Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.4792 del 23/02/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4168-2020 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCIA FRAZZANO;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANLUCA COZZI’;

– controricorrente –

per regolamento di competenza avverso la sentenza n. 32/2020 del TRIBUNALE di BENEVENTO, depositata il 10/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSETTI MARCO;

lette le conclusioni scritte del PUBBLICO MINISTERO in persona del SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE DOTT. SOLDI ANNA MARIA che visto l’art. 380 ter c.p.c., chiede che la Corte di Cassazione, in camera di consiglio, rigetti il presente regolamento.

FATTI DI CAUSA

1. S.A. nel 2014 chiese ed ottenne dal Tribunale di Benevento un decreto ingiuntivo nei confronti di A.A..

A fondamento del ricorso monitorio invocò due ricognizioni di debito sottoscritte dall’intimata.

2. A.A. propose opposizione al decreto, eccependo in primo luogo l’incompetenza per territorio del Tribunale di Benevento.

Dedusse che competente ratio.’ie loti doveva ritenersi o il luogo di residenza della debitrice, ex art. 18 c.p.c. (e cioè Foggia), oppure il luogo in cui l’obbligazione era sorta, e dunque anche in questo caso Foggia, città nella quale erano state sottoscritte le ricognizioni di debito poste a fondamento del ricorso monitorio.

Eccepì ancora l’opponente che, con riferimento al luogo dove l’obbligazione doveva essere adempiuta, tale luogo non poteva ritenersi il domicilio del creditore, perchè il credito azionato non era liquido.

3. Con sentenza 10 gennaio 2020 n. 32 il Tribunale di Benevento, dopo avere rigettato l’eccezione di incompetenza per territorio, ha accolto parzialmente l’opposizione, condannando l’opponente al pagamento in favore dell’opposto della somma di Euro 36.000.

4. Avverso tale sentenza ha proposto regolamento facoltativo di competenza Annalaura A., fondato su un motivo.

Antonio S. ha depositato memoria difensiva sostenendo l’infondatezza del regolamento.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del proprio regolamento A.A. deduce che nel caso di specie non esisteva alcun criterio idoneo a radicare la competenza del Tribunale di Benevento.

In particolare non poteva ritenersi che il Tribunale di Benevento fosse competente ai sensi dell’art. 1182, comma 3, c.c., quale giudice del luogo del domicilio del creditore.

Ciò in quanto la norma appena ricordata (in virtù della quale i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro vanno adempiuti al domicilio del creditore), non poteva trovare applicazione nel caso di specie, dal momento che il credito azionato da S.A. non era nè liquido, nè certo.

Quel credito non era liquido perchè in una delle due ricognizioni di debito poste a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo la debitrice si riconosceva tale per l’importo “di circa 22.000 erro”; e non era nemmeno certo, perchè lo stesso Tribunale di Benevento, all’esito dell’opposizione, aveva revocato in parte il decreto ingiuntivo.

1.1. Il ricorso è infondato.

Ai fini della competenza per territorio la liquidità e la certezza del credito vanno apprezzate ex ante, in base alla domanda della parte, e non ex post, in base alle risultanze dell’istruttoria emerse all’esito del giudizio.

Chi si affermi creditore di “100”, convenendo la persona indicata come debitore dinanzi al giudice del luogo di propria residenza, ràdica correttamente il giudizio, e la competenza del giudice adito non potrà certo venir meno in articulo mortis, per il fatto che, all’esito del giudizio, la domanda attorea si sia rivelata infondata nel merito.

Pertanto se a fondamento della domanda giudiziale l’attore invochi una ricognizione di debito avente per oggetto una somma di denaro, legittimamente il giudizio è radicato dinanzi al giudice del luogo del domicilio del creditore, in quanto è in quel luogo che vanno adempiute le obbligazioni pecuniarie liquide ed esigibili (Sez. 3, Sentenza n. 1268 del 21/04/1969, Rv. 339911 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 1095 del 30/04/1966, Rv. 322180 – 01).

