LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso per regolamento di competenza iscritto al n. 1950/2020 R.G., proposto da:
S.A., rappresentato e difeso dall’avv. Emanuele Vespaziani, con domicilio eletto in Roma, alla Via Tacito n. 23;
– ricorrente –
contro
CASALI DI TORRIMPIETRA S.R.L., in persona del legale rappresentante pt., rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Lotti e dall’avv. Achille Borrelli, con domicilio eletto in Roma, Via Livenza n. 3;
– controricorrente –
avverso la sentenza del tribunale di Roma n. 23611/2019, depositata in data 9.12.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 29.9.2020 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Carmelo Celentano, che ha concluso, chiedendo di rigettare il ricorso.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con sentenza n. 23611/2019, il tribunale ha dichiarato la competenza degli arbitri nella causa promossa da S.A. avente ad oggetto la domanda ex art. 702 bis c.p.c., volta ad ottenere la risoluzione del contratto preliminare di vendita di un immobile da costruire, stipulato in data *****, e il pagamento del doppio della caparra, o, in subordine, la restituzione delle somme versate in esecuzione del contratto, anche a titolo di ingiustificato arricchimento.
L’attore aveva chiesto di dichiarare la nullità della clausola compromissoria inserita nel contratto, con cui era devoluta agli arbitri “qualunque controversia che fosse insorta tra le parti in dipendenza, anche indiretta, del contratto e di quelle che fossero discese”.
Secondo il tribunale la clausola non poteva ritenersi nulla o inefficace ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, e ciò in considerazione “della natura della contrattazione intercorsa e del suo particolare significato economico”, discutendosi “dell’acquisto di un immobile e non di un bene di consumo ed essendo difficile ipotizzare che la contrattazione fosse stata redatta e conclusa sulla base di moduli senza alcuna specifica contrattazione tra le parti”.
La sentenza ha soggiunto che la contrattazione doveva ritenersi effettuata almeno riguardo all’individuazione dell’immobile, alle modalità di pagamento e ai termini di stipula e consegna, rilevando inoltre che le parti avevano espressamente dichiarato che “ciascuna delle clausole era stata oggetto di attento esame ed negoziazione, anche nella comune considerazione delle reciproche concessioni operate in sede di negoziazione delle altre clausole e che l’esito della medesima aveva poi significativa incidenza nella fissazione del prezzo”.
Inoltre, secondo il giudice di merito, la prova per testi richiesta dall’attore non provava che la clausola compromissoria non fosse stata oggetto di trattativa, il che, unitamente a quanto dichiarato dalle parti nell’art. 15 della scrittura, ne escludeva il carattere vessatorio.
Avverso detta sentenza S.A. propone ricorso per regolamento di competenza sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria.
La Casali di Torrimpietra s.r.l. resiste con controricorso e con memoria ex art. 47 c.p.c..
2. Il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 3, e art. 33, commi 1 e 2, dell’art. 2697 c.c., e della Dir. 93/13/CEE, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il tribunale erroneamente escluso l’applicabilità della disciplina dei consumatori per i contratti aventi ad oggetto beni immobili, sebbene il D.Lgs. n. 205 del 2006, si applichi ad ogni rapporto di consumo, a prescindere di quale ne sia l’oggetto.
Si espone inoltre che la predisposizione unilaterale del contratto risultava dal testo del preliminare, avendo l’acquirente specificamente sottoscritto talune clausole ai sensi e per gli effetti dell’art. 1341 c.c., e che, inoltre, competeva alla società convenuta e non al ricorrente, dimostrare che le clausole vessatorie erano state oggetto di specifica trattativa.
Il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 33, commi 1 e 2, e art. 34, commi 3 e 4, e della Dir. 93/13/CEE, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che il tribunale abbia erroneamente ritenuto che anche la clausola compromissoria fosse stata oggetto di trattativa per il fatto che le parti avevano negoziato il prezzo della futura vendita, i termini e le modalità di pagamento e di consegna, mentre occorreva una contrattazione specificamente riguardante la deroga alla competenza del giudice ordinario.
Il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 33, commi 1 e 2, art. 34, commi 4 e 5, e art. 36, nonchè dell’art. 2730 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che il tribunale abbia ritenuto che il preliminare, art. 15, provasse che i contraenti avevano negoziato ogni singola clausola negoziale, inclusa quella di deroga alla competenza del giudice ordinario, mentre anche il contenuto di tale articolo era stato unilateralmente predisposto dalla società convenuta, non era stato approvato spontaneamente dal ricorrente e comunque integrava, a sua volta, una pattuizione nulla, in quanto diretta ad esonerare la società dall’onere di provare lo svolgimento della trattativa riguardo ai singoli contenuti negoziali o tale da integrare una rinuncia, da parte del ricorrente, alla disciplina di favore del consumatore, occorrendo, per escluderne la vessatorietà, la prova che anche tale pattuizione fosse stata negoziata.
