Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.460 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35737-2018 proposto da:

G.E., P.M.T., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VALSUGANA, 3, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ZOMPICCHIATTI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 14, presso lo studio dell’avvocato NICOLA MANCUSO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati EDMONDO PESCATORI, MICAELA CHIRIACO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3224/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 13/12/2018, avverso la sentenza n. 3224/2018 della Corte d’Appello di Roma, depositata in data 15/5/2018, i sig.ri P.M.T. ed G.E. propongono ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Resiste, con controricorso notificato il 21/1/2019, il sig. D.D..

2. La sentenza in questa sede impugnata origina dall’appello interposto dagli attuali ricorrenti avverso la pronuncia del Tribunale di Roma con la quale, in accoglimento parziale della domanda proposta dal sig. D., i convenuti P.- G. erano stati ritenuti responsabili, nella misura del 90%, per il sinistro stradale occorso in data *****, configuratosi per l’attore danneggiato come infortunio in itinere e, per l’effetto, condannati in solido al risarcimento del danno differenziale – previa detrazione di quanto percepito e attribuito al D. in sede previdenziale e nei limiti della propria responsabilità pari al 10% – per l’importo di Euro 1.033.106,30, oltre lucro cessante, interessi legali e spese di lite. Il sinistro si era verificato in ***** quando il G., alla guida di una Citroen di proprietà della P., proveniente da ***** e gravato da obbligo di precedenza all’altezza di un incrocio, si inoltrava su ***** immettendosi in *****, allorchè veniva a collisione sulla parte anteriore destra dell’auto con il motociclo condotto dal D., proveniente da *****.

3. In appello, i P.- G. hanno contestato l’accertamento delle rispettive responsabilità dei conducenti svolto dal Tribunale, in specie deducendo la presenza di un’altra auto, rimasta sconosciuta, che avrebbe concesso la precedenza al G. (circostanza in tesi non contestata dal D.), inducendolo ad immettersi nella ***** non sopraggiungendo alcuno in quel momento, mentre la moto, sorpassando a destra l’auto non identificata, andava ad urtare la sua vettura che aveva già attraversato l’incrocio; nonchè, hanno rilevato che non fosse stata adeguatamente considerata la velocità del motociclista D., fonte di responsabilità prevalente dello stesso. Inoltre, hanno denunciato la violazione dell’art. 183 c.p.c. in quanto l’attore avrebbe prodotto tardivamente la documentazione medica su cui poi veniva espletata CTU medico-legale. In punto di quantum debeatur, invece, hanno contestato l’erronea liquidazione sia del danno patrimoniale, sostenendo che non fosse stato provato dall’attore, sia del danno non patrimoniale in relazione all’applicazione delle Tabelle del Tribunale di Roma, anzichè di quelle milanesi riferite al 2009. In ultimo, hanno lamentato la condanna alla rifusione delle spese di lite per intero, nonostante la soccombenza parziale dell’attore.