Eventuali eccezioni del convenuto circa l’esistenza o l’ammontare del credito non rendono illiquido quest’ultimo, ma – integrando fatti impeditivi della domanda – possono incidere solo sul merito della causa, non sulla individuazione del giudice competente (Sez. 2, Sentenza n. 4821 del 30/05/1997, Rv. 504814 – 01; così pure Sez. 3, Sentenza n. 1085 del 16/04/1971, Rv. 351137 – 01).

1.2. Naturalmente può accadere che il convenuto, oltre a negare di essere debitore, eccepisca anche che il credito azionato dall’attore non sia affatto liquido; che di conseguenza l’obbligazione sia querable e non portable; e che pertanto il giudice competente per territorio sia quello del domicilio del debitore.

In questo caso lo stabilire se il credito vantato dall’attore sia o non sia liquido è questione che andrà delibata dal giudice incidenter tantum, ai soli fini della competenza ed in base allo stato degli atti, ai sensi dell’art. 38 c.p.c., comma 4, anche in questo caso a nulla rilevando, ai fini della individuazione del giudice territorialmente competente, le eventuali contestazioni riferite all’aia e al quantum (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7722 del 20/03/2019, Rv. 653444 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6762 del 21/03/2014, Rv. 630200 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 4024 del 18/02/2008, Rv. 601900 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 21625 del 06/10/2006, Rv. 592159 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 9013 del 30/04/2005, Rv. 581427 – 01).

1.3. 11 “sistema” delineato da questa Corte con le pronunce appena ricordate può dunque così riassumersi:

a) se l’attore domanda la condanna del convenuto al pagamento d’una somma di denaro indicata come liquida ed esigibile, competente catione loti è il giudice del domicilio del creditore, ex art. 1182 c.c., a nulla rilevando che all’esito del giudizio dovesse emergere che al momento in cui venne introdotta la domanda il credito era illiquido;

b) se l’attore domanda la condanna del convenuto al pagamento d’una somma di denaro determinata, ed il convenuto contesti l’esistenza o l’ammontare del credito, resta ferma la competenza del giudice del domicilio del creditore;

c) se l’attore domanda la condanna del convenuto al pagamento di una somma di denaro determinata, ed il convenuto non neghi il proprio debito, ma contesti, per i fini di cui all’art. 1182 c.c., che il credito vantato dall’attore fosse liquido od esigibile, la questione della liquidità del credito andrà accertata incidenter tantum dal giudice, ai soli fini della competenza, ex art. 38 c.p.c., comma 4, e dunque senza nessuna incidenza sul merito della causa.

1.4. Applicando dunque i suddetti principi al caso di specie, ne deriva che correttamente il Tribunale ha ritenuto la propria competenza per territorio.

Con la domanda proposta in via monitoria, infatti, S.A. chiese la condanna della convenuta al pagamento di Euro 58.000, importo risultante da due ricognizioni di debito.

Nell’una di queste, A.A. si era dichiarata debitrice di 36.000 Euro; nell’altra si era dichiarata debitrice di “circa 22.000 Euro”. Secondo la ricorrente, l’uso dell’avverbio “circa” in una delle due suddette ricognizioni di debito bastava di per sè a rendere il credito illiquido e, di conseguenza, ad escludere la competenza per territorio del giudice del luogo dove devono essere adempiute le obbligazioni liquide, e cioè il domicilio del creditore.

1.5. La tesi tuttavia è infondata in iure, e rende superflua qualsiasi divagazione semantico-semiologica sul significato che la dichiarante volle attribuire al suddetto avverbio.

Infatti, per quanto detto, la liquidità del credito, al fine di stabilire se l’obbligazione vada adempiuta al domicilio del creditore oppure a quello debitore, in caso di contestazione va apprezzata incidenter tantum ed in base a quanto risulta dagli atti.

Al momento dell’introduzione del primo grado del presente giudizio risultava dagli atti che A.A. aveva svolto attività di intermediazione finanziaria nell’interesse di S.A.; che questi le aveva contestato vari inadempimenti, ed agito in giudizio per ottenere la restituzione di somme “disinvestite”.

