LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34871-2018 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, *****, UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE DELLA SARDEGNA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
– ricorrenti –
contro
C.V.F., + ALTRI OMESSI;
– intimati –
avverso la sentenza n. 196/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 12/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/11/2020 dal Presidente Relatore Dott. ADRIANA DORONZO.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Cagliari, con sentenza pubblicata il 12/6/2018, ha parzialmente accolto gli appelli, principale e incidentale, proposti rispettivamente dal Ministero dell’Istruzione(Università e Ricerca e da C.V.F. più altri litisconsorti, tutti dipendenti assunti come docenti dal Ministero con contratti a tempo determinato, avverso la sentenza del Tribunale di Oristano, e, per l’effetto, a) ha condannato il Ministero appellante al risarcimento del danno nei confronti di alcuni dei lavoratori-appellati e appellanti incidentali ( G., M., P. e T.), variamente commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto, assunti a tempo determinato per un periodo superiore a 36 mesi per la copertura di posti vacanti in organico di diritto; b) ha rigettato la domanda di conversione del contratto da tempo determinato a contratto a tempo indeterminato, rigettando anche le domande di risarcimento danni da precariato nei confronti di tutti gli appellati (ad eccezione dei lavoratori su a); c) ha dichiarato il diritto di tutti i lavoratori al riconoscimento di tutto il servizio prestato pre-ruolo ai fini della ricostruzione della carriera; d) infine, ha condannato il NIIUR al pagamento delle differenze stipendiali derivanti dall’anzianità di servizio prestato;
contro la sentenza il MIUR ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato da successiva memoria; le parti intimate, nonostante la ritualità della notificazione del ricorso, non hanno svolto attività difensiva;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
che:
1.- Con l’unico motivo di ricorso il Ministero denuncia “violazione c/o falsa applicazione della clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, artt. 485 e 489, e 569 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; rileva che nella specie la Corte territoriale ha fondato la sua decisione su un’erronea lettura della sentenza n. 22558/2016, la quale ha riconosciuto il diverso diritto alla progressione stipendiale rivendicata dai lavoratori assunti a tempo determinato, in virtù dell’anzianità acquisita per effetto dei contratti a termine stipulati, non anche il diritto, affatto diverso, alla ricostruzione della carriera richiamato dal D.Lgs. citato, art. 485; il richiamo al principio di non discriminazione era inconferente, non potendosi nella specie ravvisare alcuna discriminazione, in quanto la disciplina dettata in tema di ricostruzione della carriera dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485 è giustificata da ragioni oggettive, essendo evidente la diversità fra l’attività prestata dal docente a tempo indeterminato e quella richiesta all’insegnante incaricato della sostituzione per pochi giorni o pochi mesi. Tale diversità escludeva ogni disparità di trattamento con riguardo alle differenze retributive, in quanto radicalmente non dovute.
2.- Il ricorso deve essere accolto nei limiti di quanto si dirà.
La questione, costituita dalla conformità al diritto dell’Unione della disciplina interna relativa alla ricostruzione della carriera del personale docente della scuola, nei casi in cui l’immissione in ruolo sia stata preceduta da rapporti a termine, è stata di recente risolta da questa Corte con la sentenza resa in data 28/11/2019, n. 31149, alle cui motivazioni, in quanto integralmente condivise, questo collegio rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c..
Il principio di diritto enunciato nella sentenza n. 31149/2019 è così formulato:
a) il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485 che anche in forza del rinvio operato dalle parti collettive disciplina il riconoscimento dell’anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell’amministrazione scolastica, viola la clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, e deve essere disapplicato, nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall’art. 489 stesso decreto, come integrato dalla L. n. 124 del 1999, art. 11, comma 14, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato;
b) il giudice del merito per accertare la sussistenza della denunciata discriminazione dovrà comparare il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato e ciò implica che non potranno essere valorizzate le interruzioni fra un rapporto e l’altro, nè potrà essere applicata la regola dell’equivalenza fissata dal richiamato art. 489;
c) l’anzianità da riconoscere ad ogni effetto al docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, in caso di disapplicazione del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485 deve essere computata sulla base dei medesimi criteri che valgono per l’assunto a tempo indeterminato.
3. A tale affermazione la Corte è pervenuta dopo una puntuale ricostruzione del quadro normativo nel settore scolastico ed in relazione al personale docente, da cui è emerso un sistema di riconoscimento del servizio preruolo caratterizzato dalla commistione di elementi che, nella comparazione con il trattamento riservato ai docenti sin dall’origine assunti con contratti a tempo indeterminato, possono essere ritenuti solo in parte di sfavore.
