Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.4864 del 23/02/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25219-2018 proposto da:

P.T., L.V., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ARCHIMEDE, 143, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PATRICELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato MICHELE COLUCCI;

– ricorrenti –

contro

ASSICURAZIONI GENERALI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonchè contro *****, PI.GE., ALLIANZ SPA, *****;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1474/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 31/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/10/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI ANNA MARIA.

SVOLGIMENTO IN FATTO 1. Con ricorso notificato il 27/7/2018, avverso la sentenza n. 1474/2018 emessa dalla Corte d’Appello di Bologna, notificata in data 31/5/2018, i sig.ri P.T. e L.V. propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi illustrati da memoria. Con controricorso notificato l’8/10/2018, resiste Generali Italia s.p.a. Gli intimati *****, Dott. Pi.Ge., Allianz s.p.a. (già Lloyd Adriatico s.p.a.), ***** e Allianz s.p.a. (già RAS Riunione Adriatica di Sicurtà), non hanno svolto difese. La causa, chiamata per l’udienza camerale del 5/2/2020, è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 9701/2020.

2. Per quanto qui interessa, i coniugi P.T. e L.V., in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulle tre figlie minori, hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna la ***** per sentirla condannare al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dalla sig.ra P. in esito a due interventi eseguiti dal Dott. Pi.Ge. presso la suddetta casa di cura. Gli attori hanno dedotto che: i) in data ***** la sig.ra P. si ricoverava presso la ***** e, nello stesso giorno, veniva sottoposta ad intervento di “asportazione dell’ernia e neurolisi bilaterale”; ii) l’intervento non riusciva perfettamente in quanto, dopo circa due mesi, la paziente accusava una sciatalgia bilaterale più accentuata a sinistra; iii) in data ***** si ricoverava di nuovo a ***** dove subiva un ulteriore intervento per recidivante erniaria di “neurolisi L5-S1 bilaterale e foraminectomia bilaterale di L5” eseguito sempre dal Dott. Pi.; iv) dopo circa una settimana sopraggiungeva una “infezione chirurgica della ferita operatoria” che rendeva necessario, in data *****, il ricovero presso il nosocomio ***** dove veniva eseguita una “revisione chirurgica della ferita lombare infetta” ed accertata la positività al batterio Serratia Marcenscens.

Si è costituita la convenuta ***** per chiedere il rigetto della domanda e l’autorizzazione a chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice Assicurazioni Generali s.p.a. e il Dott. Pi.Ge.. I terzi chiamati si sono costituiti, associandosi alle difese della casa di cura e, il Dott. Pi., chiedendo l’autorizzazione a chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice Lloyd Adriatico s.p.a., nonchè la ***** di ***** ove la sig.ra P. era stata successivamente ricoverata per sopraggiunta flogosi e revisione della ferita lombare infetta. Autorizzata la chiamata, si sono costituite la Lloyd e la *****, chiedendo il rigetto delle domande proposte nei loro confronti e, la *****, a sua volta chiedendo ed ottenendo l’autorizzazione alla chiamata in causa della Compagnia Assicuratrice RAS, costituitasi a sua volta. Con sentenza n. 3178/2011, il Tribunale di Bologna ha rigettato la domanda attorea.

3. Avverso la pronuncia di prime cure, i coniugi P.- L. hanno proposto gravame innanzi alla Corte d’Appello di Bologna che, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello e, per l’effetto, ha confermato la decisione del Tribunale condannando gli appellanti, in solido, alle spese del grado. Per quanto ancora rileva, sulla scorta della CTU medico-legale espletata in prime cure, la Corte territoriale ha ritenuto non raggiunta la prova in ordine al danno, nonchè in ordine alla riferibilità causale degli esiti patologici accusati dall’attrice agli interventi medici eseguiti. In particolare, in relazione alla plegìa e all’incontinenza lamentata dalla paziente, ha evidenziato una sostanziale inconciliabilità tra l’obiettività clinica mostrata dalla sig.ra P. all’esame dei periti e i sintomi lamentati, ritenuti di natura psicosomatica; in ordine all’infezione da “Serratia Marcescens”, invece, ha escluso ogni responsabilità della ***** non ritenendo provato il nesso causale tra l’infezione e l’operato dei sanitari, in virtù dell’esistenza di altre possibili cause anche prevalenti dell’infezione.

