LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32355-2018 proposto da:
M.T., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. UGO CARDOSI;
– ricorrente –
contro
REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONCA D’ORO 300, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BAFILE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO MARPILLERO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2268/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2020 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.
RILEVATO
che:
Reale Mutua di Assicurazioni convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Latina M.T. chiedendo la condanna al pagamento della somma di Euro 36.439,65 a titolo di rivalsa. Espose l’attrice di avere provveduto quale assicuratore del veicolo a risarcire per l’importo di Euro 33.500,00 (oltre Euro 2.939,65 in favore dell’INPS di Latina) la terza trasportata a bordo del veicolo Fiat Stilo, di proprietà e condotta dal convenuto, terza danneggiata a seguito di sinistro stradale verificatosi con autoveicolo Mercedes. Aggiunse che al M. erano state contestate le violazioni al codice della strada per eccesso di velocità e guida con patente scaduta, circostanza quest’ultima che rendeva esperibile l’azione di rivalsa. Il Tribunale adito rigettò la domanda.
Avverso detta sentenza propose appello la società assicuratrice. Con sentenza di data 9 aprile 2018 la Corte d’appello di Roma accolse l’appello, condannando l’appellato al pagamento della somma di Euro 36.439,65, oltre interessi.
Osservò la corte territoriale che l’onere della prova dell’intervenuta convalida della patente estera, in quanto adempimento idoneo a paralizzare l’azione di rivalsa, incombeva sull’appellato, anche alla luce del c.d. principio di vicinanza dell’onere probatorio, e che sulla base della relazione del nucleo operativo dei c.c. di Latina risultava documentato che mentre il conducente della Mercedes era stato sanzionato per l’omessa precedenza, il conducente della Fiat Stilo era stato sanzionato per eccesso di velocità e per avere guidato privo di patente valida. Aggiunse che la cartella clinica, l’ulteriore documentazione medica in atti e la relazione medico-legale della Dott.ssa A. C. attestavano le lesioni patite dalla trasportata con la valutazione delle relative conseguenze e che l’atto di quietanza documentava il pagamento della complessiva somma di cui alla domanda. Osservò infine che il contratto prevedeva la facoltà di agire in rivalsa “quando il veicolo, al momento del sinistro, è guidato da persona non abilitata alla guida a norma delle disposizioni in vigore”.
Ha proposto ricorso per cassazione M.T. sulla base di sette motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che nessuno dei motivi di appello contiene gli elementi prescritti dall’art. 342 c.p.c. a pena di inammissibilità dell’impugnazione.
Il motivo è inammissibile. In violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il ricorrente non ha indicato lo specifico contenuto dell’atto di appello al fine di apprezzare la violazione processuale denunciata. L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato. Così come si afferma che ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. 20 settembre 2006, n. 20405; 29 settembre 2017, n. 22880), allo stesso modo, ove si denunci specularmente l’inammissibilità del motivo di appello, deve essere riportato il contenuto dell’atto nella misura necessaria ad evidenziarne il difetto di specificità. Tale onere processuale non risulta assolto dal ricorrente, essendosi questi limitato alla generica denuncia di mancanza di specificità.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2727 e 2697 c.c., D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 144 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che manca la prova circa la responsabilità del M. nel sinistro e che manca nella motivazione qualsiasi riferimento alle modalità con cui i carabinieri avrebbero accertato l’eccesso di velocità, che così resta sfornito di prova.
Il motivo è inammissibile. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5 (fra le tante da ultimo Cass. n. 13395 del 2018). La censura attiene esclusivamente al profilo della valutazione della prova.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 141 e 144 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, essendo imputabile il sinistro ad entrambi i conducenti sulla base della relazione dei carabinieri, l’azione di rivalsa poteva essere esperita solo in proporzione dell’incidenza causale della condotta del M. e che non vi è prova dell’integrale responsabilità di quest’ultimo. Aggiunge che l’assicuratore avrebbe potuto esperire la rivalsa nei confronti del M. per l’intero importo solo a condizione che costui fosse integralmente responsabile del sinistro.
