LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13582-2019 proposto da:
M.G., P.A., R.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE XXIV APRILE 12, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA MINIERI, che li rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 27100/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 25/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.
RILEVATO
CHE:
P.A. ed altri litisconsorti hanno proposto ricorso ai sensi dell’art. 391bis c.p.c. avverso la sentenza n. 27100 del 2018, con la quale la Corte di cassazione ha respinto il ricorso ordinario dai predetti proposto nei confronti dell’Agenzia delle Dogane;
dinanzi alla Corte di legittimità era stata impugnata la decisione della Corte di appello di Roma (pronuncia n. 1118 del 2013) di rigetto del gravame avverso la decisione di primo grado che, in relazione alla domanda dei ricorrenti di risarcimento del danno e di condanna al pagamento di differenze retributive per mansioni superiori, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione, in relazione alla domanda risarcitoria, e, per il resto, l’infondatezza della pretesa;
per quanto solo rileva in questa sede, a fondamento del decisum, la Corte ha osservato come le censure afferenti alla statuizione di difetto di giurisdizione fossero inammissibili per “plurimi motivi”; in primo luogo, i rilievi con cui i ricorrenti avevano messo in discussione la lettura dell’atto di appello da parte dei giudici di merito (impugnazione giudicata generica in ordine alla statuizione di difetto di giurisdizione del Tribunale e, pertanto, coperta da giudicato interno) non erano specifici (per non essere stato nè riprodotto, nel ricorso ordinario per cassazione, nè ritualmente allegato allo stesso, l’atto di appello);
inoltre, ulteriore profilo di inammissibilità era rappresentato dal fatto che i ricorrenti non avessero formulato alcuna censura nei confronti della statuizione con la quale la Corte territoriale aveva rilevato che “(…) gli appellanti non avevano ottemperato all’onere di produrre in forma integrale il provvedimento del Commissario ad acta n. 2810 del 6 febbraio 2004 sul quale era stata fondata la affermata giurisdizione del giudice ordinario”;
al giudizio di revocazione non ha opposto difese l’Agenzia delle Dogane che ha depositato mero atto di costituzione;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
la parte ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
i ricorrenti deducono errore di fatto della sentenza impugnata, tale da giustificare la revocazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, e lo individuano nella diversa rappresentazione della circostanza rappresentata dalla ” produzione integrale della determinazione n. 2810/2004", esclusa dalla sentenza della Corte e, invece, emergente dai documenti processuali;
il ricorso è inammissibile;
per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato (tra le tante, Cass. n. 442 del 2018, Cass. n. 6405 del 2018; Cass. n. 4456 del 2015; in motiv., Cass., sez. un., n. 5906 del 2020);
l’errore revocatorio deve, dunque, avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve, inoltre, essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa (v, ex plurimis, in motivaz. Cass. n. 14656 del 2017);
coerentemente, deve escludersi, per difetto di decisività, il rimedio revocatorio quando, come nella specie, la decisione della Corte di cassazione sia sorretta da più rationes decidendi e il supposto errore investa circostanze di fatto rilevanti ai fini di uno solo dei percorsi argomentativi;
come già evidenziato nello storico di lite, la pronuncia della Corte di appello impugnata con ricorso ordinario dinanzi a questa Corte era, a sua volta, sorretta da una duplice ratio decidendi:
1. formazione del giudicato interno sul difetto di giurisdizione;
2. rigetto, nel merito, della questione di giurisdizione perchè fondata su un documento “decisivo” non prodotto integralmente (id est: la determinazione n. 2810 del 2004);
le censure relative alla prima argomentazione sono state giudicate dalla Corte di cassazione inammissibili per difetto di specificità;
all’esito di tale statuizione, il difetto di giurisdizione del GO in ordine alla domanda risarcitoria è divenuto definitivo, anche qualora – e così non è per quanto di seguito va ad osservarsi – si fosse in presenza del supposto errore di fatto;
invero, l’affermazione censurata dai ricorrenti perchè fondata su una circostanza di fatto smentita dagli atti processuali non è riferibile alla Corte di legittimità ma a quella di merito (così testualmente al p. 20 di Cass. 27100 del 2018: “Ulteriore profilo di inammissibilità dei motivi in esame consegue al fatto che i ricorrenti non hanno formulato alcuna censura nei confronti della statuizione con la quale la Corte territoriale ha rilevato che(…) gli appellanti non avevano ottemperato all’onere di produrre in forma integrale il provvedimento del Commissario ad acta n. 2810 del 6 febbraio 2004 sul quale era stata fondata la affermata giurisdizione del giudice ordinario); per la Corte, piuttosto, l’argomentazione, in quanto non censurata, era idonea, in via autonoma, a sorreggere la decisione appellata;
in conclusione, il ricorso è inammissibile;
nulla deve provvedersi in ordine alle spese processuali, in difetto di sostanziale attività difensiva da parte dell’intimata;
deve, invece, darsi atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La corte dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 10 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021