4. La Corte d’Appello ha accolto parzialmente il gravame in ordine alla liquidazione del danno non patrimoniale e del danno patrimoniale, mentre ha giudicato infondati i restanti motivi. Quanto ai motivi di rigetto, ha ritenuto che mancasse la prova della presenza dell’auto sconosciuta, nonchè irrilevante la velocità del motociclista nella causazione del sinistro, in considerazione della ricostruzione del medesimo. Quanto all’eccezione di valutazione di documentazione irrituale, ha rilevato che la consulente fosse stata autorizzata dal giudice di prime cure ad acquisire i documenti non allegati dall’attore. Infine, ha rigettato il motivo sulle spese processuali per come liquidate dal Tribunale, ritenendo che la riduzione del quantum debeatur operata in primo grado rispetto alla domanda attorea fosse contenuta comunque nello scaglione di valore da Euro 1.000.000,00 a Euro 2.000.000,00 e che i motivi di riduzione, peraltro, fossero attinenti alla liquidazione in sè e non a posizioni di natura riconvenzionale. Quanto ai motivi accolti, invece, ha ridotto il danno non patrimoniale determinato in prime cure, ritenendo eccessiva la liquidazione in ordine al danno morale, applicando comunque le Tabelle romane, dopo una comparazione con quelle milanesi al 2008, in ragione del fatto che le prime presentano criteri omogenei di valutazione del danno biologico, scorporato da quello morale; mentre in punto di danno patrimoniale ha assunto che – sebbene l’attore non avesse provato la percezione di un reddito effettivo ante sinistro – a tale carenza probatoria potesse sopperire il criterio del triplo della pensione sociale di cui alla L. n. 39 del 1977, art. 4. Infine, ha compensato le spese di lite del secondo grado.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “Omesso esame di una dichiarazione decisiva del G., della velocità del motoveicolo del D. e del verbale della polizia Municipale nonchè violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. I ricorrenti censurano la sentenza per aver omesso di valutare la dichiarazione resa dall’automobilista G. nell’immediatezza del sinistro, il quale chiariva di aver occupato l’intersezione stradale dopo aver ricevuto il via libera da un veicolo rimasto sconosciuto. Altro elemento non valutato sarebbe la velocità con cui il motociclista D. sopraggiungeva, emergente dalle dichiarazioni della teste R. (“sopraggiungeva (…) a velocità sostenuta”), nonchè dal verbale della polizia municipale (“non erano visibili tracce di frenata”); quest’ultimo – in specie – anch’esso per nulla considerato, dava atto dei limitatissimi danni subiti dall’auto del G., al chè sarebbe stato dimostrato che la moto toccava appena l’auto perchè stava tentando di superare la vettura non identificata e che l’autista aveva già quasi completato la manovra di immissione sulla *****. Infine, la Corte di merito avrebbe violato l’art. 115 c.p.c., comma 1, per non aver attribuito alcun rilievo al fatto che il motociclista non avesse mai contestato la presenza del veicolo rimasto sconosciuto.

1.1. Il motivo è inammissibile in quanto le censure svolte non integrano il paradigma delineato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7/4/2014; in senso conforme, ex plurimis, Cass., Sez. 2 -, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018; Sez. 3 -, Sentenza n. 9253 dell’11/4/2017).

1.2. Nel caso di specie, il denunciato omesso esame riguarderebbe: (i) le dichiarazioni del G. nell’immediatezza del sinistro; (ii) il verbale della polizia municipale; (iii) l’eccesiva velocità del motociclo.

1.3. Occorre tuttavia rilevare che, con il primo motivo di gravame, gli attuali ricorrenti avevano contestato l’erronea ricostruzione della dinamica del sinistro, adducendo la presenza di altra autovettura che, sopraggiungendo alla destra del convenuto G. e precedendo la moto, dava la precedenza alla Citroen del convenuto che, così, si immetteva nella *****, e solo a quel punto collideva con la moto che aveva tentato il sorpasso sulla destra dell’auto avanti a sè. Alla detta censura la Corte romana ha risposto puntualmente anzitutto rilevando che il G. non aveva completato l’immissione sulla *****, come si desume dal fatto che la collisione era avvenuta sulla parte anteriore della sua auto, di talchè, nel completare la svolta per assumere la posizione parallela all’asse stradale, aveva – senz’altro interferito sulla traiettoria di marcia del motociclista, che intanto sopraggiungeva a fianco dello sconosciuto automobilista, tagliandogli la strada e producendone la caduta. Nonchè, ha rilevato che in atti non vi fosse nessun elemento o traccia che confermasse la presenza di tale auto, vieppiù che la teste sentita aveva ricostruito la dinamica del sinistro puntualmente senza alcun riferimento alla predetta circostanza, peraltro, apparendo inverosimile che lo sconosciuto conducente del veicolo si fosse allontanato immediatamente, nonostante la gravità dell’incidente cui aveva assistito. Sicchè in difetto di prova, ha escluso l’applicazione di alcuna circostanza scriminante/attenuante favorevole agli appellanti, anche secondo l’orientamento della S.C. per cui “in tema di circolazione stradale, la cosiddetta precedenza di fatto sussiste soltanto nei casi in cui il veicolo si presenti all’incrocio con tanto anticipo da consentirgli di effettuarne l’attraversamento senza che si verifichi la collisione e senza che il conducente, cui spetta la precedenza di diritto, sia costretto ad effettuare manovre di emergenza, o a rallentare, oltre i limiti richiesti dalla presenza del crocevia o, addirittura, a fermarsi” (riporta, Cass. pen., Sez. 4, Sentenza n. 53304 del 29/9/2016).