Accanto, infatti, ad un meccanismo di abbattimento dell’anzianità sul periodo eccedente i primi quattro anni di servizio, il legislatore ha previsto l’equiparazione ad un intero anno di attività dell’insegnamento svolto per almeno 180 giorni, o continuativamente dal 10 febbraio sino al termine delle operazioni di scrutinio, e ha anche previsto il riconoscimento del servizio prestato presso scuole di un diverso grado, consentendo all’insegnante della scuola di istruzione secondaria di giovarsi dell’insegnamento nelle scuole elementari ed ai docenti di queste ultime di far valere il servizio preruolo prestato nelle scuole materne statali o comunali.
L’abbattimento opera solo sulla quota eccedente i primi quattro anni di anzianità, che invece sono oggetto di riconoscimento integrale, e pertanto risulta evidente che il meccanismo finisce per penalizzare i precari di lunga data, non già quelli che ottengano l’immissione in ruolo entro il limite massimo per il quale opera il principio della totale valorizzazione del servizio.
4.- Il sistema era sorretto da un principio di ragionevolezza a fronte di un reclutamento (già analizzato in Cass. n. 22552/2016 e successive analoghe pronunce) basato sulla regola del cosiddetto “doppio canale” che stabiliva anche la cadenza triennale dei concorsi, sicchè, in quel contesto, l’abbattimento oltre il primo quadriennio si giustificava in relazione al criterio meritocratico, perchè quel sistema avrebbe dovuto consentire ai più meritevoli di ottenere la tempestiva immissione nei ruoli, attesa la prevista periodicità dei concorsi e dei provvedimenti di inquadramento definitivo nei ruoli dell’amministrazione scolastica.
Tuttavia, le immissioni in ruolo non sono avvenute in passato con la periodicità originariamente pensata dal legislatore e ciò ha determinato, quale conseguenza, che i docenti “stabilizzati”, per effetto sia della L. n. 107 del 2015 sia degli interventi normativi che in precedenza avevano previsto piani straordinari di reclutamento sia, ancora, nel rispetto delle norme dettate dal T.U., la cui efficacia non è mai stata del tutto sospesa, si sono trovati per la maggior parte a vantare, al momento dell’immissione in ruolo, un’anzianità di servizio di gran lunga superiore a quella per la quale il riconoscimento opera in misura integrale, anzianità che è stata oggetto dell’abbattimento della cui conformità al diritto dell’Unione qui si discute.
5.-Contrariamente a quanto opina il Ministero ricorrente, è indubbio che la clausola 4 opera anche con riferimento all’ipotesi in esame, perchè l’esigenza di vietare discriminazioni dei lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato viene in rilievo anche qualora il rapporto a termine, seppure non più in essere, venga fatto valere ai fini dell’anzianità di servizio (cfr. Corte di Giustizia 8.11.2011 in causa C177/10 Rosado Santana punto 43; Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, Valenza ed altri, punto 36).
Nei precedenti di questa Corte (cfr. Cass. 22558 e 23868 del 2016 e le successive sentenze conformi fra le quali si segnalano, fra le più recenti, Cass. un. 28635, 26356, 26353, 6323 del 2018 e Cass. n. 20918/2019 quest’ultima relativa al personale ATA) si è infatti evidenziato che:
a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicchè la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C-268/06, Impact; 13.9.2007, causa C-307/05, Del Certo Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana);
b) la clausola 4 “osta ad una normativa nazionale,… la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano presi in considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da ragioni oggettive…. Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere” (Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C-302/11 a C- 305/11, Valenza e negli stessi termini Corte di Giustizia 4.9.2014 in causa C152/14 Bertazzi).
6.- I richiamati principi non sono stati smentiti dalla sentenza 20.9.2018, in causa C- 466/17, Motter, con la quale, a seguito di rinvio pregiudiziale del Tribunale di “Trento, la Corte di Giustizia ha statuito che la clausola 4 dell’Accordo Quadro, in linea di principio, non osta ad una normativa, quale quella dettata dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485 che “ai fini dell’inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi”, trattandosi di affermazione che, come si desume dai punti 47 e 48, è volta da un lato a valorizzare le differenze dell’attività lavorativa tra le due categorie di lavoratori, dall’altro ad evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia nei confronti dei dipendenti pubblici di ruolo assunti a seguito del superamento di un concorso generale, e quindi di una obiettiva differenza di posizioni e, quindi, di disciplina rispondente a una reale necessità “fatte salve le verifiche rientranti nella competenza esclusiva del giudice del rinvio”.
7.- E’, pertanto, da escludere che la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485 possa dirsi giustificata dalla non piena comparabilità delle situazioni a confronto e, comunque, dalla sussistenza di ragioni oggettive, intese nei termini indicati nei punti che precedono, valendo riguardo le considerazioni già espresse da questa Corte con l’ordinanza n. 20015/2018, con riferimento al diritto dei supplenti temporanei di percepire, in proporzione all’attività prestata, la retribuzione professionale docenti.
