio del personale dell’esercente il servizio, che dimostri la necessità di accedervi per l’installazione, riparazione e manutenzione degli impianti stessi (art. 91, comma 4).

Anzitutto la norma, nel definire limiti e presupposti delle facoltà concesse all’esercente il servizio, adotta una formulazione che, riferendosi agli “impianti di cui sopra”, non rinvia affatto – sul piano testuale – alle sole installazioni collocate nello spazio aereo in corrispondenza del suolo su cui il transito dovrebbe essere esercitato e quindi alla sola ipotesi regolata dall’art. 91, comma 1. Coerentemente con il suo significato letterale, la previsione ricomprende tutti gli impianti menzionati in precedenza, con ovvio riferimento a quelli di pubblica utilità contemplati dall’art. 90, commi 1 e 2 cui si riferisce, peraltro, anche l’art. 91, comma 4.

Già la Corte distrettuale ha condivisibilmente evidenziato che, se le facoltà concesse dal comma 4 presupponessero la presenza degli impianti sullo stesso fondo cui la concessionaria avrebbe in animo di accedere o transitare, la norma sarebbe superflua, essendo tale possibilità già insita nel diritto di far attraversare il fondo altrui da fili ed impianti privi di appoggio.

Il dato normativo distingue – inoltre – le ipotesi in cui l’imposizione di pesi alla proprietà altrui riflette una mera limitazione del diritto di proprietà (art. 91), dai casi in cui è necessario – in mancanza del consenso del proprietario – il ricorso alla procedura espropriativa per costituire vere e proprie servitù prediali (art. 92).

Tra le prime rientrano, per esplicita classificazione di legge, il passaggio di fili e cavi senza appoggio al di sotto o al di sopra della proprietà, sempre che non avvenga dinanzi ai lati di edifici muniti di finestre o altre aperture munite di affaccio (Cass. 15683/2006), il diritto di appoggio delle antenne e di sostegni e il passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto, nell’immobile di un condomino, ma solo se occorrenti per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini, infine il passaggio nell’immobile da parte del personale del concessionario che dimostri la necessità di accedervi per l’installazione, riparazione e manutenzione degli impianti di cui sopra.

E’ necessaria l’adozione di un provvedimento ablatorio, impositivo di una vera e propria servitù, ove il passaggio sia previsto con appoggio di fili, cavi ed impianti connessi alle opere di cui all’art. 231, sempre che i cavi in appoggio non servano solo alle utenze del proprietario del fondo su cui essi insistono (Cass. 12245/1998; Cass. 12469/1998; Cass. 12470/1998; Cass. 124681998; Cass. 12467/1998; Cass. 2505/1998) o se trattasi di impianti senza appoggio posti in corrispondenza di un lato dell’edificio ove si trovino finestre o aperture (Cass. s.u. 571/1991; Cass. 15683/2006).

In definitiva, l’imposizione della servitù è necessaria solo quando gli impianti siano in appoggio sul fondo altrui o quando il passaggio aereo avvenga con modalità predeterminate per legge (in corrispondenza di finestre o aperture con affaccio) e tali da limitare in maniera più incisiva le facoltà del proprietario.

Parimenti, negli immobili in condominio, la costituzione di una servitù di appoggio e di transito è richiesta solo se gli impianti siano destinati a servire porzioni esclusive non ubicate nel medesimo edificio.

Di conseguenza, la tesi secondo cui anche l’attraversamento finalizzato all’installazione o riparazione di impianti collocati sul fondo di terzi richiederebbe l’imposizione della servitù finisce per assimilare indebitamente situazioni oggettivamente disomogenee, svalutando il criterio che ispira il sistema del D.Lgs. n. 259 del 2003, artt. 90 e 91 fondato sulla tipologia del peso imposto alla proprietà e sulla maggiore o minore gravosità delle limitazioni che ne derivano.

Aderendo alla tesi proposta in ricorso, si perviene alla non plausibile conseguenza di ritenere che il transito connesso alla presenza di fili ed impianti, destinati a servizio della generalità degli utenti non appoggiati al suolo, possa aver luogo senza una previa costituzione della servitù, mentre il ricorso al procedimento ablatorio sarebbe richiesto anche quando il medesimo passaggio sia finalizzato all’installazione e manutenzione di impianti collocati altrove e che non occupino in alcun modo lo spazio aereo della proprietà interessata, risultando significativamente meno invasivo che nell’ipotesi di cui all’art. 91, comma 1.

Deve perciò concludersi che l’art. 91, comma 4, consenta il passaggio anche per giungere al luogo (diverso dal fondo su cui si eserciti il transito) ove sono collocati gli impianti di telefonia.

La norma contempla una limitazione legale sottoposta a presupposti soggettivi ed oggettivi vincolanti (il transito è consentito solo al personale dell’esercente il servizio e solo se necessario per la manutenzione e installazione degli impianti di pubblica utilità), assimilabile ad altre ipotesi positivamente regolate dall’ordinamento (art. 843 c.c.), senza richiedere la costituzione di una servitù o il ricorso al procedimento regolato dall’art. 92 codice delle telecomunicazioni.

3. Il primo motivo è infondato.

Il diritto di transito non è stato riconosciuto iure servitutis, ma quale effetto di una limitazione legale del diritto di proprietà. Era quindi indifferente che Telecom Italia non fosse proprietaria del suolo su cui erano installati gli impianti ricetrasmettenti.

4. Anche il secondo motivo è infondato.

Una volta riconosciuto in capo a Telecom il diritto ad attraversare il fondo M. senza obbligo di indennizzo e senza la previa imposizione di una servitù, non era ammissibile alcun risarcimento, neppure a causa della violazione degli obblighi oggetto della convenzione stipulata con la Rai s.p.a..

Tale convezione era res inter alios acta rispetto alla M., la quale, non essendo parte contraente, non poteva invocare le relative pattuizioni.

Per altro verso la Telecom, in virtù di quanto previsto dall’art. 91, comma 4, cit., non era tenuta a richiedere alcun consenso o autorizzazione, alla scadenza del contratto concluso con la M.. Il ricorso è respinto.

Le spese del presente giudizio di legittimità restano integralmente compensate, data la novità delle questioni esaminate.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello spettante per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità.

Dà atto che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

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