4. Contro la sentenza della Corte d’Appello, i coniugi P.- L. propongono ricorso per cassazione che, per le questioni trattate, hanno indotto la Terza Sezione Civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 9701/2020, a rinviare la discussione della causa alla pubblica udienza del 28/10/2020, nel contraddittorio tra le parti. Il sostituto procuratore generale ha concluso come in atti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia “Violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dei principi che governano la ripartizione dell’onere della prova in materia di responsabilità contrattuale, segnatamente in tema di responsabilità medica, per la violazione dei precetti dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., per aver erroneamente ritenuto non assolto dagli appellanti l’onere della prova del danno subito e per aver illegittimamente posto l’onere della prova del nesso causale a carico della parte che non ne era onerata, nonchè per aver omesso di esaminare la decisività della documentazione sanitaria prodotta dagli appellanti”.

2. Con il secondo motivo, si denuncia il “Vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per aver omesso l’esame sia della documentazione sanitaria supplementare prodotta dagli appellanti nel corso del giudizio di primo grado, che dei due decreti di archiviazione di altrettanti procedimenti penali promossi nei confronti di P.T. avanti il Tribunale di Bologna e avanti il Tribunale di Foggia, tutti oggetto di discussione tra le parti”.

2.1. Preliminarmente, occorre rilevare che non si ravvisano i profili di inammissibilità del ricorso dedotti dalla società controricorrente ai sensi degli artt. 360-bis e 348-ter c.p.c. Quanto all’asserita inammissibilità ex art. 360-bis c.p.c., la censura è priva di pregio poichè, per quanto di seguito esposto, non può certamente affermarsi che la sentenza impugnata abbia deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte. Quanto al rilievo di “doppia conforme”, involgente l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5 correttamente i ricorrenti rilevano che al caso in esame non si applica il novum legislativo portato dal D.L. n. 83 del 2012, in quanto l’appello è stato introdotto precedentemente alla sua entrata in vigore in data 11 settembre 2012.

3. Tanto premesso, i primi due motivi di ricorso vanno considerati unitariamente, in quanto intimamente connessi ed entrambi fondati.

4. La Corte d’Appello ha rigettato la domanda risarcitoria di parte attrice ritenendo non assolto l’onere, gravante sul danneggiato, di provare il danno e il nesso causale, assumendo la natura “extraquiliana”, dunque contrattuale, della responsabilità del medico e delle strutture sanitarie chiamate a risponderne. Richiamato così il paradigma della responsabilità ex contractu, l’argomentazione del giudice di secondo grado s’incardina sulla condivisione della CTU medico-legale espletata in prime cure che aveva ritenuto non residuati, in capo alla paziente, i presunti danni e, in ogni caso, non ascrivibili alle attività ed alle operazioni mediche oggetto di causa. Di seguito, l’iter motivazionale si dirama lungo due filoni di indagini parallele in ordine alla sussistenza del danno da paralisi (ed incontinenza) da un lato, e del danno da infezione dall’altro.