1.4. Tanto premesso, in ordine alle dichiarazioni dell’attuale ricorrente (i) immediatamente dopo l’occorso, esse non costituiscono un “fatto storico”, quanto una risultanza istruttoria non censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ove il fatto sotteso sia stato comunque preso in considerazione dal giudice. Nel qual caso, dalla lettura della sentenza, per come dianzi rilevata, si evince che il giudice di merito ha effettivamente considerato la circostanza della possibile presenza di un’altra vettura, pur tuttavia ritenendola non provata o, comunque, non rilevante nel caso di specie (sentenza impugnata: p. 4, ult. cpv.; p. 5, 1 -ult. cpv.; p. 6, 1 cpv.) 1.5. Parimenti, costituisce una risultanza istruttoria e non un fatto storico il verbale della polizia municipale (ii) ove, in tal caso, il “fatto” sotteso – id est: i limitati danni subiti dall’auto dell’attuale ricorrente – invero, non emerge dalla lettura della sentenza. In tal caso, tuttavia, il ricorrente avrebbe dovuto rilevare “come” e “quando” la circostanza fosse stata oggetto di discussione tra le parti.

1.6. Infine, quanto alla velocità del motociclista (iii), pur costituendo un fatto storico, tale circostanza non è stata omessa, ma ampiamente considerata dalla Corte d’Appello, sebbene ritenendola non rilevante nella dinamica del sinistro (v. infra p.p. 2.1 e ss.).

1.7. Ulteriore profilo di doglianza su cui si concentra il motivo è la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, che, tuttavia, non è supportata dagli adeguati riferimenti agli atti processuali in ossequio al principio di specificità del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

1.8. E difatti, nel motivo si riporta che il motociclista non avrebbe mai contestato la presenza di un’altra autovettura che concedeva la precedenza al G., talchè la Corte d’Appello avrebbe dovuto ritenere la circostanza pacifica. Tuttavia, secondo il consolidato orientamento di questa Corte “In tema di ricorso per cassazione, quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi.” (Così, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 16655 del 9/8/2016; in senso conforme, Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24064 del 12/10/2017; Sez. 1, Sentenza n. 15961 del 18/7/2007). Di contro, nel caso concreto, nel ricorso si indica che la circostanza della presenza di un’altra auto sia stata “rilevata in tutti i gradi (in ultimo nell’atto di appello, punto 3.c), pag. 2 – motivo i pagg. 3 ss – All. II-A)” (ricorso: p. 11, ult. cpv.) mentre, per assolvere correttamente agli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il ricorrente avrebbe dovuto individuare – trascrivendoli e localizzandoli – anche gli atti processuali del primo grado per dimostrare la specifica allegazione del fatto che, ove assente o generica, avrebbe esonerato l’attore dal prendere una posizione sul punto (v. anche Cass., Sez. 2 -, Sentenza n. 20525 del 29/9/2020).

2. Con il secondo motivo si denuncia “Invalidità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione della velocità del veicolo del D.”. I ricorrenti denunciano l’illogica ricostruzione del nesso causale operata dalla Corte di merito e riverberatasi nel vizio di motivazione apparente della sentenza. In primo luogo, per aver ritenuto che la velocità sostenuta del motociclista non abbia influito sulla causalità del sinistro, ma solo sull’entità delle conseguenze. In secondo luogo, per aver ritenuto che tale velocità fosse irrilevante in quanto dalle dichiarazioni della teste si sarebbe dovuto dedurre che tutti gli esiti dell’incidente si erano verificati in uno “spazio limitato”.

2.1. Il motivo è fondato. Attenendo al vizio di motivazione apparente è utile ricostruire la ratio decidendi della sentenza impugnata in parte qua.