8.- Vi è tuttavia un accertamento in fatto da compiere, secondo quanto emerge dalla stessa decisione della Corte di Giustizia, la quale ha demandato al giudice nazionale di verificare concreto la posizione dei docenti assunti ab origine con contratti a tempo indeterminato e quella dei docenti la cui immissione in ruolo sia stata preceduta da contratti a tempo determinato, al fine di evitare che l’applicazione della clausola n. 4 produca discriminazioni “alla rovescia” in danno dei primi.
Seguendo le indicazioni dello stesso Ministero ricorrente, invero, tali discriminazioni si produrrebbero qualora in sede di ricostruzione della carriera si prescindesse dall’abbattimento, perchè in tal caso il lavoratore a termine, potendo giovarsi del criterio di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 489 potrebbe ottenere un’anzianità pari a quella dell’assunto a tempo indeterminato, pur avendo reso rispetto a quest’ultimo una prestazione di durata temporalmente inferiore.
9.- Ora, è indubbio che l’applicazione diretta della clausola 4 chiama il giudice nazionale a seguire un procedimento logico secondo il quale occorre: a) determinare il trattamento spettante al preteso “discriminato”; b) individuare il trattamento riservato al lavoratore comparabile; c) accertare se l’eventuale disparità sia giustificata da una ragione obiettiva.
Nel rispetto di queste fasi, perchè il docente si possa dire discriminato dall’applicazione del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485 che è la risultante di elementi di sfavore e di favore, deve emergere che l’anzianità calcolata ai sensi della norma speciale sia inferiore a quella che nello stesso arco temporale avrebbe maturato l’insegnante comparabile, assunto con contratto a tempo indeterminato per svolgere la medesima funzione docente.
In altre parole, il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato non può dirsi discriminatorio per il sol fatto che dopo il quadriennio si opera un abbattimento, occorrendo invece verificare anche l’incidenza dello strumento di compensazione favorevole.
10.- Si legge nella sentenza n. 31149/2019: “un problema di trattamento discriminatorio può fondatamente porsi nelle sole ipotesi in cui l’anzianità effettiva di servizio, non quella virtuale D.Lgs. n. 297 del 1994, ex art. 489 prestata con rapporti a tempo determinato, risulti superiore a quella riconoscibile D.Lgs. n. 297 del 1994, ex art. 485 perchè solo in tal caso l’attività svolta sulla base del rapporto a termine viene ad essere apprezzata in misura inferiore rispetto alla valutazione riservata all’assunto a tempo indeterminato.
9.2. Nel calcolo dell’anzianità occorre, quindi, tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l’assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l’assunto a tempo indeterminato (congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), con la conseguenza che non possono essere considerati nè gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, nè, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai quali questa Corte da tempo ha escluso la spettanza del diritto alla retribuzione (Cass. n. 21435/2011, Cass. n. 3062/2012, Cass. n. 17892/2015), sul presupposto che il rapporto cessa al momento del completamento delle attività di scrutinio. Si dovrà, invece, tener conto del servizio prestato in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 485, perchè il medesimo beneficio è riconosciuto anche al docente a tempo indeterminato che transiti dall’uno all’altro ruolo, con la conseguenza che il meccanismo non determina alcuna discriminazione alla rovescia.
9.3. Qualora, all’esito del calcolo effettuato nei termini sopra indicati, il risultato complessivo dovesse risultare superiore a quello ottenuto con l’applicazione dei criteri di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485 la norma di diritto interno deve essere disapplicata (Corte di Giustizia 8.11.2011, Rosado Santana) e al docente va riconosciuto il medesimo trattamento che, nelle stesse condizioni qualitative e quantitative, sarebbe stato attribuito all’insegnante assunto a tempo indeterminato, perchè l’abbattimento, in quanto non giustificato da ragione oggettiva, non appare conforme al diritto dell’Unione. Non è consentito, invece, all’assunto a tempo determinato, successivamente immesso nei ruoli, pretendere, sulla base della clausola 4, una commistione di regimi, ossia, da un lato, il criterio più favorevole dettato dal T.U. e, dall’altro, l’eliminazione del solo abbattimento, perchè la disapplicazione non può essere parziale nè può comportare l’applicazione di una disciplina diversa da quella della quale può giovarsi l’assunto a tempo indeterminato comparabile”.
11.- La sentenza impugnata non è conforme ai principi di diritto sopra enunciati perchè non risulta che nella quantificazione dell’anzianità riconoscibile ai lavoratori ricorrenti abbia tenuto conto dei periodi di interruzioni dei rapporti a termine, che, seppure “brevi e sporadici”, non potevano concorrere a determinare l’anzianità complessiva della docente.
Il ricorso va pertanto accolto in detti limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto su enunciati, e provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Non sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti indicati in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, quanto al rapporto processuale fra le parti principali, alla Corte d’Appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021