4.1. In particolare, in relazione alla condizione di plegia e incontinenza lamentata dalla paziente, la Corte di merito ha rilevato che “- Rimane condivisibile ed incontestabile sul piano propriamente medico-scientifico il giudizio di mancanza assoluta del raggiungimento di prova certa rassicurante propriamente sul “danno” lamentato dalla P., dovendosi condividere pienamente l’iter logico-fattuale sviluppato dal Tribunale e correttamente, alla luce di quanto già sopradetto, in quanto vertente sull’elemento danno, quale precipuo oggetto di prova dell’attore, e non sulla colpevolezza del medico. – In particolare, circa la condizione di plegia ed incontinenza, al di là delle ipotesi allegate, la mancanza della prova che la P. abbia subito i danni rappresentati quale effetto dell’operato del Dott. Pi. e della Casa di Cura è precedente, sul piano logico-fattuale, alla stessa verifica causale sugli errori e manchevolezze dei medici, e rimane radicalmente confermata nella sua carenza probatoria da quanto accertato in via conclusiva dai CTU, le cui conclusioni non possono in alcun modo essere poste nel dubbio. – Invero, i periti, medici di esperienza (…) evidenziano esplicitamente la sostanziale inconciliabilità proprio tra l’obiettività clinica mostrata dalla P. al loro esame e la complessità dei sintomi da essa accusati, emergendo, all’evidenza per così dire cartesiana, di essere in presenza di un complesso di indici che se oggettivamente apprezzati al netto delle sensazioni autoreferenzialmente esposte dalla P., non si conciliano con una condizione, neppure relativa, di plegia lamentata quale conseguenza del duplice intervento subito a ***** e tantomeno con la pure asserita impossibilità di movimento dalla vita in giù (…). – L’eseguito esame obiettivo è riferito con evidenza tale anche all’osservatore profano, tanto da indurre i CTU ad avanzare comunque seppure in via ipotetica una connessione tra i fenomeni accusati dalla P. ed una possibile “failed back syndrome”, ovvero sindrome soggettiva come risposta alla mancata risposta risolutiva della sintomatologia dolorosa o, addirittura, una “paraplegia da conversione e sindrome da indennizzo”, dunque propriamente psicosomatica, mancando di poi ogni documentazione clinica obiettiva su possibili ipotetiche lesioni delle vie motorie. Un quadro realisticamente così chiaro non offre alcun profilo di criticità tale da ritornare sulla opportunità di rinnovo della CTU e/o di chiarimenti, peraltro istanza già motivatamente respinta a suo tempo dal Collegio decidente, neanche alla luce della documentazione prodotta dagli appellanti in sede di precisazione delle conclusioni (…) nulla di fatto modificando sulla mancanza di danno e nesso causale fra la certificazione sanitaria prodotta in sede d’appello ed i due interventi chirurgici effettuati presso la *****” (sentenza impugnata: da p. 5, 3 cpv. a p. 6, 3 cpv.).

4.2. Valutato il danno da paralisi come inesistente o, comunque, non causalmente correlato all’operato dei sanitari, la Corte d’Appello passa a scrutinare il danno da infezione, riferendo quanto segue: “l’infezione emerse quasi un mese dopo le dimissioni della P., ed occorre altresì rilevare che, pur avendo dapprima ipotizzato come “probabile” l’acquisizione nosocomiale dell’infezione, i CTU hanno di fatto escluso la responsabilità della ***** con il criterio del “più probabile che non”, rilevando l’esistenza di altre possibili cause, anche prevalenti, dell’infezione – sottolineando l’eccezione difensiva del medico chirurgo Pi. sul periodo di circa venti giorni in cui la P. si curava da sè presso il proprio domicilio – nonchè accertando comunque la carenza di prova sia delle lesioni lamentate dalla paziente che del nesso eziologico fra le stesse e l’infezione” (sentenza impugnata: p. 7, rigo 2-14).

4.3. La motivazione addotta dalla Corte del gravame risulta nel primo caso (plegia) apodittica, in quanto ancorata alle risultanze della CTU in assenza di una autonoma valutazione da parte del giudice di dette risultanze e in mancanza del doveroso confronto con la documentazione offerta dagli attori sia in primo che in secondo grado, attestante l’evolversi della malattia ed atta a confutare il carattere psicosomatico della medesima; nel secondo caso (infezione), si dimostra addirittura contraddittoria, in quanto in contrasto con le stesse conclusioni peritali.

4.4. E invero, i ricorrenti colgono nel segno anzitutto allorchè denunciano, con il secondo motivo, il vizio motivazionale sub specie art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dimostrandosi la motivazione del tutto al di là del minimo costituzionale; nonchè, parimenti, laddove lamentano, con il primo mezzo, in ogni caso la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c.

4.5. In ordine alla violazione dell’art. 115 c.p.c., essa va scrutinata con precedenza rispetto alla corretta ripartizione degli oneri probatori, rammentandosi che in sede di legittimità è possibile sindacare l’omessa valutazione di risultanze istruttorie ove ricorrano simultaneamente due circostanze: (a) che la parte ne abbia dedotto la decisività; (b) che il giudice abbia omesso di valutarne la rilevanza in concreto. Difatti, “La violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale” (Cass., Sez. 1 -, Ordinanza n. 4699 del 28/2/2018; Sez. 3 -, Sentenza n. 20382 dell’11/10/2016).

4.6. In particolare, quanto all’elemento della “decisività”, l’attuale parte ricorrente deduce di avere prodotto copiosa documentazione sanitaria, proveniente da strutture pubbliche ed univocamente attestante la condizione diagnosticata alla paziente e la correlazione causale con gli interventi del medico chirurgo: paraparesi agli arti inferiori indotta da un pregresso intervento di ernia discale L5-S1 e successivo intervento di lisi cicatriziale, entrambi praticati presso la *****. Tale documentazione, richiamata e riprodotta nel presente grado di giudizio, risulta in parte versata in prime cure e, per altra parte, prodotta nel corso del giudizio di secondo grado in quanto maturata successivamente all’introduzione del gravame, e non adeguatamente osservata dalla Corte di merito.

