LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2997-2019 proposto da:
M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALDINIEVOLE 11, presso lo studio dell’avvocato ESTER FERRARI MORANDI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
INPS, – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati LIDIA CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO, SERGIO PREDEN;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di TIVOLI, depositato il 19/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.
RILEVATO
CHE:
il Tribunale di Tivoli, con decreto ex art. 445 bis c.p.c., omologava l’accertamento del requisito sanitario “previsto dalla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1”;
quanto alle spese, il Tribunale “compensa(va) le spese di lite per metà, stante l’accoglimento parziale della domanda, e condanna(va) l’INPS al pagamento della restante metà delle spese di lite, liquidate in Euro 657,25(…)”;
per la cassazione del decreto nella parte relativa alla statuizione sulle spese M.L. ha proposto ricorso straordinario ex art. 111 Cost., affidato a due motivi;
l’INPS ha resistito con controricorso.
la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo è denunciata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e la falsa applicazione dell’art. 13 c.p.c., comma 2 nonchè del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4 e 5 per avere il Tribunale, senza alcuna indicazione dei criteri utilizzati, proceduto ad una liquidazione inferiore ai valori previsti dal citato D.M., ratione temporis applicabile;
con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., per avere il giudice riconosciuto un compenso professionale non adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione;
i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono fondati nei termini che seguono;
si osserva che, ai fini della individuazione degli scaglioni applicabili in ragione del valore della causa per la liquidazione delle spese di giudizio, nelle controversie relative a prestazioni previdenziali (quale quella in oggetto), il valore della causa deve essere determinato alla stregua del criterio dettato dall’art. 13 c.p.c., comma 2, (e cioè cumulando fino ad un massimo di dieci le annualità domandate), fissato per le cause relative a rendite temporanee o vitalizie (in motivazione Cass., sez. un., n. 10454 del 2015; Cass. n.15656 del 2012);
applicando tali principi al caso in esame, il valore della causa va individuato tra Euro 26.000,00 ed Euro 52.000,00, in tale scaglione rientrando l’ammontare di dieci annualità della prestazione richiesta, ed i parametri minimi stabiliti per tale scaglione, computando tre fasi per il procedimento di istruzione preventiva (cui deve parametrarsi il giudizio per ATP), vanno individuati in Euro 1.212,00 (risultanti dalla somma di Euro 472,50 per studio della controversia, Euro 375,00 per la fase introduttiva del giudizio ed Euro 364,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, dovendosi, poi, ridurre le prime due del 50% e la terza del 70%, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4; cfr. al riguardo, Cass. n. 12460 del 2020);
non sussiste, invece, il vincolo del giudice alla determinazione media del compenso professionale. Ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 (artt. 1 e 4) il giudice deve soltanto liquidare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe; in proposito, è stato anche chiarito, sia pure con riferimento al D.M. n. 140 del 2012 – ma con principio che resta attuale anche nella vigenza del D.M. n. 55 del 2014 – che il giudice è tenuto ad indicare le concrete circostanze che giustificano la liquidazione solo in caso di deroga ai minimi e massimi stabiliti dal D.M (cfr. Cass. n. 18167 del 2015; Cass. n. 16225 del 2016; Cass. n. 253 del 2016);
avuto riguardo all’importo dianzi indicato, la liquidazione delle spese contenuta nell’impugnato decreto risulta inferiore ai minimi, nè risulta alcuna motivazione in ordine alla non riconoscibilità, nel caso concreto, di alcuni compensi stabiliti dal D.M. n. 55 del 2014 cit., in relazione alle singole fasi processuali. Non è in discussione, infatti, che l’indicazione della somma di “Euro 657,25” debba riferirsi all’importo complessivo, come reso palese dalla concordanza del participio (“liquidate”) alle “spese di lite” e non alla metà delle stesse liquidata alla parte vittoriosa;
pertanto, in accoglimento del ricorso, il decreto va cassato per quanto di ragione e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con compensazione delle spese, relative alla fase di ATP, nella misura della metà e condanna dell’INPS al pagamento della restante metà, liquidata in Euro 606,00 (pari al 50% di Euro 1212,00), per compensi professionali, oltre rimborso delle spese forfetario nella misura del 15%, con distrazione al procuratore antistatario;
le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione all’avv.to Ester Ferrari Morandi.
PQM
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, compensa per metà le spese del giudizio di ATP e condanna l’INPS al pagamento della restante metà, liquidata in Euro 606,00 per compensi professionali oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge con distrazione al procuratore antistatario.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente liquidate in Euro 500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con attribuzione all’avv.to Ester Ferrari Morandi.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021