2.2. Con il secondo motivo di gravame, gli appellanti denunciavano la responsabilità prevalente del motociclista, incongruamente valutata dal primo giudice nella misura del 10% per aver sottovalutato l’elevata velocità con cui conduceva il motociclo. La Corte romana ha rigettato il motivo d’appello rilevando che il Tribunale aveva, invece, congruamente valutato la responsabilità del motociclista, “considerato che la velocità sostenuta con cui viaggiava il D. innanzitutto ha influito non sulla causalità del sinistro ascrivibile esclusivamente al G., ma sulla entità delle conseguenze, e rispetto a queste ha avuto comunque una incidenza secondaria”. Ha ritenuto, invece, che sulla base della testimonianza dovesse desumersi che le diverse sequenze del sinistro fossero racchiuse in un’area ristretta e, dunque, “Ciò evidenzia il simultaneo avvicendamento dei mezzi al punto di collisione (con grave responsabilità del G. che non si fermava per dare la precedenza) e la scarsa incidenza della velocità del motociclista, posto che questi, perdendo l’equilibrio cadeva a terra nelle – immediate adiacenze del punto d’urto, e la moto gli finiva addosso, dopo avere urtato contro due auto parcheggiate a ridosso del margine destro” (sentenza impugnata: p. 6, 1 cpv.) 2.3. Tale argomentare, tuttavia, non rende realmente percepibile l’iter decisionale svolto dalla Corte di merito a fondamento dell’accertamento dei rispettivi gradi di responsabilità dei conducenti. Invero, sostenere che la velocità del motociclista non abbia inciso sulla causalità del danno e che l’eziologia del medesimo sia ascrivibile “esclusivamente” all’automobilista, significa negare qualsiasi misura di responsabilità in capo al conducente della moto, onde resta oscura la ragione per cui, all’esito del gravame, la Corte indichi comunque la responsabilità di quest’ultimo nella misura del 10%.

2.4. Si osserva, in ogni caso, che il non aver concesso la precedenza cui era obbligato costituisce sì l’automobilista in colpa, ma non esonera il motociclista dal fornire la prova liberatoria, quale presupposto del superamento della presunzione di pari colpa dei conducenti prevista dall’art. 2054 c.c., comma 2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, difatti, “Nel caso di scontro tra veicoli, la presunzione di pari responsabilità prevista dall’art. 2054 c.c. ha carattere sussidiario, dovendosi applicare soltanto nel caso in cui sia impossibile accertare in concreto il grado di colpa di ciascuno dei conducenti coinvolti nel sinistro; l’accertamento della intervenuta violazione, da parte di uno dei conducenti, dell’obbligo di dare la precedenza, non dispensa il giudice dal verificare il comportamento dell’altro conducente onde stabilire se quest’ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l’eventuale inosservanza di dette norme comportare l’affermazione di una colpa concorrente.” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21130 del 16/9/2013; Sez. 3, Sentenza n. 9528 del 12/6/2012; Sez. 3, Sentenza n. 4755 del 9/3/2004).

Talchè, nel caso concreto, la Corte romana incorre in motivazione quantomeno perplessa ove ritiene il motociclista responsabile dell’occorso nella misura del 10% (e, correlativamente, del 90% l’automobilista) dopo avere escluso l’incidenza causale di detta condotta quando, invece, avrebbe dovuto adeguatamente considerare la rilevanza causale della velocità di guida tenuta dal D., nonchè – in termini generali – valutare se si fosse uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle della comune prudenza e, comunque, se si fosse trovato nella condizione di non poter fare alcunchè per evitare il sinistro (ex plurimis, Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 7479 del 20/3/2020; Sez. 3, Sentenza n. 23431 del 4/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 195 del 9/1/2007; Sez. 3, Sentenza n. 3193 del 14/2/2006; Sez. 3, Sentenza n. 21056 del 3/11/2004; Sez. 3, Sentenza n. 477 del 15/1/2003).

2.5. A margine, infine, occorre mettere in rilievo che, oltre a ritenere la velocità del motociclista non causalmente correlata al sinistro, la Corte territoriale la ritiene irrilevante anche sul presupposto dello spazio ristretto di verificazione della dinamica del sinistro. Senonchè, si tratta di una presunzione semplice – con cui il giudice di secondo grado tenta di superare quella legale di pari colpa dei conducenti – del tutto disancorata dai requisiti di cui all’art. 2729 c.c., comma 1. Preliminarmente, manca il carattere di “precisione” che, per giurisprudenza consolidata, postula che il “fatto noto” da cui si desume quello “ignoto” non sia vago, ma ben determinato nella sua realtà storica (v. Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 2482 del 29/1/2019); nel caso concreto, di contro, lo “spazio ristretto” della dinamica del sinistro viene dedotto dal giudice di merito attraverso le dichiarazioni della teste R. che, tuttavia, ha descritto sì la sequenza degli eventi, ma non specificamente gli spazi. Difetta, inoltre, anche il requisito di “gravità”, in quanto lo spazio ristretto di verificazione dell’occorso non dipende esclusivamente dalla moderata velocità ascrivile al motociclista, ma anche dagli specifici punti d’urto tra i vari veicoli. Così costruita, dunque, la presunzione non regge, non essendo comprensibile quale sia il grado di ragionevolezza della connessione in termini di probabilità statistica o, quantomeno, in termini di massime d’esperienza, neppure menzionate dal giudice di merito. (v. anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6220 del 23/3/2005).