4.7. Difatti, quanto alla motivazione sulla irrilevanza delle produzioni documentali, la Corte bolognese prima rileva che “manca(ndo) di poi ogni documentazione clinica obiettiva su possibili ipotetiche lesioni delle vie motorie” (sentenza impugnata: p. 6, rigo 18-19) poi, invece, ne dà conto (genericamente segnalando l’avvenuta produzione documentale in appello), rilevandola comunque come non in grado di modificare le considerazioni della CTU sul nesso causale e sulla mancanza di danno (sentenza impugnata: p. 6, rigo 36-40). A margine la perplessità e contraddittorietà cui un simile argomentare presta il fianco, la argomentazione circa la copiosa documentazione versata in atti – invocata da parte attrice come decisiva, poichè univocamente orientata ad attestare l’esistenza di un grave e complesso quadro patologico della paziente – non poteva essere liquidata sic et simpliciter senza indicazione alcuna delle ragioni per cui essa sarebbe stata inidonea a scalfire le conclusioni peritali. Quale peritus peritorum, difatti, al giudice di merito è demandato il compito di compiere un’attività essenziale – non più recuperabile in sede di giudizio di legittimità – e di svolgere un autonomo confronto tra le valutazioni dei consulenti e la documentazione clinica versata in atti, in eventum anche disponendo il rinnovo delle operazioni peritali dinanzi alle produzioni effettuate in sede di gravame.

4.8. In merito alla violazione dell’art. 2697 c.c., invece, la Corte territoriale dimostra un malgoverno del principio di ripartizione degli oneri probatori in materia di responsabilità sanitaria, in specie, qualora il danno riguardi un’infezione “presumibilmente” nosocomiale. Costituisce oramai giurisprudenza consolidata che in tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno-evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione (perseguimento delle “leges artis” nella cura dell’interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicchè, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice dimostrare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, l’esatta esecuzione della prestazione o la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione (così Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 28991 dell’11/11/2019; v. anche Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 24073 del 13/10/2017; Sez. 3, Sentenza n. 15993 del 21/7/2011; Sez. U, Sentenza n. 577 dell’11/1/2008).

4.9. Nel campo della responsabilità medica, in specie, il ciclo causale a monte è quello relativo all’evento dannoso, e deve essere provato dal danneggiato; invece, il secondo ciclo causale, a valle, è quello relativo alla possibilità di adempiere, che deve essere provato dal danneggiante. Talchè, mentre il danneggiato deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario, il debitore deve provare l’esatta esecuzione della prestazione o l’impossibilità dell’esatta esecuzione dovuta ad una causa imprevedibile ed inevitabile.

4.10. Senonchè, il descritto approccio valutativo – al di là della dogmatica dichiarazione di intenti con cui si apre la motivazione – risulta malamente applicato nella sentenza impugnata, ove si consideri che restano del tutto oscure le ragioni per cui la Corte di merito decide di scomporre l’evento dannoso allegato dagli attori in: danno da paralisi ed incontinenza da un lato, e danno da infezione dall’altro. Nondimeno, il primo (plegia) avrebbe dovuto essere considerato come effetto della sequenza fattuale, comprensiva anche del secondo (processo infettivo), complessivamente causativa del danno.

4.11. Invero, la stessa CTU, di cui gli attuali ricorrenti riportano alcuni passi, aveva rilevato: “il quadro resosi evidente in sede peritale è compatibile in parte con il possibile esito di una procedura di asportazione di ernia discale esitata in fibrosi ma, in questo caso precipuo, è sicuramente determinato in modo preponderante e aggravato dalla complicanza infettiva (..) La responsabilità dell’infezione, non è direttamente del chirurgo, ma con alta probabilità, deve essere posta a carico della ***** in relazione a presumibile genesi nosocomiale (cfr. pag. 37 relazione dei CTU)” (ricorso, p. 24, ult. cpv.).

