LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2767-2019 proposto da:
B.C. e C.A., elettivamente domiciliati in Roma, Viale Delle Milizie, 34, presso lo studio dell’avvocato Luca De Filippis, rappresentati e difesi dall’avvocato Ignazio Longo;
– ricorrente –
contro
M.E., elettivamente domiciliata in Roma, Corso Trieste n. 27, presso lo studio dell’avvocato Lina Caputo, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
BA.MA.EV., in proprio e quale erede di M.E., elettivamente domiciliata in Roma, C.so Trieste 27, nello studio dell’avvocata Lina Caputo che la rappresenta e difende;
– interveniente –
avverso la sentenza n. 1147/2018 della Corte d’appello di Torino, depositata il 13/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/09/2020 dal Consigliere Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– B.C. e C.A. convenivano M.E. ved. Ba. al fine di sentir accertare il loro diritto di proprietà su una porzione di terreno con sovrastante box di cui la convenuta confinante si era illegittimamente appropriata mediante l’apposizione di una recinzione che la includeva;
– la convenuta si costituiva contestando la fondatezza della domanda attorea e chiedeva accertarsi che la linea di confine con la proprietà attorea coincideva con quella catastale, sulla quale era stata apposta la recinzione, sicchè non vi era stata l’asserita indebita appropriazione;
– il Tribunale di Ivrea, istruita la causa a mezzo testi e ctu, respingeva la domanda attorea;
– proposto gravame dagli attori la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza impugnata, previa declaratoria di inammissibilità ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, della scrittura privata del 1983 prodotta dagli appellanti;
– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dagli originari attori con ricorso affidato a tre motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380 bis c.p.c., cui ha resistito la controricorrente M.;
– a seguito del decesso della controricorrente M.E., con apposito atto notificato ai ricorrenti è intervenuta Ba.Ma.Ev., figlia ed erede legittima della M.;
– la relatrice designata ha formulato proposta di rigetto ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
– in via preliminare va dichiarata l’ammissibilità dell’atto di intervento di Ba.Ma.Ev., dichiaratasi erede legittima di M.E. deceduta nelle more del giudizio;
– in proposito è stato precisato che poichè l’applicazione della disciplina di cui all’art. 110 c.p.c., non è espressamente esclusa per il processo di legittimità, nè appare incompatibile con le forme proprie dello stesso; in tal caso il soggetto che intenda proseguire il procedimento, quale successore a titolo universale di una delle parti già costituite, deve allegare e documentare, tramite le produzioni consentite dall’art. 372 c.p.c., tale sua qualità, attraverso un atto che, assumendo la natura sostanziale di un intervento, sia partecipato alla controparte – per assicurarle il contraddittorio sulla sopravvenuta innovazione soggettiva consistente nella sostituzione della legittimazione della parte originaria mediante notificazione, non essendone, invece, sufficiente il semplice deposito nella cancelleria della Corte, come per le memorie ex artt. 378 e 380 bis c.p.c., poichè l’attività illustrativa che si compie con queste ultime è priva di carattere innovativo (cfr. Cass. Sez. Un. 9692/2013; sez. 6, n. 8973/2020);
– l’atto di intervento presenta i suddetti caratteri e risulta notificato, sicchè è ammissibile;
– il Collegio condivide la proposta della relatrice;
– il primo motivo, con cui si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’errata declaratoria di inammissibilità ex art. 345 c.p.c., comma 3, della scrittura privata prodotta in appello come doc. n. 3 e cioè la scrittura privata ***** registrata il *****, è infondato;
– la modifica, in senso restrittivo rispetto alla produzione documentale in appello, dell’art. 345 c.p.c., comma 3, operata dal D.L. n. 83 del 2012, secondo cui la nuova produzione documentale in appello è subordinata alla prova di non averla potuta eseguire prima per fatto non imputabile, trova applicazione nel caso di specie atteso che la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado è stata pubblicata nel 2017 e cioè successivamente al giorno di entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, di conv. del citato D.L. n. 83, e, cioè, il giorno 11 settembre 2012 (cfr. Cass.6950/2017);
– ciò posto, la corte territoriale ha ritenuto non dimostrata l’impossibilità della tempestiva produzione e sul punto i ricorrenti non hanno circostanziano l’allegata non imputabilità della mancata conoscenza della scrittura in oggetto, sicchè la censura appare destinata al rigetto;
– il secondo motivo, con cui si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 950 c.c., e dell’art. 2697 c.c., nonchè l’omesso esame di fatti decisivi, è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, in relazione a questo secondo profilo, avendo la corte nel merito confermato la decisione di primo grado;
– con riguardo al primo profilo di censura, esso è di natura meritale perchè non indica principi interpretativi erroneamente applicati dalla corte territoriale, risolvendosi in una valutazione delle risultanze probatorie diversa da quella impugnata e sfavorevole alla domanda dei ricorrenti;
– il terzo motivo, con cui si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1146 c.c., per motivazione apparente ed illogica, è inammissibile, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, ove articola la censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5; la doglianza è, invece, inammissibile ove riguarda l’interpretazione del rogito del 1996 – dal quale, secondo i giudici di merito, non si ricava la traditio dell’immobile oggetto di causa, necessaria ai fini dell’accessione del possesso, ex art. 1146 c.c., comma 2, – senza, però, che venga specificato in ricorso da quale violazione dei canoni ermeneutica contrattuale sarebbe viziata la statuizione impugnata;
– il ricorso, pertanto, deve essere rigettato;
– le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte soccombente;
– ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite a favore della interveniente e liquidate in Euro 5.200,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile-2, il 29 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021
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