3. Con il terzo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6 e art. 153 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per rimessione in termini di controparte circa l’allegazione di nuova documentazione utilizzata dalla CTU”. I ricorrenti lamentano che la CTU medico-legale espletata in prime cure si sia svolta su documenti irritualmente prodotti in giudizio oltre il termine ultimo previsto dall’art. 183 c.p.c., nonchè su documentazione mai prodotta e solo conosciuta de relato e – data la carenza documentale riscontrata dalla stessa consulente d’ufficio – sulle valutazioni di una perizia di parte effettuata fuori dal contraddittorio.

3.1. Il terzo motivo è fondato. Nel caso in esame, è la stessa Corte d’Appello a dare conto dell’acquisizione da parte della consulente d’ufficio di documenti irritualmente introdotti in giudizio. In specie, nella sentenza impugnata si legge: “E’ infondato il motivo con il quale si deduce l’invalidità della c.t.u. per rimessione in termini in violazione dell’art. 183 c.p.c. essendo stata la consulente autorizzata ad acquisire i documenti non allegati dall’interessato” (p. 7, 2 cpv.). Risulta evidente, dunque, la violazione delle preclusioni codicistiche di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, in cui è incorso il giudice di secondo grado in quanto, per giurisprudenza di legittimità costante, in tema di consulenza tecnica di ufficio, in virtù del principio dispositivo e dell’operare nel processo civile di preclusioni, assertive ed istruttorie, l’ausiliare del giudice, nello svolgimento delle proprie attività, non può – nemmeno in presenza di ordine del giudice o di acquiescenza delle parti – indagare d’ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti, nè acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte e nemmeno procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova (tra le altre, Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 31886 del 6/12/2019).

4. Con il quarto motivo si denuncia “Violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per errata applicazione delle tabelle sul danno biologico”. I ricorrenti deducono che la Corte d’Appello ha riformato la sentenza di prime cure in ordine alla liquidazione del danno non patrimoniale, ritenendo che il Tribunale avesse effettivamente valutato il danno morale in misura eccessiva rispetto alle tabelle milanesi del 2008. Senonchè, ha applicato comunque le tabelle predisposte dal Tribunale di Roma per il danno biologico, così operando una disparità di trattamento di circa Euro 300.000,00 rispetto a quanto avrebbe liquidato applicando le tabelle milanesi al 2009 che, invece, inglobano il danno morale nel danno biologico. Queste ultime, in specie, sarebbero maggiormente rispondenti all’orientamento della S.C. in quanto non prevedono un’autonoma voce di danno morale, ma un’unica voce di danno non patrimoniale, evitando il rischio di duplicazione del risarcimento dovuto per i medesimi pregiudizi e, dunque, di disparità di trattamento tra cittadini. Infine, il ricorrente rileva che la Corte di merito avrebbe applicato erroneamente le Tabelle del Tribunale di Roma del 2009, quandanche il sinistro si fosse verificato in data *****.

4.1. Il motivo è infondato.

Preliminarmente, occorre rilevare che in materia di danno non patrimoniale, i parametri delle “Tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano, normalmente in uso in tutto il territorio nazionale, sono da prendersi in considerazione ai fini della liquidazione del danno alla persona ovvero quale criterio di riscontro e verifica della ragionevolezza e proporzionalità della liquidazione cui si è pervenuti. Ne consegue l’incongruità della motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri tratti dalle “Tabelle” di Milano consenta di pervenire. (Così, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25164 del 2020; Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 8508 del 6/5/2020; Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 17018 del 28/6/2018; v. anche e Sez. 3, Sentenza n. 14402 del 30/6/2011).