4.12. Nel caso di specie, sotto il profilo dell’eziologia del danno occorreva piuttosto considerare le circostanze fattuali dedotte da parte attrice e il cui avvicendamento non è stato oggetto di contestazione: i) la sig.ra P. in data ***** si ricoverava presso la ***** e, nello stesso giorno, veniva sottoposta ad intervento di “asportazione dell’ernia e neurolisi bilaterale” eseguito dal Dott. Pi.; dopo circa due mesi, la paziente accusava sciatalgia bilaterale più accentuata a sinistra sicchè, in data ***** si ricoverava di nuovo a ***** dove subiva un secondo intervento dal Dott. Pi. per recidivante erniaria; iv) dopo circa una settimana sopraggiungeva una “infezione chirurgica della ferita operatoria” che rendeva necessario, in data ***** (dunque, a distanza di poco più di 20 giorni dal secondo intervento), il ricovero presso il nosocomio ***** di *****, ove veniva eseguito un terzo intervento, per “revisione chirurgica della ferita lombare infetta” ed accertata la positività al batterio Serratia Marcenscens.

4.13. De facto, in punto di causalità materiale emergeva che il secondo intervento era stato necessitato dal primo, in quanto eseguito per recidivante dell’ernia originariamente operata. Il terzo intervento, a sua volta, era stato necessitato dal secondo, trattandosi di revisione della ferita operatoria infetta. Gli attori, dunque, avevano provato la correlazione, in termini di efficienza causale, tra il progressivo aggravamento patologico e la condotta del sanitario spettando, a quel punto, alla convenuta ***** e al Dott. Pi. provare l’esatto adempimento della prestazione ovvero il fattore causale alternativo da solo idoneo a cagionare l’evento, nonchè la sua imprevedibilità. Vieppiù che le stesse conclusioni peritali, cui il giudice di merito ha asservito l’intero thema probandum, avevano valutato la correlazione del quadro patologico presentato dalla paziente con gli interventi eseguiti, ritenendolo quale possibile esito degli stessi, seppure aggravato dall’infezione contratta, la cui genesi nosocomiale definivano “altamente probabile”.

4.14. Ora, una volta ritenuta altamente probabile dai consulenti la natura esogena dell’infezione, causata da germi di tipo ospedaliero, doveva operarsi la valutazione della responsabilità giuridica del medico e della casa di cura alla luce della prova liberatoria offerta in ordine al corretto adempimento dei sanitari, da soddisfarsi sotto due specifici profili: 1) sul piano generale, quello relativo all’adozione, ai fini della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica eventualmente adoperata, di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, onde scongiurare l’insorgenza appunto di patologie infettive a carattere batterico; 2) sul piano individuale, quello relativo alla prestazione, ad opera del personale medico, del necessario e doveroso trattamento terapeutico valutando se, nel caso specifico, fosse stata praticata una corretta terapia profilattica pre e post-intervento.

4.15. D’altra parte, la prova dell’adozione e dell’adeguato rispetto dei necessari standard di igiene e prevenzione non può, ragionevolmente, incombere sul paziente danneggiato con esclusione della casa di cura che lo ha dimesso. Talchè, costituisce malgoverno del principio di ripartizione degli oneri probatori quello spiegato nella sentenza impugnata, laddove la Corte del gravame ha escluso il danno da infezione per essersi la paziente curata da sola a casa nei venti giorni successivi al secondo intervento, omettendo di indagare se fosse stata eseguita – secondo normativa e protocolli – una corretta terapia profilattica pre e post-intervento e, soprattutto, se di ciò la casa di cura e il chirurgo convenuti avessero fornito prova.

5. Parimenti, il secondo motivo è fondato, allorchè deduce il vizio motivazionale per acritica adesione alla CTU da parte del giudice di secondo grado, e per mancata considerazione della documentazione medica prodotta, attestante l’evoluzione nel tempo della malattia.

5.1. Sul punto, occorre richiamare il consolidato orientamento di questa Corte per cui “In tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione” (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1815 del 02/02/2015; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16368 del 17/7/2014; Sez. 2, Sentenza n. 13845 del 13/6/2007; Sez. 1, Sentenza n. 4885 del 7/3/2006; Sez. 3, Sentenza n. 17369 del 30/8/2004).

5.2. Nel caso di specie, il secondo motivo – dedotto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – soddisfa pienamente i requisiti di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, poichè individua direttamente ed indirettamente (trascrivendoli e localizzandoli) gli atti in ordine ai quali i ricorrenti richiedono il controllo di logicità. Superato il preliminare vaglio di ammissibilità, il motivo si rivela fondato nel merito, violando la sentenza impugnata quell’intangibile minus costituzionale il cui controllo è demandato al giudice di legittimità (per tutte, Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7/4/2014).

