Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.487 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ric 14075-2018 proposto da:

V.M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. SECCHI 9, presso lo studio dell’avvocato VALERIO ZIMATORE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLA PROCOPIO;

– ricorrente –

contro

REGIONE CALABRIA, in persona del Presidente della Giunta Regionale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SABOTINO 12, presso lo studio dell’avvocato GRAZIANO PUNGI’, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONELLA COSCARELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1705/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 07/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/11/2020 dal Presidente Relatore Dott. ADRIANA DORONZO.

RILEVATO

che:

1. V.M.P., dipendente della Regione Calabria, aderì alla proposta di esodo anticipato incentivato previsto dalla Legge regione Calabria n. 8 del 2005 e, pertanto, stipulò con la Regione Calabria un contratto di risoluzione del rapporto di lavoro con decorrenza 1/1/2006, percependo l’indennità di incentivo all’esodo prevista nel detto contratto (art. 7).

2. Sul presupposto che, nella determinazione di tale indennità, e in particolare della retribuzione lorda da porre a base del calcolo, la Regione non avesse inserito la quota di 13', adì il Tribunale di Catanzaro, il quale riconobbe fondata la domanda, respingendo l’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., n. 5, sollevata dalla Regione, sul presupposto che essa avesse durata decennale.

3. La sentenza è stata impugnata dalla Regione Calabria e la Corte d’appello di Catanzaro ha accolto l’appello.

3.1. A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che la prescrizione da applicarsi nel caso di specie fosse quella quinquennale, dal momento che l’indennità in questione si poneva come controprestazione cui l’amministrazione si era obbligata in cambio del consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto di lavoro; l’indennità, pertanto, era strettamente collegata alla fase conclusiva del rapporto e ricadeva nell’ambito applicativo di cui all’art. 2948 c.c., n. 5, quale indennità spettante per la cessazione del rapporto di lavoro.

3.2. Pertanto, poichè il contratto risolutivo risaliva al 5/12/2005, l’ultima rata pattuita era stata pagata dalla Regione Calabria il 31/10/2008, in applicazione dell’art. 2935 c.c., al momento della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio, avvenuta in data 6/6/2014, il termine di prescrizione era definitivamente decorso.

4. Contro la sentenza, la V. propone ricorso per cassazione, sostenuto da un unico motivo, cui resiste con controricorso la Regione Calabria.

5. La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo la V. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., n. 5, nonchè la mancata applicazione dell’art. 2946 c.c.: assume che, per effetto del contratto di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, il diritto azionato dalla ricorrente aveva perso la natura di credito di lavoro, configurandosi invece come un diritto la cui fonte era un atto di transazione con effetto novativo; le somme dovute dalla Regione Calabria, pertanto, erano oggetto di un’obbligazione di pagamento che soggiace alla prescrizione decennale.

2. Il motivo si profila per più versi inammissibile: pur essendo rubricato come violazione di legge, esso in realtà mira a sostituire l’interpretazione che il giudice di merito ha dato all’accordo negoziale con una diversa, più favorevole alla ricorrente, senza peraltro che siano indicati quali siano i canoni interpretativi violati.

3. Va invero ricordato che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass. 15/11/2017, n. 27136; Cass. 16/1/2019, n. 873).

4. A tale profilo di inammissibilità deve aggiungersi l’ulteriore rilievo della mancanza di trascrizione, nel ricorso per cassazione, dell’accordo negoziale o, quanto meno, delle parti più significative, siccome idonee a sorreggere la censura: in tal modo la parte non rispetta l’onere previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, a pena di inammissibilità.

5. Alla luce di questi rilievi, appare corretto il principio di diritto applicato dalla Corte territoriale (in conformità a Cass. 20/8/2007, n. 17736, e a Cass. 9/5/2002, n. 6663), secondo cui “Allorquando un accordo transattivo sia stato preceduto dalla manifestazione di volontà del datore di lavoro di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con un proprio dipendente e dalla richiesta, da parte di quest’ultimo, di una somma di denaro quale condizione per addivenire alla risoluzione consensuale del rapporto, alla corresponsione di una somma di denaro, erogata in esecuzione di quell’accordo, deve essere riconosciuta natura retributiva”.

6. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2000 per compensi professionali e Euro 200 per esborsi, oltre 15% per spese generali forfetarie, e altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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