4.2. In ordine alla motivazione addotta per giustificare l’utilizzo delle Tabelle romane, come criterio equitativo di valutazione del danno biologico, il giudice di secondo grado ha assolto a tale funzione. In accoglimento del quinto motivo di appello proposto dagli attuali ricorrenti, ha infatti rideterminato il quantum debeatur in punto di danno biologico in misura minore rispetto a quanto liquidato dal Tribunale e, per farlo, ha indicato le ragioni per cui ha ritenuto preferibili le Tabelle romane a quelle milanesi, motivando sulla utilità delle stesse. Ha rilevato, difatti, che dovendo detrarre il valore capitale del danno biologico compreso nel trattamento INAIL, le tabelle romane del 2009 venivano utili poichè in esse è indicato il “danno biologico puro”, con esclusione della quota di danno morale che risulta invece inclusa nelle tabelle milanesi al 2009. Dunque, al danno biologico “puro” indicato dalle tabelle romane, ha sottratto il danno biologico valutato in sede INAIL e, poi, ha aggiunto il danno biologico temporaneo e il danno morale valutato – sulla scorta di quanto indicato a livello tabellare nel 2009 – nella misura massima della metà del danno biologico puro, in considerazione della gravità delle ripercussioni di natura esistenziale abbattutesi sul danneggiato, con riduzione del 10% in ragione del concorso colposo.

4.3. Tale argomentare risulta corretto in quanto in tema di danno cd. differenziale, la diversità strutturale e funzionale tra l’erogazione Inail D.Lgs. n. 38 del 2000, ex art. 13 ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall’istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla decurtazione da tale danno dell’indennizzo erogato dall’Inail secondo un criterio di “poste omogenee”, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale, come il danno morale; pertanto, occorreva, nel caso concreto, dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest’ultimo alla quota Inail rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato; con riferimento al danno non patrimoniale, dall’importo liquidato a titolo di danno andavano dunque espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall’importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita Inail destinata a ristorare il danno biologico permanente (Cass., Sez. L -, Sentenza n. 9112 del 2/4/2019).

4.4. Dunque, l’esigenza di procedere all’esame del danno differenziale residuo dovuto in rapporto alla rendita Inail ha comportato che la Corte del gravame, con motivazione congrua, si sia risolta per l’applicazione delle tabelle romane del 2009, applicabili ratione temporis, dopo averle comparate con quelle milanesi del 2008, a motivo del fatto che all’epoca queste ultime, a differenza di quelle successive del 2009, non avevano ancora incorporato il danno morale e biologico in un’unica voce e, dunque, rappresentavano poste separate relative al danno morale e biologico, al pari di quelle romane da mettere a confronto, trattandosi comunque di criteri equitativi omogenei perchè apprezzati entro un determinato arco temporale non eccessivamente ampio.

4.5. La correttezza della decisione è confermata dall’espresso e non equivoco contenuto del testo legislativo (art. 138 Cod Ass., punto 2, lett. a): “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato), da leggersi in combinato disposto con la successiva lett. e) del medesimo punto 2 (“al fine di considerare la componente morale da lesione dell’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico (…) è incrementata in via progressiva e per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione”) che mette pace a una querelle dottrinale e giurisprudenziale sul punto, risalente alle sentenze “S. Martino” del 2008 delle Sezioni Unite (per tutte, v. Cass., S.U. n. 26972/2008), il cui contenuto è andato via via ridefinendosi in base ai successivi interventi messi a punto, prima dal legislatore e, poi, dalla giurisprudenza di questa Corte (in relazione agli ultimi approdi giurisprudenziali, v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25164 del 2020; in tal senso, v. anche Cass. n. 910/2018, Cass. n. 7513/2018, Cass. n. 28989/2019).

