LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10530-2019 proposto da:
S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA STRESA 53, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE POMPEO PINTO, rappresentata e difesa dall’avvocato DANILLO TASCHIN;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** SAS DI *****, in persona de Curatore pro tempore, C.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DANTE DE BLASI 5, presso lo studio dell’avvocato MARCO PAOLO FERRARI, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANDREA OLIVIERI, ROBERTO NEVONI;
– controricorrenti –
avverso il decreto del TRIBUNALE di PADOVA, depositato il 11/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA PONTERIO.
RILEVATO
che:
1. S.S., premesso di essere stata assunta dalla C.G. & C. sas (poi divenuta ***** sas di *****) il ***** e di aver svolto per oltre 23 anni le mansioni di impiegata, inquadrata al livello 7 settore metalmeccanico industria, ha chiesto di essere ammessa al passivo del fallimento, in via privilegiata ex art. 2751 bis c.c., n. 1, per la somma capitale di Euro 95.991,52 a titolo di mancato pagamento di buste paga e TFR;
2. avverso il rigetto della domanda da parte del giudice delegato, la ricorrente ha proposto opposizione che il Tribunale di Padova ha respinto con decreto dell’11.3.2019;
3. il Tribunale ha premesso che la ricorrente aveva prodotto il contratto di lavoro del 1991, le buste paga e le dichiarazioni dei redditi dal 1991 al 2017, nonchè certificazione contributiva;
4. ha respinto il ricorso sul rilievo che, a prescindere dalla sussistenza o meno del vincolo di subordinazione, mancasse la prova del quantum del credito azionato; l’ammontare del credito, infatti, non poteva desumersi dalle buste paga, prive di efficacia probatoria in quanto mancanti della firma, sigla o timbro del datore, e neanche dal contratto di lavoro del 1991, che non recava indicazioni sull’entità della retribuzione; che parimenti non provato era il quantum riferito all’ulteriore credito vantato per arretrati, indennità di preavviso, festività, tredicesima, quattordicesima e TFR, in ordine ai quali l’allegazione era del tutto generica;
5. avverso tale decreto S.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso il Fallimento della ***** sas di ***** e del socio accomandatario in proprio C.L.;
6. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
7. con il primo motivo di ricorso è dedotto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio relativo al versamento di contributi e al pagamento delle retribuzioni. Omessa considerazione dei documenti prodotti, in particolare delle certificazioni contributive e delle certificazioni uniche;
8. si afferma che il decreto impugnato dà conto di tutti i documenti prodotti dalla ricorrente, salvo poi motivare il rigetto per mancata prova del quantum solo in ragione della inidoneità a tal fine delle buste paga, in quanto non firmate dal datore di lavoro, e senza considerare gli altri documenti prodotti, in particolare, le certificazioni contributive e le certificazioni uniche aventi piena efficacia probatoria dello svolgimento del rapporto di lavoro tra le parti;
9. la ricorrente ha aggiunto di aver evidenziato al Tribunale che il Commissario, all’epoca del concordato, l’aveva richiamata a lavoro per lo svolgimento delle mansioni amministrative, versando i relativi contributi e che l’estratto conto previdenziale attestava come la stessa aveva potuto usufruire degli ammortizzatori sociali previsti per il periodo di mobilità per la durata di due anni a partire dal 2013; entrambe tali allegazioni erano state ignorate dal Tribunale;
10. col secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. anche in relazione all’art. 2704 c.c.. Omessa valutazione del valore probatorio delle certificazioni uniche e degli estratti contributivi prodotti in giudizio;
11. si ribadisce che la documentazione prodotta ha piena efficacia probatoria in ordine alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra le parti e all’ammontare del credito;
12. col terzo motivo di ricorso è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in particolare quanto alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato; l’accertamento di tale rapporto avrebbe avuto quale conseguenza quella di riconoscerne la naturale onerosità, imponendo al fallimento l’onere di dimostrarne la gratuità;
13. i tre motivi di ricorso, logicamente connessi e in parte sovrapponibili, quindi da trattare congiuntamente, sono fondati e devono trovare accoglimento;