Ovviamente in un rapporto di intermediazione finanziaria ogni ordine impartito dal risparmiatore all’intermediario genera una obbligazione a sè.

Pertanto, salvo la successiva verifica istruttoria, al momento dell’introduzione del giudizio l’attore (in senso sostanziale) S.A. risultava avere giudizialmente chiesto l’adempimento di due diverse obbligazioni, una delle quali certamente liquida ed esigibile.

Si verteva, dunque, in una ipotesi di cumulo di domande nei confronti della medesima parte, ai sensi dell’art. 104 c.p.c..

Il giudice adito, in quanto giudice del luogo di residenza del creditore, era certamente competente a conoscere della domanda di condanna al pagamento d’una somma di denaro determinata.

Occorre dunque stabilire se tale competenza potesse attrarre anche l’altra domanda, ipotizzando che l’avverbio “circa” bastasse a renderla indeterminata..

1.6. A tale quesito deve darsi risposta affermativa.

L’art. 104 c.p.c. stabilisce che “contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non alti menti connesse, purchè sia osservata la norma dell’art. 10 comma 2”, e cioè che ai fini della competenza per valore le varie domande vengano sommate tra loro.

Questa norma, nel caso di cumulo di domande contro la stessa parte, consente esplicitamente di derogare alla competenza per valore; ed implicitamente di derogare alla competenza per territorio.

La deroga esplicita non necessità di spiegazioni.

La deroga implicita deriva dall’unica interpretazione coerente con la logica formale.

La competenza per valore, infatti, è rilevabile anche d’ufficio, a differenza della competenza per territorio derogabile (art. 38 c.p.c., comma 3).

L’incompetenza per valore, dunque, è concepita dal legislatore come un vizio maggiore rispetto all’incompetenza per territorio.

Pertanto ritenere che l’art. 104 c.p.c. non consenta deroghe alle regole di riparto della competenza per territorio, ma le consenta alle regole di riparto della competenza per valore, condurrebbe a questo paradosso interpretativo: che là dove il vizio processuale è maggiore, minore è la reazione dell’ordinamento.

Nè discende che l’unica interpretazione possibile dell’art. 104 c.p.c. è ritenere che tale norma consente di derogare anche alla competenza per territorio derogabile. Se, dunque, vengano proposte nei confronti della stessa parte più domande, una soltanto delle quali rientrante nella competenza per territorio del giudice adito, questi sarà competente a conoscere anche delle altre, come già più volte ritenuto da questa Corte (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 15252 del 16/07/2020, Rv. 658727 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23109 del 30/10/2014; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24370 del 18/11/2011, Rv. 620292 – 01 (in motivazione); Sez. 3, Ordinanza n. 19958 del 14/10/2005, Rv. 585115 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 4821 del 30/05/1997, Rv. 504815 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 215 del 21/01/1985, Rv. 438437 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 5006 del 04/11/1978, Rv. 394760 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 412 del 21/02/1970, Rv. 345376 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 3867 del 03/12/1968, Rv. 337334 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 407 del 18/02/1967, Rv. 326327 – 01).

1.7. La contraria opinione, pure talora emersa nella giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi non condivisibile, e comunque ormai abbandonata da anni (l’ultima decisione in tal senso è infatti quella pronunciata da Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22682 del 04/10/2013).

Secondo questa opinione, l’art. 104 c.p.c. consente di derogare alla competenza per valore, ma non a quelle per territorio.

Tale opinione tuttavia non può essere ulteriormente avallata sia per la motivazione su cui poggia, sia per gli effetti cui conduce.

1.7.1. Il limitato numero di decisioni in cui questa principio è affermato non sono motivate in altro modo che col semplice richiamo ai precedenti conformi.