Secondo il ricorrente il contratto, art. 15, non integrava una dichiarazione confessoria ma una mera ricognizione delle particolari modalità con cui si erano svolte le trattative e conteneva valutazioni giuridiche e non l’ammissione di circostanze di fatto, non potendo assumere la valenza di prova legale.
Il quarto motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 34, comma 4 e 5, e art. 2967 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestando al tribunale di aver ritenuto che fosse onere del ricorrente dimostrare che la clausola compromissoria non era stata negoziata, mentre tale onere gravava sulla società convenuta.
3. I quattro motivi di ricorso, che, per la loro stretta connessione, possono esaminarsi congiuntamente, sono fondati per le ragioni che seguono.
E’ incontroverso che il ricorrente abbia concluso il preliminare di vendita per esigenze personali, ossia per far fronte alla necessità di reperire un alloggio da destinare ad abitazione nella sede dove svolgeva la propria attività lavorativa, e pertanto in qualità di consumatore ai sensi del D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 3, comma 1, lett. a).
Neppure è in discussione che la Casali Torrimpietra, impresa operante nel settore della costruzione e vendita degli alloggi, abbia – a sua volta – stipulato in veste di professionista e, difatti, il complesso di cui era parte l’unità abitativa promessa allo S. era costituito da un numero considerevole di immobili, tutti edificati e posti in vendita dalla società.
In presenza dei descritti requisiti soggettivi, l’applicazione del codice del consumo, art. 33 e ss., non era esclusa dal fatto che il contratto aveva ad oggetto un immobile, come si desume – a contrario – dall’inapplicabilità, a tali fattispecie, delle sole previsioni di cui ai capi I-V della sezione prima del codice, confermata anche dalle modifiche al D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 45-67, introdotte dal D.Lgs. n. 21 del 2014, ed entrate in vigore il 13.6.2014, prima della stipula del preliminare di vendita (che risale all'*****).
Proprio l’espressa esclusione di un numero limitato di disposizioni (in tema in tema di vendita a distanza e di contratti negoziati fuori dai locali commerciali), comprova che, per il resto, anche tali ipotesi sono ricomprese nell’ambito applicativo della tutela del consumatore (Cass. 14669/03; Cass. 27911/2008; Cass. 6802/2010).
Questa Corte ha, peraltro, già riconosciuto l’applicabilità della disciplina del codice del consumo agli appalti per la realizzazione o la manutenzione di immobili (Cass. 6802/2010) e alle convenzioni tra il costruttore/venditore di immobili in condominio e i singoli acquirenti, con riferimento alle previsioni del regolamento condominiale richiamato nei contratti di acquisto, contenente limitazioni d’uso per le porzioni esclusive o comuni o deroghe ai criteri di riparto delle spese (Cass. 2019/19832; Cass. 16321/2016). In definitiva, ciò che rileva ai fini della tutela del consumatore è la mera conclusione di un contratto tra un professionista, che stipuli nell’esercizio dell’attività imprenditoriale o di professionista intellettuale, ed altro soggetto – il consumatore – che contragga per esigenze estranee all’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale (Cass. 4914/2009; Cass. 24257/2008; Cass. 18863/2008; Cass. 13643/2006; Cass. 10127/2001).
L’applicabilità della disciplina prescinde – inoltre – dal tipo contrattuale utilizzato dalle parti, ciò già in base alla previgente formulazione dell’art. 1469 bis ss. c.c., e, a fortiori, all’esito della soppressione del riferimento, contenuto nella norma codicistica, alla “cessione di beni o la prestazione di servizi”, ad opera della L. n. 526 del 1999, art. 25.
Neppure è decisivo che le parti avessero espressamente richiamato in contratto la disciplina del D.Lgs. n. 122 del 2005 in tema di tutela degli acquirenti di immobili da costruire: il detto decreto, art. 1, nel definire i requisiti soggettivi di applicazione della normativa, prescinde dalle finalità di consumo perseguite dal contratto, sicchè il D.Lgs. n. 122 del 2005 concorre, in presenza dei relativi presupposti applicativi, con le disposizioni a tutela del consumatore, in assenza di un rapporto di reciproca incompatibilità o esclusione.
3.1. Il D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, comma 1, reputa vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Il comma 2, lett. t) dispone che si presumono vessatorie, fino a prova contraria, le clausole che sanciscono a carico del consumatore deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, ivi incluse, le clausole compromissorie per arbitrato rituale.
Il successivo art. 34, dispone che il carattere di vessatorietà non riguarda la determinazione dell’oggetto del contratto o la valutazione di adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purchè tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile.
Non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale.
