Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.474 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9044-2019 proposto da:

O.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ETTORE ROLLI 24, presso lo studio dell’avvocato ARTURO SFORZA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 430/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 10/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.

RILEVATO

CHE:

A.M. ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 391bis c.p.c. avverso la sentenza n. 430 del 2019, con la quale la Corte di cassazione ha respinto il ricorso ordinario per cassazione proposto dalla medesima ricorrente nei confronti del MIUR;

dinanzi alla Corte di legittimità era stata impugnata la decisione della Corte di appello di Torino (n. 82 del 2016) che, a sua volta, aveva respinto il gravame dell’ A. avverso la decisione di primo grado di rigetto della domanda di risarcimento del danno per perdita della possibilità di ottenere la pensione nell’anno 1989;

per quanto qui interessa, a fondamento del decisum, la Corte ha osservato come la questione da esaminare riguardasse (solo) il regime di prescrizione applicabile; ha ritenuto corretta la qualificazione dell’azione operata dai giudici di merito, in termini di azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. ed ha escluso la valenza interruttiva del tentativo di conciliazione;

al giudizio di revocazione, articolato in un unico ed articolato motivo, non ha opposto difese il MIUR che ha depositato mero atto di costituzione per partecipare alla discussione orale;

parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

CONSIDERATO

CHE:

la ricorrente deduce errore di fatto, rinvenibile nella sentenza impugnata, per avere la Corte omesso di esaminare lo scritto difensivo della ricorrente, ritualmente versato in giudizio per l’udienza pubblica del 9 ottobre 2018, in cui si evidenziava “(…) come al momento della citazione in giudizio del MIUR per il riconoscimento dei danni subiti dalla ricorrente, cioè al 27 novembre 2013, non (fosse) ancora spirato il termine quinquennale di prescrizione” giacchè solo il ritiro del provvedimento (originariamente) attributivo del trattamento pensionistico (collocabile nel 2009, v. memoria difensiva, pag. 1) avrebbe potuto segnare il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione;

per la parte ricorrente, l’errore revocatorio è individuato, pertanto, nella supposizione di un fatto (l’intervenuta prescrizione quinquennale; recte l’inerzia del titolare del diritto) la cui verità sarebbe incontrastabilmente esclusa dal (fatto non controverso rappresentato dal) documento di ritiro del provvedimento di riconoscimento della pensione, per il sopravvenuto diniego del visto degli organi preposto al controllo;

il ricorso è inammissibile;

per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato (tra le tante, Cass. n. 442 del 2018, Cass. n. 6405 del 2018; Cass. n. 4456 del 2015; in motiv., Cass., sez. un., n. 5906 del 2020);

l’errore revocatorio deve, dunque, avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve, inoltre, essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata “con certezza di segno opposto” (nei termini, Cass. n. 5197 del 2002; successivamente, ex plurimis, in motivaz. Cass. n. 19240 del 2011; Cass. n. 4050 del 2016);

coerentemente, esula dalla logica del rimedio revocatorio, ai sensi del combinato disposto dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, l’errore di diritto, sostanziale o processuale, come l’errore di giudizio o quello di valutazione (tra le molte, Cass. n. 6405 del 2018 cit.; Cass. n. 22171 del 2010; in motiv., Cass., sez.un., n. 8984 del 2018);

in modo evidente, nel caso di specie, la denunciata censura non illustra una “svista obiettivamente e immediatamente percepibile”, commessa dalla Corte regolatrice, ma piuttosto cela una inammissibile istanza di riesame delle risultanze processuali e, in particolare, del documento rappresentativo dell’atto di ritiro del provvedimento di riconoscimento della pensione, ai fini della individuazione del dies a quo del termine di prescrizione;

trattasi, chiaramente, di una critica che investe direttamente l’attività valutativa e di apprezzamento giuridico ai fini dell’individuazione del termine di prescrizione, insuscettibile, in quanto tale, di rimedio revocatorio;

va, dunque, dichiarata l’inammissibilità del ricorso;

nulla va disposto in merito alle spese del giudizio di legittimità, in difetto di sostanziale attività difensiva da parte del Ministero;

va dato atto, invece, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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