14. l’attuale ricorrente ha chiesto l’insinuazione al passivo del credito per differenze retributive e T.F.R. allegando lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato con la società C.G. & C. sas (poi divenuta ***** sas di *****) dal ***** e per oltre ventitre anni; al fine di dimostrare il fatto costitutivo del proprio diritto la S. ha prodotto, come riportato dallo stesso decreto impugnato, il contratto di assunzione, le buste paga relative all’intero periodo dal 1991 al 2017, ed anche le certificazioni uniche e le certificazioni contributive per il medesimo periodo;
15. il Tribunale ha respinto l’opposizione allo stato passivo per difetto di prova del quantum della pretesa ed ha motivato la decisione in ragione della inidoneità delle buste paga e del contratto di assunzione a fornire la prova del credito vantato; le prime in quanto prive della firma, sigla o timbro del datore di lavoro e quindi di efficacia probatoria ai fini dell’accertamento del passivo fallimentare (cfr. Cass. n. 17413/15); il contratto di assunzione, in quanto mancante di elementi atti a consentire di individuare l’ammontare della retribuzione contrattualmente prevista;
16. questa Corte ha più volte ribadito che, qualora il lavoratore agisca in giudizio per conseguire le retribuzioni allo stesso spettanti, ha l’onere di provare lo svolgimento del rapporto di lavoro, quale fatto costitutivo del diritto azionato, mentre incombe sul datore di lavoro che eccepisce la corresponsione delle somme richieste, l’onere di fornire la prova dell’avvenuto pagamento;
17. non vi è dubbio che il versamento da parte datoriale dei contributi e la trasmissione dei documenti fiscali relativi ai redditi erogati alla dipendente, costituisse fatto decisivo ai fini del decidere, in quanto afferente allo svolgimento del rapporto di lavoro che è elemento costitutivo del diritto azionato, idoneo inoltre ad esaurire l’onere di prova che grava sulla lavoratrice; non è infatti questa, secondo la regola di cui all’art. 2697 c.c., a dover dimostrare il quantum di retribuzione non percepita, bensì il datore di lavoro a dover fornire prova del pagamento delle retribuzioni maturate per effetto dell’esecuzione del rapporto, quindi del quantum corrisposto;
18. il Tribunale non ha preso in esame il fatto dell’avvenuto versamento dei contributi e della trasmissione delle certificazioni uniche e neppure la documentazione relativa a tali adempimenti; infatti, sebbene il decreto indichi le certificazioni uniche e contributive tra i documenti prodotti dalla lavoratrice, omette tuttavia qualsiasi riferimento ad esse nella ricognizione del fatto costitutivo e del quantum del credito azionato;
19. eppure si tratta di documentazione certamente idonea ad integrare i requisiti di prova documentale richiesta al fine dell’opponibilità della prova scritta di un credito al fallimento, anche in ordine al parametro di cui all’art. 2704 c.c. (così Cass. n. 10041 del 2017);
20. nè la motivazione del decreto contiene elementi da cui possa inferirsi una valutazione implicita di inidoneità a fini probatori, oppure di irrilevanza, delle certificazioni di cui si discute;
21. secondo il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è denunciabile per cassazione solo il vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) e le successive pronunce conformi (cfr. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016) hanno precisato che l’omesso esame deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Non solo quindi la censura non può investire argomenti o profili giuridici, ma il riferimento al fatto secondario non implica che possa denunciarsi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche l’omesso esame di determinati elementi probatori;
22. si è precisato (Cass. n. 16812 del 2018; n. 19150 del 2016) che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa;
23. nel caso di specie, i requisiti suddetti paiono completamente integrati in quanto la motivazione del decreto impugnato rivela l’omesso esame di una parte dei documenti prodotti (certificazioni uniche e certificazione previdenziale), atti a dimostrare circostanze decisive rispetto al fatto controverso dello svolgimento del rapporto di lavoro e della maturazione del credito azionato, tali da inficiare il presupposto su cui la decisione si fonda, vale a dire il mancato adempimento da parte della lavoratrice all’onere di prova dei fatti costitutivi del diritto azionato;
24. per tali ragioni, il ricorso deve essere accolto; il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio al medesimo Tribunale, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Padova, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza, il 10 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021
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