Il motivo è fondato. L’impresa di assicurazione ha agito per la rivalsa nei confronti dell’assicurato, dopo avere risarcito la terza trasportata, ai sensi del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 144, comma 2. Il convenuto in rivalsa può tuttavia opporre all’assicuratore tutte le eccezioni in ordine alla responsabilità nella causazione del sinistro, all’esistenza del danno ed all’entità del risarcimento. L’assicuratore, quando non può opporre al danneggiato che agisce direttamente nei suoi confronti eccezioni derivanti dal contratto, “ha diritto di rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione”. Tale disposizione trova applicazione anche quando l’assicuratore abbia risarcito il danno sulla semplice richiesta del danneggiato, senza il preventivo accertamento della responsabilità dell’assicurato, il quale, peraltro, ove non abbia consentito al pagamento o abbia partecipato alla transazione, può contrastare la domanda di regresso formulando tutte le possibili eccezioni in ordine alla sua responsabilità ed alla entità del risarcimento, con onere probatorio a suo carico (Cass. n. 25429 del 2018, n. 22616 del 2012, n. 11065 del 2003).
Il giudice di merito ha accertato sia che l’importo di cui alla domanda corrisponde, in base agli atti di quietanza, a quanto corrisposto dall’impresa di assicurazione, sia che anche il conducente dell’altro veicolo è stato sanzionato per la violazione del codice della strada, ed in particolare per omessa precedenza. Ciò nonostante ha riconosciuto spettante per la rivalsa l’intero importo corrisposto. Dovrà invece il giudice di merito accertare se il sinistro è imputabile ad entrambi i conducenti, e non solo all’odierno ricorrente, e parametrare l’entità del risarcimento dovuto dall’assicurato all’effettiva responsabilità nella causazione del sinistro, sulla base del principio di diritto sopra richiamato, anche per ciò che concerne l’onere probatorio.
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 144 e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, se è vero che la documentazione medica costituisce la prova della sussistenza ed entità delle lesioni, non altrettanto vale per la quantificazione del risarcimento corrisposto, non essendovi prova che la misura del risarcimento dovuto fosse effettivamente corrispondente a quello erogato.
Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che in ordine al quantum manca la motivazione non essendo idonee le argomentazioni svolte a rivelare la ratio decidendi circa l’identificazione dell’importo di Euro 36.439,65.
I motivi quarto e quinto, da valutare unitariamente in quanto connessi, sono fondati. La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2004).
Il giudice di merito ha identificato senza residui l’importo corrisposto dall’impresa di assicurazione con l’entità del risarcimento dovuto. L’accertamento della coincidenza dei due importi è però privo di motivazione, non avendo il giudice di merito fornito la ragione per la quale l’entità del risarcimento dovuto corrispondesse all’importo indicato negli atti di quietanza (e non potendo la ragione in questione coincidere con il mero dato dell’importo pagato). Mancando la ratio decidendi sul punto, la motivazione deve ritenersi apparente.
Con il sesto motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che la corte territoriale ha omesso di esaminare il fatto che il conducente della Mercedes non si era arrestato alla segnaletica stradale, venendo così sanzionato per l’omessa precedenza, nonchè il fatto che nella relazione della Dott.ssa A. C. prodotta dall’impresa assicuratrice si leggesse che “la compatibilità con l’uso corretto dei presidi è dubbio in quanto in sede di pronto soccorso la paziente riferì di non indossare cinture di sicurezza”.
Il motivo è in parte assorbito ed in parte inammissibile. In relazione alla circostanza della condotta del conducente della Mercedes il motivo è da reputare assorbito per effetto dell’accoglimento del terzo motivo. Quanto al resto il motivo è inammissibile perchè il contenuto perplesso della relazione di carattere peritale, la quale denota l’esistenza di un “dubbio”, è inidoneo ad attribuire alla circostanza in questione il carattere di decisività richiesto dall’art. 360, comma 1, n. 5.
Con il settimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 144 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che l’onere probatorio circa la mancata conversione della patente straniera in patente italiana incombe sull’impresa di assicurazione e non sull’assicurato.
Il motivo è infondato. Fatto costitutivo del diritto di rivalsa è la circostanza che il veicolo fosse guidato da persona non abilitata alla guida, alla stregua della disposizione contrattuale per come accertata dal giudice di merito. La circostanza della conversione della patente straniera in patente italiana, quale fatto impeditivo del diritto alla rivalsa, ricade nell’onere probatorio dell’assicurato. Di tale regola di riparto dell’onere probatorio ha fatto corretta applicazione il giudice di merito.
PQM
accoglie il terzo, quarto e quinto motivo, rigettando per il resto ricorso, con l’assorbimento parziale del sesto motivo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021
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