In presenza di un contratto rientrante nell’ambito applicativo del D.Lgs. n. 206 del 2005, l’avvenuta negoziazione delle singole clausole costituisce presupposto oggettivo di esclusione dell’applicazione della disciplina del codice ed è circostanza che rappresenta un prius logico anche rispetto all’accertamento dell’eventuale squilibrio di cui si sostanzia l’abusività, conseguendone che la relativa prova compete al professionista (Cass. 8268/2020; Cass. 6803/2010; Cass. 24262/2008), mentre il consumatore può limitarsi ad allegare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti sufficienti per ottenere la dichiarazione di inefficacia delle clausole stesse (cfr., in motivazione, Cass. 24262/2008).
Nonostante l’apparente tenore letterale contrario del codice, art. 34, comma 5, l’onere della prova della trattativa individuale delle clausole non muta neppure se il contratto non sia destinato a regolare in modo uniforme, in una serie indefinita di casi, i rapporti con la clientela o se, in luogo di impiegare un formulario predisposto, le parti abbiano utilizzato singole clausole approvate dal consumatore ai sensi dell’art. 1341 c.c., (Cass. 3744/2017; Cass. 24262/2008; Cass. 6802/2010). Difatti, il citato decreto, art. 34, comma 5, “esplicita e ribadisce una regola sulla ripartizione della prova volta a favorire, o quantomeno ad alleggerire, la posizione processuale del consumatore, giacchè nell’operare una scelta di carattere sicuramente qualitativo il legislatore ha come detto posto l’onere della prova in capo alla parte – il professionista che in base al ruolo svolto (anche) nel rapporto contrattuale ha senz’altro maggiore possibilità di fornirla” (cfr., testualmente, Cass. 6803/2010).
3.2. Tanto premesso, occorre osservare che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di merito, per ritenere inoperante la disciplina del consumatore non era sufficiente che una trattativa vi fosse comunque svolta o che avesse riguardato clausole diverse da quelle di deroga alla competenza del giudice ordinario (quali le modalità di pagamento, le caratteristiche dell’immobile o i termini consegna).
Ai sensi del codice, art. 34, comma 5, competeva poi alla società, interessata ad ottenere la disapplicazione della disciplina di tutela del consumatore, dare la prova del fatto positivo dello svolgimento della trattativa, non essendo configurabile un onere del consumatore di provare il fatto negativo della mancanza di negoziazione.
Occorreva infine accertare che la trattativa fosse stata caratterizzata dai requisiti della serietà (ossia svolta mediante l’adozione di un comportamento obiettivamente idoneo a raggiungere il risultato di una composizione dei contrapposti interessi delle parti), della effettività (rispettosa della autonomia privata delle parti, non solo nel senso di libertà di concludere il contratto ma anche nel suo significato di libertà e concreta possibilità di determinarne il contenuto), e della individualità (dovendo riguardare tutte le clausole, o elementi di clausola, costituenti il contenuto dell’accordo, prese in considerazione sia singolarmente oltre che nel significato desumibile dal complessivo tenore del contratto: Cass. 24262/2008; Cass. 18785/2010; Cass. 14287/2015).
Per contro, a prescindere dalla sua valenza confessoria, il contratto, art. 15, attestando genericamente che le parti avevano negoziato le singole clausole “nella considerazione delle reciproche concessioni operate in sede di fissazione delle altre clausole”, non conteneva alcun elemento utile a dimostrare che il ricorrente avesse effettivamente esercitato un potere negoziale in modo non solo formale, che avesse avuto una qualche possibilità di modificare il contenuto del contratto o in che termini fosse stata contrattata la deroga alla competenza del giudice ordinario, non essendo sufficiente che, come è emerso dalle dichiarazioni testimoniali riportate sia nel ricorso (pagg. 8 e ss.) che nella memoria di parte resistente (pagg. 6.7), le singole clausole fossero state lette e che ne fosse stato discusso e chiarito il contenuto.
In realtà, come ha precisato anche la sentenza, l’istruttoria aveva sortito esiti contrastanti riguardo alle modalità di svolgimento delle trattative e- per quanto detto – il fallimento della prova, peraltro assunta su richiesta del ricorrente, non poteva che comportare l’operatività delle norme a tutela del consumatore, atteso che la vessatorietà della clausola compromissoria poteva essere esclusa solo se la società avesse dimostrato di averne contrattato il contenuto – con le modalità che si sono descritte.
In mancanza, la deroga alla competenza del giudice – ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33 e ss., – non poteva spiegare effetti.
Il ricorso è accolto, con cassazione della sentenza impugnata e con dichiarazione della competenza del tribunale di Roma, dinanzi al quale rimette le parti anche per la pronuncia sulle spese del presente regolamento.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la competenza del tribunale di Roma dinanzi al quale rimette le parti, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità, con termine di riassunzione di gg. 60, decorrente dalla comunicazione della presente decisione.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021
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