5. Con il quinto motivo si denuncia “Violazione del principio dispositivo ex art. 115 c.p.c., comma 1 e del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 137; invalidità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto alla quantificazione del danno patrimoniale”. Il vizio processuale emergerebbe in punto di statuizione sul quantum del danno patrimoniale in quanto la Corte d’Appello, a pag. 12 della sentenza, correla il danno biologico a quello patrimoniale mentre, a pag. 7, sostiene l’esatto contrario. Quanto rilevato, peraltro, sarebbe in contrasto con l’orientamento di questa Corte per cui il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette automaticamente, nè tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica, sicchè è onere del danneggiato supportare la richiesta risarcitoria con elementi idonei alla prova del pregresso effettivo svolgimento di attività economica. In punto di prova, peraltro, il ricorrente adduce che il D. si fosse limitato a produrre una busta paga successiva all’occorso (luglio 2009). Si assume quindi che il giudice di secondo grado abbia ritenuto la sussistenza del danno patrimoniale anche in difetto di prova e che, altrettanto impropriamente, lo abbia calcolato con il criterio residuale del triplo della pensione sociale, oltre ad una somma ulteriore in via equitativa.

5.1. Il motivo è fondato. La Corte d’Appello ha ritenuto non dimostrato il reddito effettivo percepito ante sinistro, essendosi la parte attrice limitata a produrre una busta paga relativa a luglio 2009 (un anno dopo il sinistro) attestante un reddito di Euro 3.333,33 (= 168 ore per 26 giorni). Ha anche rilevato che ciò non è in grado di compromettere la valutazione in termini di prova, non essendo tale da rappresentare un reddito continuativo percepito dal D. successivamente al sinistro, a fronte dei gravi postumi riportati che avevano gravemente pregiudicato in ogni sua attività. Cosicchè, ha ritenuto di poter applicare la L. n. 39 del 1977, art. 4, considerato il grado di invalidità pari all’80%, per poi rilevare che tale somma fosse comunque inferiore al valore capitale della rendita INAIL e, dunque, che a titolo integrativo, dovesse attribuirsi una ulteriore somma in via equitativa.

5.2. In parte qua, tuttavia, la sentenza impugnata non si confronta con il consolidato orientamento di questa Corte per cui la liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa, deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima, e non il triplo della pensione sociale. Il ricorso a quest’ ultimo criterio, ai sensi dell’art. 137 c. ass., può essere consentito solo quando il giudice di merito accerti, con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che la vittima al momento dell’infortunio godeva sì un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato.” (Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 25370 del 12/10/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8896 del 4/5/2016; Sez. 3, Sentenza n. 4743 del 30/3/2001).

5.3. Nel caso concreto, dunque, seguendo il ragionamento della mancata prova del reddito percepito ante sinistro, non avrebbe potuto applicarsi il criterio residuale di cui al D.L. n. 857 del 1976, art. 4, comma 3, convertito con modificazioni in L. n. 39 del 1977 (oggi, art. 137 cod. ass.). Il danneggiato, difatti, deve provare la contrazione reddituale subita a causa del sinistro, non potendo il giudice di merito sopperire a tale difetto probatorio con l’utilizzo di argomenti surrettizi che valgono solo quando la capacità di reddito sia dimostrata ante sinistro, ma si dimostri comunque modesta.

5.4. Con il sesto ed ultimo motivo si denuncia la “Violazione ed erronea applicazione degli art. 91 c.p.c., art. 92 c.p.c., comma 2, e art. 336 c.p.c., in ordine alla liquidazione delle spese di lite e degli onorari di difesa, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. I ricorrenti rilevano che la Corte d’Appello ha compensato le spese di lite solo in relazione al secondo grado, quandanche – in base all’esito complessivo del giudizio – avrebbe dovuto procedere alla compensazione anche delle spese del primo grado o, quantomeno, a considerare lo scaglione di valore in base a cui procedere alla liquidazione. Sul punto, deduce di essere stato condannato in secondo grado al pagamento di Euro 430.414,00 a titolo di risarcimento, contro gli originari Euro 1.033.106,30 disposti dal Tribunale e che pertanto la valutazione non è stata fatta secondo i corretti parametri. Il motivo è assorbito, dovendo la Corte d’Appello procedere ad un nuovo regolamento delle spese di lite all’esito del giudizio di rinvio.

6. Conclusivamente, la Corte accoglie il ricorso quanto al secondo, al terzo e al quinto motivo, con assorbimento del sesto; dichiara inammissibile il primo motivo e rigetta il quarto; per l’effetto cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, per quanto di ragione, quanto al secondo, al terzo e al quinto motivo, con assorbimento del sesto; dichiara inammissibile il primo motivo e rigetta il quarto;cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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