5.3. Sul punto, il ragionamento della Corte di merito, come sopra detto, risulta in primo luogo perplesso, allorchè scompone lo scrutinio della sussistenza dell’evento dannoso allegato da parte attrice in due sottocategorie di danno – plegia e infezione – che andavano valutate unitariamente, la paralisi potendo, ragionevolmente e come indicato nella stessa CTU, costituire ò esito patologico degli interventi aggravato dall’infezione batterica.

5.4. In secondo luogo, apodittico in quanto ancorato alle sole risultanze peritali e carente sotto il profilo del doveroso confronto con la documentazione offerta dagli attori sin dal primo grado. A titolo esemplificativo: i verbali delle commissioni mediche di prima e seconda istanza che hanno riconosciuto l’invalidità civile alla sig.ra P., progressivamente ingravescente, con diagnosi di “grave deficit sensitivo-motorio (paraparesi), con instabilità statico-dinamica, da pregressa ernia discale lombare operata con complicanze post operatorie (spondilodiscite)”; tra cui, in specie, la relazione medico-legale del Dott. D.R. del ***** che ha attribuito una percentuale di invalidità del 100% alla paziente con diritto all’assegno di accompagnamento per “esiti di doppio intervento di asportazione di ernia discale L5S1 (…) esiti di altri interventi di revisione della ferita lombare infetta; insufficienza statico-dinamica della colonna dorso-lombare e dell’arto inferiore sinistro, con necessità di appoggio obbligato a due bastoni; deambulazione claudicante precauzionale a piccoli passi e per due-tre metri; necessità di assistenza per la cura e l’igiene personale dalla vita in giù”; nonchè, la sentenza n. 1749/2009 del Tribunale di Lucera che ha riconosciuto la ricorrente totalmente invalida al 100% con diritto all’indennità di accompagnamento. A tale documentazione, già prodotta in primo grado, si aggiungono le produzioni svolte in sede d’appello in quanto maturate successivamente all’introduzione del gravame, tra cui: il verbale di verifica dell’INPS di Foggia del 12/10/2013 con conferma del riconoscimento di invalidità al 100%; il verbale della Commissione medica per l’accertamento dell’invalidità civile del 30/8/2016 con conferma della diagnosi di paraparesi da pregressa ernia discale lombare con complicanze post operatorie.

5.5. Di fronte al coacervo di documenti sanitari prodotti dagli attori – tutti provenienti da strutture sanitarie pubbliche e tutti univocamente diretti al riconoscimento di un quadro patologico di paraparesi agli arti inferiori dovuta a pregressi interventi e complicanze chirurgiche – resta oscura la ragione per cui la Corte del gravame concluda per la natura psicosomatica della plegia lamentata dalla sig.ra P.. Vieppiù, il giudice di secondo grado omette ogni menzione nel merito di tali produzioni, salvo poi rilevare che esse – in ogni caso – non mettono in discussione la bontà delle considerazioni peritali, lasciando a tale affermazione di principio il compito di spiegare le ragioni della decisione assunta. Così argomentata, tuttavia, la sentenza impugnata impedisce di comprendere l’iter logico seguito e, cioè, di chiarire su quali prove il giudice abbia fondato il proprio convincimento e verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.

6. Con il terzo ed ultimo motivo si denuncia la “Violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dei principi che governano la condanna alle spese sanciti dagli artt. 91 e 92 c.p.c., per non aver compensato le spese di giudizio pur in presenza di prove documentali oggettive sulla sussistenza del danno e sul nesso di causalità e di un’acclarata impossibilità di pervenire ad una diagnosi, ammessa dai CTU del primo grado di giudizio, elementi dai quali poter escludere sia la pretestuosità che la palese infondatezza della domanda”.

6.1. Il terzo motivo è assorbito dall’accoglimento dei primi due mezzi di ricorso.

7. Conclusivamente, la Corte accoglie i primi due motivi, assorbito il terzo, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento, affinchè – oramai esaurito il giudizio in punto di an debeatur in assenza di prova liberatoria fornita dai convenuti – determini il quantum da liquidare a titolo di risarcimento dei danni cagionati in favore della parte ricorrente.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo. Cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021

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