E’ il caso di Cass. 22682/13, cit.; e così a ritroso di tutte le sentenze che, condividendo il principio in esame, lo hanno giustificato richiamando la decisione conforme immediatamente precedente: si vedano in tal senso Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 25269 del 14/12/2010; Sez. 2, Sentenza n. 4862 del 01/03/2007; Sez. 2, Ordinanza n. 1213 del 27/01/2003, Rv. 560024 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 12459 del 23/08/2002, Rv. 557057 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 347 del 14/01/2000 (la quale, per di più, venne impropriamente richiamata, in quanto nel caso da essa decisa si verteva in ipotesi di cumulo soggettivo ex art. 33 c.p.c., e non di cumulo di domande ex art. 104 c.p.c.).

Tutte queste decisioni, in definitiva, non sono motivate in altro modo che col rinvio, mediante il richiami ai precedenti conformi, alla sentenza indicata come “capostipite” di tale orientamento, e cioè Sez. 1, Sentenza n. 11212 del 16/12/1996, Rv. 501346 – 01.

Questa sentenza, però difficilmente potrebbe ritenersi un “precedente conforme” rispetto all’opinione che nega la possibilità di derogare alla competenza per territorio, nell’ipotesi di cui all’art. 104 c.p.c..

Essa, infatti, aveva ad oggetto un caso in cui il controgarante aveva convenuto il garante (fideiussore di una società commerciale di cui aveva il controllo de facto) invocandone la responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale per avere aumentato l’esposizione del debitore principale.

Per la domanda contrattuale, tuttavia, il contratto prevedeva una clausola di deroga alla competenza ordinaria: e fu solo di questo problema che la citata sentenza del 1996 venne chiamata ad occuparsi: e cioè lo stabilire se, nel caso di cumulo di domande ex art. 104 c.p.c., una delle quali soggetta ad un foro convenzionale, quest’ultima domanda potesse essere decisa dal giudice competente per una delle altre domande cumulativamente proposte.

A tal quesito questa Corte diede risposta negativa, affermando che la deroga convenzionale alla competenza per territorio attrae anche le domande cumulativamente proposte ex art. 104 c.p.c., ma soggiungendo: “(l’art. 104 c.p.c.) nulla dice per quanto riguarda la competenza per territorio derogabile, ma tale omissione trova la sua giustificazione nella considerazione che, trattandosi di cause diverse proposte contro la medesima parte, il criterio di competenza per territorio è normalmente comune a tutte le cause, unico essendo il foro generale.

Quando, invece, per una delle cause cumulate sussista una competenza territoriale derivante da un accordo derogatorio, il giudice delle cause cumulate non può esimersi dal dichiarare la propria incompetenza in favore del giudice territorialmente competente per effetto del preventivo accordo delle parti”.

Non è dunque azzardato sostenere che l’opinione secondo cui l’art. 104 c.p.c. non consentirebbe alcuna deroga alla competenza per territorio sia frutto di un qui pro quo, dal momento che esso è motivato col richiamo ad una “catena” di decisione la cui capostipite non aveva affatto affermato il principio che le si volle attribuire, ma anzi – a ben vedere – un principio opposto.

1.7.2. Ma l’orientamento tradizionale, oltre che per la motivazione che lo sorregge, non può essere condiviso nemmeno per gli esiti cui condurrebbe.

Esso infatti, consentendo il cumulo di domande solo quando per tutte sia competente per territorio il medesimo giudice, si pone in contrasto sia col principio di ragionevole durata del processo; sia col divieto di spreco dell’attività giurisdizionale.

1.8. Alla luce dei principi che precedono, diviene dunque irrilevante stabilire se colui il quale si riconosca debitore di “circa 22.000 Euro” abbia compiuto una ricognizione di debito avente ad oggetto una obbligazione pecuniaria liquida od illiquida.

Infatti, anche se fosse esatta la seconda ipotesi, la relativa domanda venne comunque proposta cumulativamente ad altra domanda certamente determinata, sicchè correttamente il Tribunale, che era competente per quest’ultima, ha deciso anche l’altra domanda.

Nei sensi che precedono deve ritenersi corretta la motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo è comunque conforme a diritto.

2. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso e dichiara la competenza del Tribunale di Benevento;

(-) condanna A.A. alla rifusione in favore di S.A. delle spese del presente giudizio di legittinità, che si liquidano nella somma di Euro 2.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021

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