Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.472 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18584-2018 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DOMENICO DE FEO;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 39, presso lo studio dell’avvocato MARCO PASSALACQUA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONELLA NEGRI, MARCELLO GIUSTINIANI, ANNA GRAZIA SOMMARUGA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 218/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 01/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.

RILEVATO

CHE:

la Corte di appello di Firenze ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da T.A. nei confronti di Banca Monte dei Paschi di Siena Spa (di seguito MPS o Banca) per acquiescenza alla sentenza di primo grado che, pronunciando sull’opposizione a precetto di MPS, aveva annullato la transazione intervenuta tra le parti in occasione della cessazione del rapporto di lavoro e dichiarato l’inesistenza del diritto di T.A. a procedere ad esecuzione forzata nei confronti della Banca;

ha proposto ricorso per cassazione T.A., con un motivo;

ha resistito, con controricorso, MPS;

la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:

con un unico motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c.; la censura investe la decisione di inammissibilità dell’appello per tacita acquiescenza;

è opportuna una sintetica ricostruzione dei fatti di causa:

– MPS ha intimato licenziamento per giustificato motivo oggettivo al ricorrente;

– le parti hanno sottoscritto un accordo con cui hanno convenuto la risoluzione consensuale del rapporto, a fronte di un incentivo all’esodo di Euro 285.000,00; pagata la prima tranche, la Banca ha cessato l’erogazione dei pagamenti; a base della determinazione, vi è stata la sopraggiunta conoscenza, da parte di MPS, di condotte di rilevanza penale del lavoratore, oggetto di procedimenti in sede penale;

– con atto di notifica di titolo esecutivo e contestuale precetto, T. ha intimato alla Banca il pagamento di Euro 121.065,68, a saldo di quanto pattuito con il precedente accordo;

– MPS ha proposto opposizione a precetto con richiesta di “annullamento del verbale di conciliazione” per errore di fatto e/o dolo. La domanda è stata accolta dal Tribunale di Siena, con pronuncia del 21 ottobre 2016;

– all’esito della statuizione del Tribunale di Siena, T. ha agito sia dinanzi al Tribunale di Milano (con ricorso del 21.12.2016 respinto con sentenza del 7.3.2017) per la ricostituzione del rapporto di lavoro, sia dinanzi alla Corte di appello di Firenze (con ricorso del 12 aprile 2017, definito con la sentenza qui impugnata) per ottenere la riforma della decisione di primo grado;

– per la Corte di appello di Firenze, l’azione dinanzi al Tribunale di Milano ha reso manifesta la volontà di accettare totalmente la sentenza di annullamento della conciliazione;

osserva il Collegio che, nella descritta condotta processuale, non sia, invece, configurabile alcuna ipotesi di acquiescenza, nel senso conosciuto dal codice di rito e reso vivo dalla giurisprudenza;

dall’esame degli atti (debitamente trascritti in ricorso e puntualmente localizzati dalla parte), possibile per la natura del vizio denunciato, emerge che, con il ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, T. “riservandosi ogni più ampia possibilità di promuovere ricorso in appello avverso la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Siena” agiva, nelle more, per la ricostituzione del rapporto di lavoro;

la stessa MPS (v. pag. 13 del ricorso in cassazione), nella memoria di costituzione dinanzi al Tribunale di Milano, deduceva che erano “attualmente pendenti i termini per l’appello della predetta sentenza (id est: della sentenza del Tribunale di Siena dichiarativa della invalidità dell’accordo transattivo) che il sig. T. con il suo legale si (era) riservato di proporre (…)”;

per giurisprudenza costante, l’acquiescenza alla sentenza impugnata, con conseguente sopravvenuta carenza d’interesse della parte all’impugnazione proposta, consiste nell’accettazione della decisione, e quindi nella manifestazione di volontà del soccombente di rinunciare a tale impugnazione, la quale può avvenire in forma espressa o tacita, potendo, tuttavia, in quest’ultimo caso ritenersi sussistente solo qualora l’interessato abbia posto in essere atti dai quali emerga, in maniera precisa ed univoca, il suo proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè quando gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione (Cass., sez. un., n. 9687 del 2013; tra le pronunce delle sezioni semplici, ex plurimis, Cass. n. 4650 del 2006; Cass. n. 13 del 2007; Cass. n. 23482 del 2010; Cass. n. 13293 del 2014);

nel caso in esame, le vie giudiziarie intraprese dal T. non sono, tra loro, nè logicamente, nè giuridicamente incompatibili: il lavoratore, all’esito della pronuncia del Tribunale di Siena e con riserva di impugnazione della decisione medesima, ha agito per la ricostituzione del rapporto di lavoro, quale supposto effetto del venir meno dell’accordo risolutivo del rapporto e di incentivo all’esodo. In tal modo, senza esprimere incondizionata accettazione del decisum, ha piuttosto manifestato solo un interesse, giuridicamente rilevante, alternativo a quello principale – coltivato attraverso l’impugnazione – di accertamento di validità del contratto transattivo;

deve, dunque, escludersi che vi sia stata acquiescenza preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c.. Ogni preoccupazione, evidenziata dalla parte controricorrente, di un possibile contrasto di giudicati sarà scongiurata dai rimedi, a tal fine, apprestati dall’ordinamento processuale;

la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Firenze che, in diversa composizione, procederà al riesame della fattispecie concreta, facendo applicazione degli esposti principi.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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